RIVA Gigi: tanto d’estro, tanto sinistro

Nell’aprile del 1977, la notizia era nell’aria da tempo. Ad ogni annuncio dei giornali sul suo prossimo ritorno, un balzo al cuore, seguito ben presto dalla delusione del rinvio, poi la notizia definitiva della rinuncia e vista la serietà dell’individuo non c’è da pensare ad un eventuale ripensamento. Luigi Riva ha chiuso dicendo: «Non me la sento di ingannare il pubblico tornando sul campo in condizioni menomate. Avrei potuto farlo, ma preferisco che ricordino il Riva delle giornate migliori».

E’ stato grande anche nel chiudere, poiché sono pochissimi i campioni che hanno saputo cogliere convenientemente l’attimo del ritiro. Chiusa la pagina dell’attività agonistica ci rimane di Riva la cifra dei suoi record ed il ricordo vivido, incancellabile, dei suoi splendidi gol con la maglia azzurra, delle sue esecuzioni perentorie di testa e di piede, quando portò il Cagliari alla conquista di uno scudetto strameritato. Il tiro violento e preciso, la capacità di centrare la porta nove volte su dieci con quel sinistro favoloso, furono le caratteristiche peculiari del suo bagaglio di calciatore….

GLI INIZI

…e furono anche le note che in margine ad un «rapporto di osservazione» spinsero Andrea Arrica ad andare a visionare quel lungagnone secco secco che aveva già giocato nella Nazionale Juniores in Inghilterra e snobbato dall’Inter. C’era un interessamento del Bologna, ma la società nicchiava, vista la grossa cifra che il Legnano chiedeva. Arrica sapeva tutto questo e da osservatore smagato e competente capì subito le ragioni e le perplessità di chi non concedeva fiducia al numero undici del Legnano.

Innanzitutto il destro usato per lo più come stampella. Riva toccava sempre con il sinistro, con l’altro piede non eseguiva neanche gli appoggi più banali. Poi giocava in pratica da tornante, lasciando spessissimo il proprio settore per dare man forte alla difesa. Era magro come un chiodo e di solito chi è disposto a spendere la cifra che il Legnano richiedeva, cerca soprattutto l’atleta completamente formato sul piano fisico. Ma Arrica aveva notato una cosa che cancellava tutte le componenti negative del giudizio. Quello smilzo aveva un tiro potente e preciso nel quale scaricava una energia nascosta, che non si capiva da dove arrivasse. Colpiva secco di collo sinistro, anche dopo sgroppate velocissime: segnò un gol di forza sotto gli occhi di Arrica e l’inviato del Cagliari, dopo l’incontro del campionato di serie C, non ebbe dubbi di sorta. Raggiunse un accordo di massima con la società sulla sulla base dei trentasette milioni per la cessione definitiva, anche se alcuni dettagli molto importanti erano da definire, visto che Riva aveva espresso delle riserve piuttosto decise sul suo trasferimento nell’isola.

riva-monografie-wp1
Un giovane Riva agli esordi, in azione con la maglia del Legnano nella stagione 1962-63.

Ma l’auto era il lavoro, il pane del futuro, per divertirsi giocava al calcio, in ogni ritaglio di tempo che il lavoro in officina gli concedeva. A Leggiuno era un piccolo Dio, nei Tornei notturni spopolava, qualcuno si interessò di lui e gli fece firmare il cartellino del Laveno che disputava il campionato Dilettanti. Soldi pochissimi, quei pochi per le bibite e le prime sigarette. Ma erano le prime conquiste della vita e gli davano tranquillità, sicurezza. Poi venne il provino all’Inter, la squadra del cuore, il giudizio affrettato di qualcuno che non gli concesse appello. Il calcio era ancora un gioco per Gigi e l’amarezza del provino fallito non lasciò strascichi pesanti. C’era chi aveva fiducia nelle sue qualità di calciatore, Carlo Zanardi, ad esempio, che vista fallire la strada dell’Inter, fece in modo di provocare l’interessamento del Legnano ed il trasferimento fu cosa fatta per poche centinaia di biglietti da mille.

