ROBERTO PRUZZO – Intervista giugno 1981

«Ho sognato per una vita questo titolo e adesso che l’ho vinto non sento niente. A cosa è servito? Neppure a vincere uno scudetto che avremmo strameritato. Lo so che i tifosi non mi amano, che a molti sono antipatico: colpa mia, del mio carattere, vorrei cambiare ma non ci riesco. Falcao è un fuoriclasse, ma a me sarebbe servito un Rivera, con lui mi sarei stancato di fare gol…»

Mister mugugno

ROMA – Avvolto dalla pellicola protettiva di diciotto gol, dal nome riconosciuto, dal danaro sicuro, dal prestigio collaudato, Roberto Pruzzo non dovrebbe aver più sogni, desideri impossibili, fantasmi da esorcizzare, al capolinea di questa stagione calcistica. E Roma, se non proprio l’Italia del pallone, dovrebbe rendergli gli onori che si devono d’abitudine al capocannoniere, al tiratore principe, all’uomo che calamita da sempre le immagini più affascinanti negli stadi a qualsiasi latitudine. Invece non è così. Invece non può smettere di brontolare e di torturarsi. E’ finito tutto troppo in fretta, gli restano i rimpianti nello sguardo, i silenzi intorno, i languori e le speranze per le vacanze che ritornano. Riandrà a riposarsi davanti al mare di Recco, riviera di Levante. Ripenserà all’annata delle occasioni irripetibili, allo scudetto che poteva essere e non è stato, ai gol mancati d’un niente, Sempre questi gol: un amore-odio, croce e delizia, maledizione e incantamento.
Magia e supplizio. Pruzzo, perché? Perché nemmeno diciotto reti sbastano a buttar via i rimorsi, a dissipare le critiche, a sconfiggere i «se» e i «ma», a capovolgere il suo destino di bomber antipatico?

DELUSIONE – In una mattinata di sole estivo cominciamo il viaggio nella delusione idi quello che dovrebbe essere il più felice dei centro-avanti. Con le spalle appoggiate al muro dello spogliatoio sembra preoccupato della difesa, gli occhi controllano come radar l’habitat di tanti allenamenti. Pruzzo perché? «Forse perché pretenda sempre di dire la verità e magari finisco per complicare la vita a me stesso, a quanti mi ascoltano. Forse perché… Sì, io e Turone siamo i più, brontoloni della Roma, O perlomeno ci hanno appiccicato questa etichetta. O forse perché…».
– Perché dicono che lei è un pauroso; sì, insomma, in campo non è proprio un cuor di leone. E basta che senta un dolorino, una fitta, per spaventarsi. Avesse un’altra tempra, un altro carattere sarebbe già titolare della Nazionale e la Roma avrebbe vinto lo scudetto. E dei romani sarebbe diventato l’idolo.
«Sono quello che sono, non posso cambiarmi. A volte vorrei essere meno chiuso e scontroso, ma non riesco. Non accetto però che si metta in dubbio la mia generosità agonistica, il mio attaccamento alla maglia, alla società. Sì, è vero, negli ultimi due mesi di campionato non ho reso come avrei potuto, proprio perché non mi sono mai trovato in perfette condizioni fisiche. Ci sono state occasioni in cui ho voluto giocare per forza, poi mi sono reso conto di aver fatto un danno alla squadra. Un uomo da area di rigore come me, per lottare, per realizzare al meglio la propria prestazione, deve essere concentrato, lai muscoli al posto, in piena forma. I compromessi non servono, fingere non serve. E io non so fingere, non sono un egoista. Ci ho provato ma non ci riesco. Altri centravanti, più egoisti e furbi di me, riescono a mascherare meglio i guai muscolari che fatalmente capitano nel corso d’un campionato».
– E’ vero che a volte si allena di malavoglia; e che magari fuma qualche sigaretta di troppo; e che magari non sempre riesce a rispettare orari da atleta…
«Bisognerebbe chiederlo al signor Liedholm: io m’impegno, sono un professionista rispettoso al massimo del suo lavoro. Ma non esiste solo il calcio nella mia esistenza. Non riesco a vivere isolato, come dentro un acquario. E mi piace sciare in montagna, mi piace il mare di scoglio. Così, quando a febbraio si decise d’andare a Roccaraso per una settimana d’ossigenazione, fecero scandalo certe mie foto da sciatore sulle nevi. I tifosi dissero che non avevano bisogno di uno Stenmark, il presidente Viola ordinò il silenzio stampa e che non ci esibissimo più in nessuna discesa lungo gli impianti. Io certe esagerazioni non le capisco, ma disciplinatamente mi sono sempre adeguato. Io mi alleno come può il mio fisico tozzo e potente. Io posso scattare soltanto a passi brevi e fare gol chiudendo il triangolo, o di testa, o in un determinato modo dentro l’area. Non vedo in attività chi ci sia meglio dì me».

