RIVA Gigi: tanto d’estro, tanto sinistro

«Ringrazio il calcio, ma la vita vera è arrivata dopo»

  • Intervista di Alberto Costa – Il Corriere della Sera, 7 novembre 2004

Gigi Riva compie oggi 60 anni. E con lui è un’ intera generazione, quella che amava i Beatles e i Rolling Stones senza disdegnare le curve di Brigitte Bardot, a guardarsi dentro.
Signor Riva, 60 anni sono l’ occasione giusta per fare il bilancio di una vita.
«Il calcio mi ha dato la possibilità di andare quattro volte dal Presidente della Repubblica e di ricevere tutte le onorificenze possibili. Non ricordo neppure se sono commendatore o che cos’ altro. Il calcio mi ha dato la fama e la possibilità di fare la vita che sognavo: e il bello è che mi pagavano pure. Sono diventato campione d’Europa e vicecampione del mondo, sono stato capocannoniere del campionato. Ma in fondo si trattava pur sempre di tirare (bene) quattro calci ad un pallone. La strada più importante era un’ altra».
A quale strada allude?
«Alla strada della vita, ai trent’ anni che ho vissuto dopo avere smesso di fare il calciatore. Sono orgoglioso di essere stato apprezzato come persona. La parentesi calcistica è stata breve ed effimera, l’ altra vita invece molto più importante e io ho passato l’ esame pure come uomo. È quello che ho sempre cercato di spiegare ai miei figli, raccontando loro anche della mia prima vita, quella più dura».
Scusi, ma quante sono le sue vite?
«Io ho perso il padre a 9 anni e la madre a 16 anni. Sembrava proprio che il destino ce l’avesse con me. Ecco perché, quando arrivai in Sardegna, ero incazzatissimo con la vita. Avevo il calcio in testa, il calcio era nei miei sogni. Anche mio padre, per quello che ricordo, era un grande appassionato di sport: lo rivedo in piazza, discutere soprattutto di ciclismo».
E sua madre?
«Di lei ricordo i sacrifici. Sono stati difficili i primi anni della mia vita, sono finito in collegio e il collegio mi ha privato della cosa più bella per un ragazzo: la libertà. Il calcio era uno sfogo. Quando mi misi in viaggio per l’ avventura in Sardegna mio zio si raccomandò: pensa a trovare un lavoro serio, altro che il calcio…».
Come si vede la vita a 60 anni?
«Da ragazzino un sessantenne mi dava l’ idea di uno alla canna del gas. In tanti mi dicono “ma come li porti bene”, però sempre 60 sono. A 60 anni si incominciano ad avvertire le responsabilità, capisci che questa partita sta andando verso la fine e rifletti: ne ho già fatta di strada. Penso al mondo in cui crescerà la mia nipotina, al suo futuro».
Qual è il suo rimpianto più grosso?
«Non vorrei cadere nel patetico ma il mio vero rimpianto è quello di non avere potuto condividere vita e successi con i miei genitori. Se qualcuno mi potesse aiutare, gli chiederei: falli tornare in vita».
Gigi, come è arrivato fin qui? La depressione resta una sgradevole compagnia?
«No, ho sofferto di depressione per un anno e mezzo ma questo ormai è soltanto un ricordo. Ho 60 anni ma non mi sento solo: ho due figli splendidi che ieri mi hanno scritto una lettera sull’ Unione Sarda facendomi commuovere. Io non ho mai vissuto con loro, ho scelto di vivere in un appartamento a fianco, ma questo non ha influito sul nostro rapporto. Penso che saranno loro, quando sarò rimbambito, ad occuparsi del padre».
Ci svela qual è stata la sigaretta che ha fumato con più gusto?
«Quelle che mi hanno dato più soddisfazione sono state 258…».
Scusi?
«Sono quelle che ho fumato dopo ogni gol con il Cagliari. Perché io potevo giocare benissimo, colpire 6 pali, fornire 4 assist ai compagni e vincere 6-0 ma se non segnavo non ero contento».
Che cosa è rimasto del lombardo di lago che c’era in lei?
«Impossibile cancellare le tue radici. A Leggiuno ho demolito la casa in cui abitavo con i miei e ne ho costruita una nuova. Quando torno al paese sono sommerso dai ricordi ma mi piace rimettere piede al bar, con gli amici di un tempo, che ormai sono diventati tutti dei vecchietti».
Erano così favolosi gli anni Sessanta?
«Il nostro era un calcio giocato da ragazzi figli del dopoguerra. Si andava a lago, si prendevano quattro sassi per delimitare le porte e poi le nostre partite finivano 37 a 32. Il nostro calcio non era inquinato dalla televisione. Anche a livello professionistico, se l’ arbitro e il guardalinee non vedevano, a quello che ti aveva tirato un cazzotto potevi rifilare una pedata nel sedere e poi fare finta di niente. Quello di oggi è un calcio scientifico e ridicolo: se il calzettone si tira un po’, ecco intervenire il moviolista di turno».
Scientifico, ridicolo e intossicato.
«Oggi il calcio serve a mascherare i problemi del nostro Paese. Ci sbattono in faccia tutte queste partite come in Sudamerica c’è un carnevale al giorno».
Si è molto favoleggiato sul suo rapporto con le donne.
«Non mi sono mai sposato ma con le donne ho avuto una vita intensa. Noi vorrei sconfinare nel boccaccesco ma a me le donne piacevano. Da loro ho avuto molto, molto affetto. Io poi ero parecchio riservato e non mi facevo mai beccare. E la mia riservatezza era per loro una garanzia».
Gigi Riva, come festeggerà oggi i suoi primi e meravigliosi 60 anni?
«Con i miei figli Nicola e Mauro, con mia nuora Sonia e con la mia nipotina Virginia, tre anni a gennaio. Si cena in casa, faccio io la spesa».