A Legnano Riva si sentì appagato, felice della sua situazione. Lavorava al mattino in officina, seguiva gli allenamenti di Luciano Lupi, allenatore della squadra lilla, giocava alla domenica in un campionato di serie Nazionale, poteva contare su di uno stipendio complessivo discreto per un ragazzo di diciotto anni. Ma soprattutto gradiva la libertà che assaporava per la prima volta con sottile piacere e la tranquillità confortante del trovarsi in famiglia non appena lo volesse. Ecco, le perplessità di Gigi nell’accettare il trasferimento a Cagliari nascevano da tutto questo. La dislocazione lontana, gli avrebbe pregiudicato il calore degli amici e della famiglia. Non voleva rinunciare a queste conquiste, sperava ardentemente che Dall’Ara si decidesse ad accettare le proposte del Legnano.

Bologna era vicino casa, non avrebbe dovuto rinunciare a nulla di quanto gli era più caro. La decisione di continuare a giocare al calcio gli era stata in pratica imposta dalla selezione per la Nazionale Juniores. Fino ad allora Gigi pensava agli allenamenti e alle quattro pedate domenicali come ad un sano e divertente passatempo, ma non aveva fatto piani futuri, non aveva ancora pensato al calcio come ad una professione. Ma Beppe Galluzzi, selezionatore della Nazionale Juniores che doveva disputare in Inghilterra l’annuale Trofeo dell’UEFA, era stato un tempo allenatore a Legnano ed era rimasto in ottimi rapporti con Luciano Lupi che stravedeva per il lungagnone dal tiro folgorante, e la selezione fu cosa fatta.

L’Italia doveva affrontare la Spagna per qualificarsi al girone finale e il debutto della formazione italiana avvenne a Siviglia il 2 marzo del 1963, con questo allineamento: Terreni; Luise, Poppi; Bovari, De Paoli, Garbarmi; De Bernardi, Giannini, Bercellino II, Salvi, Riva. La Spagna disponeva di una formazione piuttosto ostica tutta incentrata su un diciottenne dalla dinamica impressionante, José Martinez Pirri che diventerà poi una grande figura del Real Madrid. I rossi passarono in vantaggio due volte, ma Bercellino II riuscì nelle due occasioni a riportare le sorti della gara in perfetta parità. A Roma gli azzurrini, con il debutto del napoletano Montefusco, riuscirono a prevalere abbastanza agevolmente, anche se nel finale gli spagnoli riuscirono ad accorciare le distanze fissando il punteggio sul 3-2.

Per Gigi c’era stato il battesimo del gol nel secondo incontro con gli spagnoli e tanto gioco sulla fascia sinistra che gli valse la conferma per il girone finale in Inghilterra. In terra inglese gli azzurrini batterono molto agevolmente l’Ungheria (3-0) e la Francia (4-1), ma con la Bulgaria, nonostante un gran gol di Gigi che aveva procurato il vantaggio al 35′ del primo tempo, uscirono sconfitti di misura (1-2) e la bella avventura finì alle soglie delle semifinali. Ma la trasferta era stata decisiva per il futuro di Riva. Per la prima volta si era reso conto appieno del suo valore, si era convinto che del calcio poteva farne veramente una professione, per di più con l’incentivo molto interessante del divertimento che lo appagava completamente. Quindi pur sperando sempre in una telefonata decisiva del commendator Dall’Ara, nel maggio del ’63 Gigi parte per la Sardegna per il primo contatto di prova, per rendersi conto di quale ambiente lo aspetti, nel caso che il suo trasferimento al Cagliari sia l’unica soluzione di un certo valore per la prosecuzione della carriera.

ARRIVO SULL’ISOLA

A Cagliari il calcio era sbarcato come al solito con gli inglesi delle navi che erano alla fonda nel porto. I marinai di Albione scendevano a terra e improvvisavano partite combattutissime. Si era a cavallo della prima Guerra Mondiale e l’esempio fu presto raccolto da alcuni giovani del luogo, come è avvenuto in ogni parte del mondo. Fino al 1930, quando cioè la Federazione inserendo il professionismo non diede al calcio italiano una struttura di campionati organizzati convenientemente, il Cagliari prese parte ai tornei Sardegna con al­tre squadre dell’isola. Poi con il campionato ’30-31 il Caglia­ri è ammesso alla serie B e l’allenatore è Egri Erbstein, che sarà poi uno dei costrut­tori del grande Torino e pe­rirà nella tragedia di Superga. Non è una grande storia, quella del Cagliari, è una con­tinua altalena tra B e C con intermezzi piuttosto tristi co­me nel ’34, quando la società è costretta a chiudere per mancanza di mezzi finanziari e nell’epoca della seconda Guerra Mondiale quando il calcio, a differenza di altre regioni, scompare quasi del tutto dal panorama dell’Isola.