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ALTRUISTA – A che le serve aver vinto la classifica dei cannonieri?
«E’ strano scoprire che serve a poco, forse a niente. Prima di riuscirci ci tenevo tanto, pensavo che per un centravanti fosse il titolo più prestigioso, la consacrazione ufficiale del suo valore, delle sue capacità. Vero niente. O almeno con la rabbia che ho, in questo momento, mi convinco che non è vero. Avevo già segnato 18 reti in altre due stagioni e se non sbaglio, mi ero ritrovato più orgoglioso di me, più appagato. Mi capitò col Genoa nel torneo di B nel 1974-75 in 33 partite, e l’anno successivo in A sempre col Genoa. In quell’anno lì, fui preceduto da Graziani e tutti elencavano le doti fenomenali di Graziani, e i miei gol passarono quasi senza lasciare traccia. Ma a me non importava, era contento egualmente, pensavo che in futuro, chissà, avrei fatto ancora meglio, avrei conquistato il titolo di capocannoniere e avrebbero smesso di chiamarmi ironicamente “mister due miliardi”. Ecco, ci sono riuscito, ma non provo niente. Avrei ceduto volentieri questa prerogativa in cambio dello scudetto della Roma… Liedholm mi ha insegnato ad essere sempre più altruista. Io finora, tra serie A e B, ho messo a segno 78 gol su 229 partite. Ma è come se i miei gol fossero meno importanti, meno pesanti, menò gol, di quelli degli altri. E’ il mio destino. Io sono nato il primo aprile e il mio segno zodiacale è l’ariete. Fossi nato il 2 aprile 1955».
– I conti si fanno alla svelta: diciotto gol con due triplette in mezzo a sette rigori… ecco perché forse i tifosi non sono rimasti abbagliati… I gol di Pruzzo sono, mancati nelle partite in teoria facili, e la Roma ha perso lo scudetto con tutti quei pareggi in casa…
«Ma in casa abbiamo fatto gli stessi punti della Juve! Noi lo scudetto lo abbiamo perso ingiustamente a Torino contro la Juventus. Non riesco a rassegnarmi… Quel gol di Turone a Torino era sacrosanto, ci avrebbe permesso dopo 40 anni di avere quanto meritavamo. Invece abbiamo perso per una differenza minima, che il campo non ha mai stabilito. E presto la gente dimenticherà: viva la Juventus campione per l’ennesima volta, il resto non, conta. Poi purtroppo io mi sono fermato a quota diciotto. Potevo e dovevo arrivare perlomeno a quota ventidue… Nei momenti decisivi mi manca quel po’ di fortuna che serve. Io credo d’aver migliorato grazie al mister la mia personalità atletica e tecnica, ma non è stato sufficiente. Si diventa Boninsegna o Bettega anche con un po’ di fortuna e magari con un carattere diverso dal mio. Io brontolo ma al dunque mi faccio troppo gli affari miei. Non sono sufficientemente ambizioso: quando non giocherò più vorrei vivere in una fattoria di campagna e darmi al “tresette”. Quando non giocherò più, smetterò di mangiarmi le unghie».

