Romario e Bebeto : Rock in the USA

Il gatto di strada e il padre di famiglia. La festa e il dovere. Due anime agli antipodi unite da un’amicizia straordinaria portarono il Brasile sul tetto del mondo a USA ’94.

Le grandi storie del calcio nascono spesso da contrasti apparentemente inconciliabili. Nel 1994, due personalità agli antipodi si ritrovarono a guidare l’attacco della nazionale brasiliana verso la gloria mondiale: Romario e Bebeto, il duo più improbabile e al tempo stesso più letale del calcio mondiale.

Romario incarnava l’essenza del “gatto di strada”, come amava definirsi. Irriverente e imprevedibile, la sua vita fuori dal campo era tanto spettacolare quanto le sue prodezze in area di rigore. Il suo matrimonio in diretta TV su un campo da calcio con una diciassettenne era solo la punta dell’iceberg di una personalità vulcanica, che alternava notti brave a gesti di pura genialità calcistica. 

All’altro angolo del ring c’era Bebeto, l’antitesi perfetta. Con i suoi minuscoli scarpini numero 40 e un’indole pacata, rappresentava il professionista modello, l’uomo di famiglia, metodico e affidabile. Un giocatore che faceva della costanza e della dedizione le sue armi principali.

Sulla carta, questa coppia sembrava destinata al fallimento. Come potevano due personalità così diverse coesistere nel reparto offensivo della Seleção? Eppure, proprio queste differenze si sarebbero rivelate la chiave di un successo straordinario, dimostrando che nel calcio, come nella vita, gli opposti non solo si attraggono, ma possono creare magia pura.

Tensioni e drammi prima del Mondiale

Alla vigilia del Mondiale americano, il clima intorno alla coppia d’attacco brasiliana era tutt’altro che sereno. L’episodio dell’aereo, con Romario che si rifiutò platealmente di sedersi accanto a Bebeto, fu solo l’ultimo di una serie di segnali che facevano presagire una frattura insanabile. La stampa, sempre pronta a cavalcare le polemiche, non si lasciò sfuggire l’occasione per alimentare le voci di una rivalità profonda.

Ma la vita avrebbe presto messo entrambi di fronte a prove ben più dure. Nel giugno del ’94, a pochi giorni dall’inizio del torneo, la moglie incinta di Bebeto subì un tentativo di rapimento a mano armata. I criminali puntavano in realtà al fratello dell’attaccante, ma l’episodio scosse profondamente il calciatore. Quasi contemporaneamente, un dramma ancora più inquietante colpì Romario: suo padre venne sequestrato e tenuto in ostaggio per quasi una settimana. In un risvolto quasi surreale della vicenda, fu proprio uno dei rapitori a fornire informazioni decisive alla polizia, mosso dalla preoccupazione che il trauma potesse compromettere le prestazioni di Romario al Mondiale.

Questi eventi drammatici, paradossalmente, contribuirono a riavvicinare i due attaccanti. Di fronte alle minacce reali della vita, le tensioni sportive passarono in secondo piano. La stampa, che fino a quel momento aveva alimentato le voci di una rivalità insanabile, si trovò di fronte a una storia diversa: quella di due uomini che, nonostante le differenze, condividevano un destino comune e una missione: riportare il Brasile sul tetto del mondo.

Romario abbraccia i genitori dopo il sequestro-lampo del padre

La riconciliazione

La gente ci ha sempre messo l’uno contro l’altro, e questo accadeva già prima del 1994“. Le parole di Bebeto, rilasciate anni dopo alla rivista FourFourTwo, raccontano una verità diversa da quella che i media avevano costruito. Il rapporto tra i due attaccanti, infatti, era molto più profondo e sincero di quanto apparisse all’esterno.

Fu proprio Romario, il presunto ribelle della coppia, a proporre un gesto simbolico che avrebbe zittito le malelingue: uscire dal campo con la mano sulla spalla del compagno. Un’immagine che valeva più di mille parole e che smontava mesi di speculazioni giornalistiche sulla loro presunta rivalità.

Sul campo, la loro intesa raggiunse livelli quasi telepatici. Durante gli allenamenti tattici, il CT Parreira spesso li dispensava dalle esercitazioni di squadra. “Non ne avevamo bisogno“, ricordò Romario, “ci conoscevamo già alla perfezione“. Era come se parlassero un linguaggio segreto, comprensibile solo a loro due.

Bebeto accettò con naturalezza il suo ruolo di gregario di lusso, consapevole che il genio di Romario in area di rigore meritava qualche chilometro in più di corsa. “Sapevo di dover correre un po’ per Romario“, ammise, “ma era un genio nell’area di rigore, quindi non mi pesava farlo“. Una divisione dei compiti che nasceva spontanea, senza bisogno di accordi o discussioni.

La loro complementarietà divenne la chiave di volta del Brasile: dove uno terminava, l’altro iniziava, in una danza perfettamente sincronizzata che avrebbe incantato l’America.

Il cammino verso la gloria

Il Mondiale ’94 si aprì con il Brasile sotto i riflettori a Stanford, contro un’enigmatica Russia. Fu subito chiaro che la coppia RomarioBebeto aveva intenzione di lasciare il segno: un corner perfetto di Bebeto trovò la deviazione vincente di Romario, che poco dopo si procurò anche il rigore del 2-0 trasformato da Rai. Era solo l’inizio di una sinfonia perfetta.

Contro il Camerun, entrambi trovarono la via del gol in un convincente 3-0 che confermò le ambizioni verdeoro. Romario completò il suo personale tris nel girone segnando anche nella sfida con la Svezia, terminata 1-1. Il Brasile stava carburando, e i suoi due attaccanti sembravano sempre più in sintonia.