Nel dopoguerra il Cagliari risorge e partecipa nel ’45-46 e ’46-47 a tornei con sole squa­dre sarde, nel 47-48 è ammes­so alla serie B Nazionale ma retrocede e rimane in terza serie fino al ’51-52 quando vin­ce campionato e finali ed è ammesso alla B Nazionale, dove rimane per otto anni consecutivi. Ricade in serie C e disputa due campionati di preminenza, ma solo al se­condo tentativo, dopo aver debellato la resistenza di An­conitana e Pisa, riesce a ri­tornare in seconda serie con prospettive discrete di rima­nervi per un pezzo visto che la struttura societaria si è ir­robustita convenientemente. Il presidente Rocca e il Vice Arrica sono riusciti a forma­re un consiglio direttivo funzionale nel quale si intravvedono gli interessi di molti industriali del Continente che hanno creduto nel futuro della Sardegna. Poi c’è stato l’incontro felice fra la dirigenza cagliaritana e Arturo Silvestri, il non dimenticato «Sandokan» del Milan, un allenatore che come Rocca e Arrica non nasconde le proprie ambizioni. Vuol far carriera così come i due timonieri vogliono portare la società rossoblu all’approdo della serie A.

Si parte dalla terza serie, la strada è lunga e anche difficile perchè dopo dieci partite del campionato 1961-62 (serie C) il Cagliari ha conquistato solo nove punti sui venti disponibili.Silvestri è discusso, si parla di esonero, ma Rocca e Arrica lo difendono a spada tratta e dimostrano di avere ben riposto la loro fiducia, perchè il Cagliari riesce finalmente a prevalere. C’è poi un campionato di consolidamento in serie B e finalmente arriva l’anno della grande conquista, 1963-64, con Gigi Riva che disputa il primo torneo professionistico della sua carriera. Riva gioca ventisei partite nel campionato della promozione, alternandosi con Congiù e Ghersetich nel ruolo di ala sinistra. Parte alla grande, ed infatti nelle prime tre partite mette a segno tre gol, uno al Prato e due al Napoli di Canè, Corelli e Gilardoni. Le assenze di Gigi si hanno nel periodo centrale del campionato, dovute ad infortuni e riposo cautelativo per tenerlo fresco per la volata finale.

Ed infatti «Sandokan» non aveva sbagliato i suoi calcoli: è proprio Gigi che pareggiando il gol di Selmosson in quel di Udine alla penultima giornata, assicura la promozione matematica ai rossoblu. Nella prima stagione di serie A ha segnato nove gol, non sono molti ma nemmeno pochi per un esordiente che ha appena venti anni e che si migliora continuamente poiché per Gigi il gol è come una scarica nervosa e si allena metodicamente proprio per migliorare la precisione e la violenza del tiro.

Gli allenamenti di Riva fanno sovente sorridere i giornalisti del Continente. Per quanto riguarda atletica e corse, Gigi le fa con gli altri, poi si apparta con una infinità di palloni e comincia il suo bombardamento verso il malcapitato che è tra i pali. Nove volte su dieci il tiro centra la porta ed è più o meno difficile da parare, ma sempre teso e potente, tanto è scagliato con coordinazione perfetta. Dopo un altro anno di apprendistato è pronto ad esplodere alle alte vette della classifica dei cannonieri, la speciale graduatoria nella quale riuscirà a prevalere per tre volte come Giuseppe Meazza. E intanto intorno a lui Arrica aveva costruito una buona formazione…

VERSO LO SCUDETTO

Arturo Silvestri dopo cinque stagioni aveva ceduto il testimone nelle mani di Manlio Scopigno «il filosofo» e dopo alterne vicende il Cagliari era entrato nel giro dell’alta classifica proprio per i meriti di Arrica che nelle campagne estive del «Gallia» sapeva barcamenarsi con grande perizia. Erano arrivati giocatori di buona caratura come Albertosi, Boninsegna, Brugnera, Cera e nel 68-69 il Cagliari aveva sfiorato la conquista dello scudetto piazzandosi alle spalle della Fiorentina a quattro lunghezze.