NEMBO KID – Il dott. Alicicco ha spesso ripetuto che i suoi dolori muscolari e le sue contratture sono stati amplificati da problemi di carattere psicologico. Il primo a convincersi d’essere a posto doveva essere proprio lei… Come dire che la Roma non ha mai potuto contare su un Pruzzo-Nembo Kid specie nella stretta finale…
«Siamo stati in testa ventuno giornate di seguito, poi dalla ventiduesima alla venticinquesima. Siamo stati beffati, Non lo dimenticherò più. Né riesco a consolarmi coi primati che abbiamo stabilito: l’imbattibilità interna, la miglior serie positiva, il record d’incasso con cinque miliardi e trecento milioni tra biglietti venduti e abbonamenti. Nel calcio conta esclusivamente chi vince e noi lo strameritavamo. I nostri risultati sono scaturiti dalla nuova mentalità, dalla convinzione di valere. Quando segnai quel gol all’Inter, negli ultimi minuti d’una partita indimenticabile all’Olimpico, credevo proprio che nessuno avrebbe potuto impedirci di catturare lo scudetto. E’ stato il più bel gol della mia carriera. E che m’importa, se da 40 anni la Roma non andava tanto bene?».
– Pruzzo resta antipatico. Pruzzo resta chiuso in Nazionale e senza titoli da mettere tra i ricordi…
«E’ tutto concatenato: se avessimo vinto lo scudetto, sarei arrivato perfino prima o poi a conquistare una maglia da titolare nel club Italia, invece…».
– Invece gli idoli di Roma restano Falcao, Liedholm… E l’immagine del grande centravanti a Roma si è persa dopo l’addio di Chinaglia e le disgrazie di Giordano… Eppure anche lei è nella corporazione giocatori di calcio miliardari…
«Ma io a Roma, nei primi anni, non ho avuto niente facile. La squadra non andava, Giagnoni fu esonerato. E i tifosi volevano che promettessi qualcosa, che fossi degno di quanto ero costato. Ma che era colpa mia? Io dovevo andare al Milan e mi sono ritrovato a cercar casa a Roma. Grandi problemi d’ ambientamento, una fatica terribile, nessuno riusciva a trovarmi casa. A Falcao l’hanno trovata in quattro giorni. Ma è pure giusto, io capisco la differenze! Falcao ha permesso alla Roma il salto di qualità, è un fuoriclasse. Io poi sono convinto che abbia reso solo al cinquanta per cento, per cui nella prossima stagione saranno dolori per le squadre concorrenti. Solo che io per risaltare meglio nel ruolo, avrei bisogno d’un Rivera. E di Rivera non ne esistono più. Io nel Genoa ho giocato alcune partite con l’ultimo Corso e mi sentivo già in paradiso. Peccato che non ho potuto mai giocare con Rivera. ecco: nella Roma, se fosse possibile un altro straniero, ci vedrei bene esclusivamente Maradona».

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FRUTTI DI MARE – Diventerebbe tutto maledettamente facile…
«E sarebbe ora, visto che non ho mai avuto niente di facile e ho sempre trovato il gol soltanto perché lo cerco di rabbia, lo sradico, lo rubo… Io quando le cose vanno bene mi esalto, mi aumenta lo spirito di sacrificio, mi convinco d’ avere più messi di quelli che ho. Io vorrei avere un tiro preciso e magari vorrei saper collaborare meglio coi compagni in campo e fuori. Mi odio quando mi sorprendo isolato, fuori del gruppo, solo. Io non mi piaccio mica. Io vorrei avere la comicità d’un Walter Chiari per sdrammatizzare oppure la faccia d’un Warren Beatty. E allora sono convinto che saprei vendere meglio la mia merce e risulterei più gradito ai giornalisti, ai tifosi, ai compagni, agli avversari. A me mi hanno picchiato come a nessun altro, i difensori d’annata. E io zitto! Non sono nemmeno capace di restituire la scorrettezza, quando l’arbitro non vede. Non sono un furbo. Sono di Crocefieschi, non di Trastevere. Ma non sono nemmeno parsimonioso come i genovesi, io non bado ai soldi. Io gioco perché mia moglie Brunella abbia la pelliccia e tutto quello che le piace; perché mio figlio possa avere tutto quello che non ho avuto io. Altrimenti, a che servirebbe essere il centravanti della Roma dal 1978, dopo cinque stagioni al Genoa… Mio padre rattoppava strade a 724 metri sul mare. Nel paese sono cresciuto senza campo sportivo».
– Dicono di lei: è goloso, non rispetta le diete, tende a ingrassare è vero?
«Mi meraviglierei se non avessi neppure un difetto, una debolezza. Però mi controllo; so trattenermi a costo di soffrire. Mi piacciono molto i frutti di mare e un bicchiere di barbera».
– A ventisei anni si sente realizzato?
«Per un punto, ancora no. Sono sempre ad un passo dal realizzarmi».
– Teme d’essere ceduto?
«Non ho paura che capiti, non escludo niente. Mi piacerebbe restare nella grande Roma ma se decidessero… vuol dir che andrò altrove, cercando di dare il meglio. Qui sono sempre stato Pruzzo e basta. Non mi sono illuso, neppure una domenica, d’essere diventato l’ottavo Re di Roma».