ROSA ROSA Domenico: Don Mimì e la Stella del Sud

Grande intenditore di calcio e di uomini, portò il Foggia in B all’esordio centrando poi anche la prima storica promozione nella massima serie in cui restò per tre campionati. Lasciò dopo 6 anni con 26 milioni di attivo in banca

Domenico Rosa Rosa, napoletano di Castellammare di Stabia, don Mimì per deferenza e simpatia, è stato lo storico presidente del Foggia quando la squadra pugliese era “la Stella del Sud” e approdò per la prima volta in Serie A, stagione 1964-65, rimanendovi tre campionati.

Giunse in Puglia scampando, a Dachau, il campo di concentramento nazista. C’era arrivato deportato dai tedeschi l’8 settembre 1943 mentre stava concludendo a Savona il corso di allievo ufficiale. A Dachau si salvò quando un gerarca fascista gli propose di scegliere tra l’esercito di Salò o fare il libero lavoratore in Germania.

Scelse la Germania aspettando per due anni l’arrivo dei russi e la fine del conflitto. Rientrò in Italia e raggiunse Manfredonia dove il padre aveva un’impresa di legnami. Lavorò alla ricostruzione dell’azienda, ne aprì un’altra a Foggia e divenne un imprenditore di spicco in Capitanata.

Al calcio aveva giocato da ragazzo, centromediano sul campo dei Salesiani a Castellammare, poi a soli 17 anni vicepresidente dello Stabia. Stabilitosi in Puglia, Rosa Rosa incontrò il Foggia. Fu chiamato alla vicepresidenza dal sottosegretario democristiano Gustavo De Meo, forte personalità politica locale. Rimase poi consigliere a lungo sotto la presidenza Piccapane con cui conquistò la storica prima promozione in Serie B dei “satanelli”.

L’impresa di Rosa Rosa, il Foggia in Serie A (collezione privata famiglia Rosa Rosa)

Non c’era molto feeling fra Rosa Rosa e Piccapane e neanche tra Rosa Rosa e l’allenatore Costagliola. Al tecnico don Mimì consigliò di ingaggiare due centrocampisti veloci, ma l’ex portiere del Bari preferì un deludente centravanti tarantino, Fiorindi. Le cose andarono malissimo. Dopo una sconfitta clamorosa, Costagliola sparì e non si fece più vedere. Gli subentrò Tabanelli, ma la sorte era segnata: ritorno in C. Il presidente Armando Piccapane, grande testa calva e politico monarchico, voleva abbandonare. De Meo intervenne ancora con Rosa Rosa invitandolo ad assumere la presidenza. Mimì Rosa Rosa era un grosso imprenditore e un grande intenditore di calcio, nessuno meglio di lui poteva farlo.

Domenico Rosa Rosa diventò presidente il 7 settembre 1961 e quel giorno nacque sua figlia Daniela (poi verrà il maschio, Gioacchino), ponendo una condizione: avrebbe lasciato dopo il ritorno in Serie B. Trattenne nel Consiglio Antonio Fesce (che poi avrebbe guidato il Foggia per 16 anni) e si mise alla ricerca di un tecnico emergente e di poche pretese. Lo individuò in Oronzo Pugliese che allenava il Siena. Convocò giocatori e fornitori e disse: «Vi saldo tutti i crediti, ogni 27 del mese troverete i soldi in banca». Fece tre acquisti: il mediano Ghedini, il terzino Corradi e la mezzala Danova. Pugliese dette alla squadra grinta e gioco.

Doveva essere un campionato di assestamento, fu una cavalcata con 15 gol di Cosimo Nocera, smilzo e tosto scugnizzo napoletano di Secondigliano. Promozione in Serie B al primo colpo. Al ritorno dalla partita decisiva a Benevento, vinta per 2-0, Rosa Rosa riunì la squadra all’Hotel Sarti e distribuì ai giocatori un milione a testa, poco meno di quanto prendevano per l’intera stagione. Nocera per poco non svenne. Prendeva 55mila lire al mese e in trattoria spendeva 500 lire per mangiare. Girava per Foggia in bicicletta finché la madre gli regalò una 600 perché non si sottoponesse più ai disagevoli viaggi in treno da Foggia a Napoli. In B avrebbe toccato le stelle: 200mila lire al mese e 10mila lire a punto.