Nell’estate del 1969 ad Arrica riusci un altro colpo magistrale. L’Inter voleva Boninsegna ed era disposta a sacrifici notevoli. Spiaceva ad Arrica privarsi di «Bonimba» ma era giusto che il mantovano si facesse la strada di «goleador» da altre parti e chiese in contropartita Domenghini e Gori, due pedine importantissime che completarono la squadra in una macchina da gioco tutta rivolta alle conclusioni perentorie ed efficaci di Riva. Aveva visto giusto ancora una volta, Arrica, e con lui Scopigno, che aveva studiato un particolare tipo di manovra adatto alle caratteristiche degli uomini che aveva a disposizione.

La squadra giocava raccolta sulla propria trequarti, pronta ad offendere non appena Domingo o Cera fossero pronti al rilancio. Lo schema sembrava facile a neutralizzarsi, ma i lanci coglievano quasi sempre Riva in piena progressione ed in Italia terzini o stoppers che fossero in grado di fermare il Gigi in velocità ce n’erano pochissimi oltre Burgnich. E cosi il Cagliari, con una condotta cauta e sfruttando al meglio le risorse di Riva, riuscì a prevalere alla distanza su di un’Inter mai doma.

Una delle migliori partite di Riva, che fu anche decisiva ai fini dello scudetto, fu giocata a Torino sul campo della Juve che faceva da terzo incomodo nella lotta per il primato. Per due volte i bianconeri si trovarono in vantaggio grazie ad una autorete di Niccolai e ad un rigore trasformato da Anastasi, ma Riva fu implacabile nel riportare il Cagliari in pareggio prima anticipando di destro Anzolin in uscita poi siglando con sicurezza un rigore concesso dall’arbitro Lo Bello. Fu festa grande in Sardegna e a Cagliari in particolare. Di Riva avevano scolpita una statua in legno e la portarono in giro per piazza Yenne e per tutto il centro di Cagliari. Fenomeni di tifo brasiliano a dir poco, forse eccessi difficilmente comprensibili, ma la gioia irrefrenabile dei cagliaritani produsse effetti interessanti la psicologia e la sociologia. La conquista dello Scudetto significava Coppa dei Campioni.

Finalmente per Gigi c’era la possibilità di proiettare le sue capacità in una dimensione europea. Per Gigi la Coppa dei Campioni era importante, aveva sempre sognato di disputarla e l’ammaliante richiamo aveva intralciato non poche volte la sua decisione di rimanere a Cagliari. La prima partita di coppa vide il Cagliari opposto ai francesi del Saint Etienne. Prima partita in Italia il 16 settembre del 1970. La partita ebbe poca storia. Gigi, scatenato dal primo minuto per conquistare un vantaggio che mettesse al riparo da eventuali sorprese nel ritorno, al 7′ era già in gol e Nené raddoppiava al 19′, poi ancora Gigi al 70′ con un calibratissimo colpo di testa fissava il punteggio sul 3-0. Non c’erano sorprese nel ritorno che i verdi di Francia vinsero per 1-0. Altro turno contro l’Atletico Madrid, un osso molto duro che allineava in squadra fior di campioni come Adelardo, Luis, Garate ed Irureta.

A Cagliari ancora Riva e Gori posero le fondamenta per un successo che sembrava possibile, ma a pochi minuti dal termine Luis riuscì a dimezzare le distanze, rendendo assai più difficile il ritorno per i rossoblu. La partita a Cagliari fu giocata il 21 ottobre. Dieci giorni dopo al Prater di Vienna si giocava Italia Austria valida per il Campionato Europeo delle Nazioni. Gli azzurri conducevano per 2-1 con reti di De Sisti (triangolo con Riva) e Mazzola quando al 76′ Gigi scendeva verso la rete difesa da Rettensteiner e Hof gli entrava alle spalle con durezza gratuita. Frattura del perone e distacco dei legamenti della caviglia destra. Addio Coppa Campioni. Era il secondo infortunio grave della sua carriera ed anche il primo lo aveva colpito quando indossava la maglia azzurra, la maglia che gli aveva dato i trionfi più importanti.

