Roma-Inter: Herrera… humanum est

Dopo aver fatto grande l’Inter, il mago accettò la corte della Roma e alla fine degli Anni Sessanta approdò alle foci del Tevere. Ma i sogni di gloria della tifoseria giallorossa naufragarono molto presto: come le ambizioni di HH nelle sfide con la sua vecchia squadra…


Quando nell’estate del 1968 il Presidente Alvaro Marchini annunciò alla piazza giallorossa che il nuovo allenatore della Roma sarebbe stato nientepopodimeno che il mago , ci fu chi propose di riaprire il famoso balcone di Piazza Venezia per farvi affacciare il presidente della Roma a godersi il… meritato trionfo. E sarebbe stato un bel fatto davvero perché Alvaro Marchini, neopresidente della più amata e turbolenta società del centro-sud era un dirigente di primissimo piano del vecchio PCI, il Partito Comunista Italiano.

H.H. in quel lontano 1968 era figura carismatica del nostro calcio. Aveva appena lasciato l’Inter, dopo il ritiro di Moratti e l’addio di Italo Allodi, e la sua persona era circondata dal meritato alone di cento vittorie, in campionato e in campo internazionale. Nella Capitale dissero che il tempo dello scudetto era finalmente tornato ad aleggiare sui colli fatali di Roma e si fregarono le mani in attesa degli sconquassi che i giallorossi avrebbero fatto nell’imminente torneo (Helenio Herrera, tecnico straniero, per la verità non avrebbe potuto, a norma di Regolamento, cambiare società: ma a Roma trovare un escamotage per un regolamento è un giochetto da ragazzi e in quattro e quattro otto la società di Marchini ottenne la deroga: e fagocitò H.H.).

Furono subito guai grossi. Don Helenio sembrava aver lasciato a Milano le virtù taumaturgiche che lo avevano reso famoso nel mondo. Sia per il ponentino romano che illanguidisce anche i più rudi combattenti della pelota, sia per l’ambiente in perenne agitazione che da sempre tormenta la Roma, sia per l’accanita opposizione dei « giovani turchi» capeggiati da tale Gaetano Anzalone, sta di fatto che H.H., al suo primo campionato in giallorosso, non combinò un fico secco. E molti fecero pressione presso Alvaro Marchini perché lo cacciasse sui due piedi (sic transit gloria mundi…).

Helenio Herrera e Fabio Capello

Marchini tenne duro e al secondo campionato H.H. frantumò un record indubbiamente prestigioso (per lui): riuscì, infatti, ad ottenere dal suo prodigo Presidente la bella somma di lire 259 milioni quale ingaggio personale. Avete letto benissimo: duecentocinquantanove milioni, tasse a carico della Roma, e dico milioni di lire degli anni ’70. Ma la Roma, direte voi, quell’anno vinse il campionato… E sbagliate di grosso perché la Roma, quell’anno, sfiorò addirittura la retrocessione!

Niente paura: i tifosi giallorossi erano talmente felici di avere il mago in casa che, all’ultima di campionato, quando il Bologna andò a vincere per 2 a 1 all’Olimpico, alla fine dell’incontro invasero il campo. Oh, no mica per suonarle al mago: più semplicemente per portarlo in trionfo. Il trionfo di un undicesimo posto che, ripeto, per poco non coinvolse i giallorossi nella bagarre della Serie B.

Di soddisfazioni, quella Roma se ne procurò poche davvero. Per esempio: Helenio Herrera ci teneva moltissimo ai confronti con la sua ex-squadra, l’Inter, intanto passata alla guida del suo rivale quasi omonimo, il paraguagio Heriberto Herrera: e dopo averla battuta all’andata, puntò grosso sul ritorno, quando la Roma si presentò a San Siro il primo febbraio del 1970.

Era il campionato del Cagliari di Gigi Riva, che imperversava dappertutto con i gol di Rombo di Tuono. L’Inter navigava alle spalle dei sardi, in folta compagnia: la compagnia di Juve, Fiorentina, Milan e Napoli. E quel giorno il Cagliari doveva giocare a Roma contro la Lazio dove, si pensava, avrebbe anche potuto beccarle. E l’Inter, ospitando una Rometta zoppicante, aveva buone speranze di guadagnare due lunghezze sui rossoblù dell’isola.