Foggia 1963/64: arriva la serie A

Conquistata la Serie B, Rosa Rosa non lasciò: per passione e per le nuove pressioni del sottosegretario De Meo. Portò il bilancio della società in pareggio, sconfisse i portoghesi con rigidi controlli alle porte dello stadio e ampliò la capienza dello “Zaccheria” facendo costruire nella curva vuota una tribuna in legno e tubi metallici. In Serie B le soddisfazioni non mancarono. Il Foggia vinse clamorosamente a Udine (7-2) in un giorno di pioggia e gol devastanti nella porta friulana difesa da Zoff. Nocera segnò tre reti. Degli attaccanti rimase all’asciutto Patino, l’ala sinistra. Se il bottino non risultò più eclatante fu perché tutti continuarono a passare la palla a lui che proprio non riusciva a metterla dentro. Ma Patino si rifece al ritorno segnando, ancora a Zoff, l’1-0 allo “Zaccheria”.

Già al primo anno in Serie B, 1962-63, ventiquattro gol di Nocera, il Foggia di Rosa Rosa sfiorò la Serie A; al secondo anno, la strabiliante sorpresa della promozione dopo una grande campagna acquisti. Squadra indimenticabile: Moschioni; Bertuolo, Valadè; Bettoni, Rinaldi e il foggiano Faleo; Oltramari, Gambino, Nocera, Lazzotti, Patino. Altre 14 reti di Nocera. Oronzo Pugliese mandava in campo la squadra dicendo: «Un punto è già nostro, l’altro ce lo giochiamo».

Rosa Rosa governò gli entusiasmi con perizia e fece piantare l’erba sul campo da sempre in terra battuta. Il Comune portò la capienza dello stadio a 25 mila posti eliminando la pista d’atletica e abbattendo l’angusta gradinata in cemento e tufo per sostituirla con una più ampia in legno e tubi, come le due curve.

Oronzo Pugliese, il protagonista del primo Foggia in serie A

Il presidente non era solo un profondo conoscitore del calcio, ma anche di uomini. Scoprì il bluff di Pugliese che gli disse di volere andare via perché il Mantova gli offriva di più. Rosa Rosa gli rispose: «Vai». Dopo pochi giorni, l’allenatore tornò vergognandosi: aveva solo giocato al rialzo. Rosa Rosa rinforzò la squadra con il mediano Micheli, il terzino fluidificante Miceli, il regista mancino Maioli e ingaggiò dal Brescia Armanno Favalli per 40 milioni. Per il primo torneo in A, il musicista foggiano Ottavio De Stefano compose l’inno “Forza Foggia cha-cha-cha” e la squadra andò in pellegrinaggio da Padre Pio.

La popolarità di Rosa Rosa toccò il culmine. Per tutto il campionato la madre, ogni domenica, recitava il rosario dalla mattina fino al momento in cui apprendeva il risultato. Fu un’annata trionfale dopo il debutto a Firenze con la tremarella nelle gambe. Rinaldi, di testa su angolo, segnò il primo gol del Foggia in Serie A. Finì 3-1 per la Fiorentina, ma l’arbitro torinese Righetti, che poi diventerà presidente della squadra viola, annullò due gol ai foggiani.

All’esordio in casa, col Mantova, prima vittoria e straordinaria ripetizione: ancora un gol di Patino a Zoff passato con i biancorossi. Battute allo “Zaccheria” la Juve di Sivori (gol di Maioli) e l’Inter di Helenio Herrera. Alla vigilia della partita, Herrera portò la squadra a San Giovanni Rotondo. Si raccontò che Padre Pio, benedicendolo, gli avesse detto: “Grazie per la visita, ma oggi a Foggia perderete e poi vincerete il campionato”. Profezia impeccabile: gol di Lazzotti e Nocera, recupero dell’Inter con Peirò e Suarez, gol-vittoria di Nocera. Nella porta interista giocò Di Vincenzo (Sarti era infortunato). Poi l’Inter vinse lo scudetto.