RIVA E LA NAZIONALE

Il debutto di Riva con la maglia della Nazionale era avvenuto a Budapest il 27 giugno del 1965, Commissario Unico Edmondo Fabbri. Si giocava una partita amichevole fra Ungheria ed Italia, Gigi sedeva in panchina con poche speranze di essere utilizzato. Senonché al 7′ Pascutti si infortunava e Fabbri lo faceva esordire. Gigi si comportò più che bene, meritando la sufficienza della critica.
Sempre con Fabbri, Riva fu impiegato il 19 marzo del ’66 a Parigi contro la Francia (0-0), altra buona prestazione pur in un attacco (Domenghini, Rivera, Mazzola, Corso, Riva) che lasciò parecchio a desiderare. Era in preparazione la spedizione in Inghilterra per la Coppa del Mondo e, pur non facendo parte dei ventidue nominativi segnalati alla FIFA, Riva fu aggregato alla comitiva per fare esperienza, un riconoscimento che non si aspettava e quindi quanto mai gradito.

Non c’è bisogno di parlare del naufragio dei calciatori italiani di fronte ad una Corea del Nord agguerrita e baldanzosa, alla quale non riuscimmo a segnare neanche l’ombra di un gol. Superato il tragico momento della disfatta azzurra e le polemiche che ne seguirono, Riva fu inserito nel gruppo degli azzurrabili, anche se diversi esperimenti ne rimandarono l’impiego definitivo. Quali punte fisse furono provati De Paoli e Cappellini, poi finalmente con il Portogallo venne il suo momento. Fu impiegato quale centravanti con Rivera, Mazzola e Bulgarelli, Corso ai fianchi. Sfiorò il gol ripetutamente e si dannava con generosità per impattare la rete messa a segno da Eusebio al 24′ del primo tempo. In uno di questi tentativi si scontrò duramente con il portiere lusitano Americo riportando la frattura al terzo medio del perone sinistro. Era il primo incidente grave della sua carriera e lo costrinse all’inattività fino all’inizio del campionato ’67-’68.

Il discorso con la Nazionale fu riaperto per Italia-Cipro valida per il Campionato Europeo delle Nazioni che si giocava a Cosenza. Cinque reti liquidavano i ciprioti e Riva partecipava al bottino siglando le ultime tre e nei successivi incontri con la Bulgaria e la Svizzera concorse da par suo alla qualificazione della squadra azzurra per le finali che si dovevano giocare in Italia. Un infortunio ne impedì l’utilizzo sia con la Russia che con la Jugoslavia per la prima finale finita in parità 1-1 dopo i tempi supplementari. Due giorni dopo, il 10 giugno del ’68, Italia e Jugoslavia si incontravano nuovamente per il titolo Europeo. Fu una grande partita, uno spettacolo indimenticatile poiché la Nazionale raggiunse vertici di gioco inusuali. L’estemporanea esibizione di Mazzola nelle vesti di mezz’ala a tutto campo, le geometrie perfette di De Sisti, la scaltrezza di un Anastasi in serata di vena e la prorompente vitalità di Riva aprirono varchi invitanti nella fitta ragnatela degli slavi. Al 12′ Riva riceve una gran palla al limite, rapido scarto alla ricerca dello spazio per il tiro e botta radente che si infila alla sinistra di Pantelic, poi Anastasi raddoppia al 31′ e dopo è compito della difesa arginare le scorribande offensive di Acimovic e Dzaijc.

Riva è ormai azzurro in piante stabile e partecipa alle qualificazioni per la disputa della Coppa del Mondo in Messico. E’ in un brutto girone, l’Italia, con la Germania Est che sta conoscendo una escalation eccezionale in ogni branca sportiva, e il Galles. Ma per fortuna c’è Riva che nel doppio confronto con tedeschi e gallesi mette a segno sette reti. Non ci sono problemi di sorta, pensa a tutto a lui con i gol puntuali che riscattano anche esibizioni non molto felici della squadra azzurra.