Negli ottavi di finale contro gli Stati Uniti padroni di casa che la loro partnership toccò vette sublimi. In una partita complicata dall’espulsione di Leonardo al 43′ minuto per una gomitata a Tab Ramos, fu Bebeto a prendere per mano la squadra. Nell’intervallo, mentre Leonardo piangeva disperato negli spogliatoi, Bebeto gli promise che avrebbe segnato il gol della vittoria. Una promessa che sapeva di sfida impossibile, considerando il caldo torrido e l’uomo in meno.

Ma il destino aveva deciso di sorridere alla Seleção. Al 72′ minuto, dopo una serpentina di Romario dalla metà campo che mandò in tilt la difesa americana, Bebeto si trovò a tu per tu con il portiere e mantenne la promessa: gol e vittoria. L’abbraccio tra i due che seguì fu qualcosa di più di una semplice esultanza. Fu un momento di pura emozione che andava oltre le differenze caratteriali e gli stereotipi costruiti dalla stampa. Il New York Times, pur amareggiato per l’eliminazione dei padroni di casa, non poté fare altro che inchinarsi, definendo i due attaccanti “Lethal Weapon I e II”, in un omaggio cinematografico che fotografava perfettamente la loro letale efficacia.

Il gesto della culla

Ma fu nei quarti di finale contro l’Olanda che la storia del calcio si arricchì di uno dei suoi momenti più poetici. Dopo aver superato brillantemente l’uscita di de Goey, Bebeto si trovò a celebrare il gol in un modo che avrebbe fatto il giro del mondo. Con un gesto spontaneo e colmo d’amore, iniziò a cullare un bambino immaginario, dondolando le braccia dolcemente. Era il suo modo di salutare il piccolo Mattheus, venuto alla luce appena tre giorni prima in Brasile.

In un istante magico, Romario e Mazinho si unirono a quella danza di gioia, creando una coreografia improvvisata che sarebbe diventata immortale. Tre uomini, gladiatori del calcio, che per un momento si trasformarono in papà teneri e orgogliosi davanti agli occhi del mondo intero. “Era qualcosa a cui avevo pensato prima della partita“, avrebbe poi rivelato Bebeto, “non potevo non dedicare quel momento a mio figlio“.

Quella celebrazione, nata dall’amore di un padre, è diventata una delle esultanze più imitate nella storia del calcio. “Ovunque io vada, in ogni angolo del pianeta, i tifosi vogliono parlare di quel momento“, ha raccontato anni dopo Bebeto. Un’eredità che si è tramandata attraverso le generazioni, tanto che lo stesso Mattheus ha seguito le orme del padre, diventando calciatore professionista. Come se quel dolce cullare a bordo campo gli avesse trasmesso, insieme all’amore paterno, anche la passione per il pallone.

La finale e il trionfo

La finale contro l’Italia al Rose Bowl di Pasadena rappresentò l’apice di un percorso straordinario. Gli Azzurri di Sacchi, arrivati all’atto conclusivo dopo un cammino a dir poco travagliato iniziato con la sconfitta contro l’Irlanda, si trovarono di fronte un Brasile che sembrava destinato a riscrivere la storia.

La partita si rivelò una battaglia di nervi. Sia Bebeto che Romario ebbero le loro chances, mentre il tiro potente di Mauro Silva fece tremare il palo dopo una respinta incerta di Pagliuca. Ma dopo 120 minuti di gioco senza reti, furono i rigori a decidere il destino delle due squadre.

Nel momento della verità, quando Parreira chiese chi se la sentisse di tirare, Romario si fece avanti nonostante un particolare inquietante: “Ero nervoso perché non avevo mai calciato un rigore con la nazionale“, avrebbe confessato anni dopo. “Non li provavo nemmeno in allenamento.” Dopo gli errori iniziali di Baresi e Santos, sia Romario che Bebeto si dimostrarono implacabili dal dischetto.

Quando Roberto Baggio calciò il suo penalty verso il cielo di Pasadena, il Brasile poté finalmente celebrare il suo quarto titolo mondiale. Romario, premiato con il Pallone d’Oro del torneo e futuro FIFA World Player of the Year, aveva trovato in Bebeto il partner perfetto per riportare il Brasile sul tetto del mondo dopo 24 anni di attesa.

La loro esultanza finale, con le lacrime che si mescolavano ai sorrisi, rappresentò il coronamento di un’amicizia nata dalle differenze e fortificata dalle vittorie.

Un’amicizia speciale

Anni dopo, davanti alle telecamere di Globo Esporte, Romario e Bebeto si ritrovarono a rivivere quei momenti magici del ’94. Le lacrime che scesero sui loro volti mentre rivedevano le immagini della vittoria mondiale raccontavano più di mille parole. Due uomini che la vita aveva plasmato in modo completamente diverso, ma che il calcio aveva unito in un legame indissolubile.

L’unica cosa che abbiamo in comune è che segniamo gol“, aveva detto Romario durante il Mondiale. Una frase che il tempo ha dimostrato essere riduttiva. Condividevano molto di più: la passione per il calcio, il senso del sacrificio, la capacità di mettere da parte le differenze per un obiettivo comune.

Il “Gatto di Strada” con la sua imprevedibilità e il genio in area di rigore. Il “Family Man” con la sua costanza e la sua dedizione. Due facce della stessa medaglia che hanno scritto una delle pagine più belle del calcio brasiliano.