Oronzo Pugliese correva ai bordi del campo incitando la squadra a squarciagola. Diceva soprattutto di stare indietro, coperti, ma la volta che Nocera rimase in attacco e segnò un gol urlò: «Ecco, te l’avevo detto di stare avanti». Dopo le gare Pugliese, in giacca e cravatta, si lasciava inumidire dal vapore delle docce nello spogliatoio per presentarsi ai cronisti come se avesse sudato d’angoscia.

Foggia 1965/66 con in panchina Egizio Rubino, cognato di Oronzo Pugliese

Il cremonese Armanno Favalli fu tra i beniamini di Rosa Rosa. Finito il campionato, si trattenne a Foggia con Rinaldi e Tagliavini per la cena, poi partì a bordo della sua 850 verde per Cremona. Si fermò vicino Mantova a casa del compagno di squadra Oltramari, bevve un caffè e volle proseguire. A venti chilometri da casa lo tradì un colpo di sonno: la 850 finì nella corsia opposta, travolta da un autocarro che sopraggiungeva. Fu un cronista di “Brescia Oggi” ad avvertire telefonicamente Rosa Rosa nella notte. Don Mimi partì immediatamente per il luogo della sciagura ed ebbe la triste incombenza del riconoscimento del cadavere: «Armanno era lì, come se dormisse, e aveva un tenue sorriso sulle labbra».

Rosa Rosa volle un altro Favalli a Foggia, Erminio, anch’egli ala destra, come il fratello morto. Giocava in Serie C con la Cremonese. Il suo ingaggio fu un debito di cuore di don Mimi. Ma Erminio l’aveva già preso l’Inter. Rosa Rosa telefonò ad Angelo Moratti che, il giorno del 2-3 dell’Inter allo “Zaccheria”, gli aveva detto sorridendo: «Me la pagherai». Moratti disse: «Non vorrei che tu sospettassi che mi voglio vendicare del 2-3. Ti do il giocatore per 20 milioni».

Erminio Favalli disputò un bel campionato nel Foggia, che si classificò al dodicesimo posto, in panchina Egizio Rubino, cognato di Oronzo Pugliese che se ne era andato alla Roma. Fece impazzire la difesa juventina tanto che la società bianconera chiese l’attaccante a Rosa Rosa. Moratti aveva raccomandato a don Mimì che, se avesse mai ceduto Favalli, doveva a parità di condizioni darlo all’Inter, ma gli concesse di trasferirlo alla Juve. Rosa Rosa fece un eccellente affare: ebbe 75 milioni più il centravanti Traspedini che la Juve aveva pagato 350 milioni al Brescia.

Foggia 1966-67: ultimo posto e retrocessione in serie B

Al terzo anno in Serie A, 1966-67, la Stella del Sud declinò. Si appannò l’estro del gol di Nocera, anche perché Rubino non ne fece più il terminale dell’azione offensiva ordinando al regista Maioli di distribuire palloni a tutti. Per giunta il napoletano e Traspedini si pestavano i piedi. Il Foggia dilapidò in trasferta i punti conquistati in casa.

Serpeggiarono le prime delusioni e don Mimì non poteva trascurare ulteriormente famiglia e azienda. Allo “Zaccheria”, di scena il Milan di Rivera, il pubblico reagì alle provocazioni di Amarildo e uno sconsiderato lo colpì al viso lanciando una bottiglietta. Fu retrocessione. Rosa Rosa si dimise lasciando la gloria di tre anni storici in Serie A, un ricco patrimonio-giocatori e 26 milioni di attivo di bilancio depositati in banca. Disse: «Ho anticipato i capitali, ci ho rimesso il costo degli interessi, ma non ho perso una lira».

Si fece rivedere allo stadio dieci anni dopo, il 29 maggio 1977, per l’amichevole fra il nuovo Foggia di A del presidente Fesce guidato da Purìcelli e la squadra dei suoi tempi con Oronzo Pugliese in panchina. Fu un pomeriggio di grande emozione perché nessun aveva dimenticato don Mimi, il presidente della prima Serie A.

  • Testo di Mimmo Carratelli – articolo apparso sul Guerin Sportivo