Figuratevi se don Helenio non ci teneva a mettere i bastoni fra le ruote alla sua ex-squadra: se i nerazzurri avessero vinto lo scudetto anche senza di lui, lo smacco sarebbe stato insopportabile. Perciò tutti a San Siro, dove la Roma gliele avrebbe fatte vedere ai milanesi che avevano osato liberarsi del mago…

Agli ordini di Lo Bello, non ancora onorevole ma molto onorato principe del fischietto, le squadre si schierano nelle formazioni migliori. L’Inter con: Vieri; Burgnich, Facchetti; Suarez, Landini I, Cella; Reif, Mazzola, Boninsegna, Bertini, Corso. La Roma si affida a: Ginulfi; Bet, Petrelli; Spinosi, Cappelli, Santarini; Cappellini, Salvori, Landini II, Cordova, Scaratti.

Partenza rutilante della Roma, che aggredisce la difesa nerazzurra e… al 20’ subisce il primo gol: è Boninsegna a fare secco il bravo Ginulfi con una bordata delle sue. L’orgoglio dei romani si affloscia come un palloncino bucato, Herrera si agita invano sulla panchina, l’Inter passeggia letteralmente e nella ripresa Lo Bello fa il resto. Fallo di Spinosi sul mancino Corso, rigore. Bertini, con una bomba impressionante, fissa il punteggio sul due a zero che chiude la partita. Quando H.H. lascia San Siro, non è precisamente un coro di approvazioni quello che lo accompagna all’uscita..

L’anno successivo è un anno gonfio di amarezze per il mago. Durante l’estate succede che Alvaro Marchini, evidentemente mal consigliato, accetta le offerte della Juve per i tre gioielli giallorossi, Fabio Capello, Luciano Spinosi e Fausto Landini, che passano a vestire la maglia bianconera in cambio di milioni più Del Sol e Zigoni.

Apriti Cielo! A Roma i tifosi insorgono furibondi, Marchini viene insultato ogni qual volta osa presentarsi in pubblico, H.H. perde, di colpo, tutta la sua popolarità, la piazza è in perenne agitazione. Il pareggio che la Roma impone all’Inter a San Siro alla seconda giornata del campionato giocando una buona partita con lo spagnolo Del Sol (autentico campione, già appartenente al famoso Real Madrid) in vivissima luce, non lenisce per niente il bruciore dei tifosi romani, che strepitano per la perdita dei loro beneamati gioielli.

E si va avanti fra tumulti, contestazioni, colpi di scena fino a che Herrera non viene clamorosamente defenestrato a furor di popolo. Gli succede il modesto Tessari, il solito «secondo» pescato nelle giovanili, e don Helenio si dedica alle sue tormentate vicende personali. Roma ne ha bruciati di idoli apparentemente intoccabili…

La rosa della Roma 1971/72: Herrera è ancora in corsa

Incredibile, ma scrupolosamente, anzi storicamente vero, di lì a qualche mese Helenio Herrera ritorna, trionfalmente, alla Roma! Ovviamente, dopo tutta una lunga, clamorosa successione di colpi di scena. La posizione di Alvaro Marchini si fa sempre più pericolante e Gaetano Anzalone, il più fiero tra gli oppositori del presidente, pone l’aut-aut: o si rinforza la Roma e scoppia la… rivoluzione.

Ma sapete cosa propone, Anzalone, per rafforzare la Roma? L’immediata riassunzione di quell’Helenio Herrera che proprio lui, Gaetano Anzalone, aveva contribuito a defenestrare facendo la fronda a Marchini… Don Alvaro ha un sussulto di orgoglio e dice: se torna Helenio io me ne vado. Anzalone non aspetta altro, assume la presidenza e H.H. fa il suo felice ritorno nella Capitale.

Fra le prime squadre ad incontrare la Roma fu proprio l’Inter, che subisce, all’Olimpico, una sonora disfatta: 3 a 1 per i giallorossi, che guadagnano la seconda posizione in classifica, alle spalle del Torino, e sembrano avviati verso luminosi traguardi. Ma col prosieguo del torneo le ambizioni romane vengono sempre più ridimensionate anche se nel ritorno, a San Siro, i giallorossi si rendono protagonisti di una buona partita. E chiudono in pareggio, per 2 a 2, con due gol dell’ala destra La Rosa, che quel giorno manda in bambola Giacinto Facchetti. Finisce con l’Inter a 36 punti e la Roma a 35.

Sarà l’ultimo bagliore di gloria romana per H.H., che l’anno successivo, con la squadra ancora una volta in pericolo di retrocessione, verrà cacciato di nuovo alla 24esima giornata dopo uno scialbo pareggio con la Ternana per far posto a Trebiciani.