Le qualificazioni sono state superate con facilità grazie ai suoi gol e adesso ci s’aspetta il titolo mondiale come bere un bicchier d’acqua. Ma non è facile. La squadra azzurra gioca al livello dei giorni migliori, Riva che è diventato «Rombo di tuono» per una azzeccata definizione di Gianni Brera, è al centro di una polemica furiosa per ragioni che investono la sua vita senti­mentale. Poi c’è l’altura che lo danneggia non poco sul piano fisico. Il comportamen­to della Nazionale è molto buono nella Coppa del Mon­do messicana. Si supera con qualche difficoltà il girone di qualificazione battendo la Sve­zia per 1-0 e impattando con l’Uruguay (0-0) e con Israe­le (0-0) anche se in questo incontro l’arbitro brasiliano De Moraes annulla proprio a Riva due gol apparsi regolari. Nei quarti, difficile incontro con i messicani padroni di casa che per giunta vanno in vantaggio al 13′ con una bella rete di Gonzales. Ma la squadra azzurra ha carattere.

Si vince 4-1, due gol di Gigi, e ci si appresta alla semifinale con la temutissima Germania Ovest di Beckenbauer e Müller. Fu un incontro da cardiopalmo che è rimasto negli annali del calcio mondiale. Un susseguirsi di emozioni frastornanti nei tempi supplementari richiesti dal pareggio (1-1) conseguito alla fine dei novanta minuti regolamentari. Il 4-3 finale con reti di Boninsegna, Burgnich, Riva e Rivera assicurò agli azzurri la finale con il Brasile di Pelé. A parte i tempi supplementari che pesavano nelle gambe degli azzurri, la finale fu tecnicamente valida solo fino al termine del primo tempo che vide le squadre chiudere in parità (1-1) con reti di Pelé e Boninsegna. Poi nella ripresa il centrocampo si sfaldò gradatamente sotto la spinta dei giocolieri brasiliani che ebbero vita facile ad imporci un 4-1 complessivo.

Con la conquista del secondo posto in terra messicana si chiude il tempo dell’ascesa di Gigi Riva verso i vertici del calcio mondiale. In Italia eccelle ancora, nel 72 è ancora secondo nella classifica dei cannonieri, ma gli infortuni ed il progressivo disgregarsi della compagine cagliaritana lo portano a livelli che non sono certamente i suoi. Dopo il Messico, Valcareggi rimane «prigioniero del sogno», non vuol cambiare una squadra che è ormai logorata da un quinquennio di successi accompagnati troppo spesso da polemiche faziose. Gigi comunque rimane in Nazionale fino ai Mondiali di Germania. Le ultime prestazioni gli hanno valso il record assoluto fra i cannonieri azzurri di tutti i tempi, uno dei suoi gol famosi lo segna al Brasile (9-6-73: 2-0) poi l’ultimo in maglia azzurra alla Svizzera il 20-10-73 (2-0). E’ poi travolto con gli altri «messicani» nell’insuccesso dei Mondiali in quel di Monaco nel 1974: l’ultimo cartellino azzurro è timbrato nel match contro l’Argentina.

L’ULTIMA PARTITA

Ed ecco l’ultima beffa che si accoda ad una lunga serie di incidenti: l’1 febbraio del 1976 si gioca Cagliari – Milan, Gigi sta disputando un campionato onorevole per salvare il suo Cagliari dal baratro della retrocessione. In quindici partite ha segnato sei gol, una media discreta, non eccezionale ma certamente buona per uno come lui che ha ormai trentadue primavere sulle spalle e che gli incidenti hanno certamente fiaccato sul piano della resistenza alla fatica. Si avventa su una palla verso la bandierina del calcio d’angolo, è seguito da Bet. Non c’è il minimo contrasto, Riva sta per controllare la palla quando si blocca e cade a terra. Si capisce che è successo qualcosa di grave: la diagnosi è feroce: rottura di un tendine della coscia destra. E’ l’addio al calcio.

E’ stato senz’altro il più grande attaccante italiano di tutti i tempi e le cifre lo confermano. Ma le cifre a volte sono aridi conteggi senza anima. Con lui è diverso, perché ogni gol che ha segnato non è stato casuale. E’ stato fortemente voluto, tenacemente, pervicacemente cercato con volontà estrema. Il gol per Gigi era come un atto d’amore. Le sue mani al cielo, la liberazione dall’angoscia opprimente.