SALLUSTRO – SANI – SANSONE – SCHIAFFINO – SCHNELLINGER – SELMOSSON – SIVORI – SKOGLUND – SOCRATES – SORMANI – SOSA – STABILE – SUAREZ
Divo a tutto campo, Sallustro invase pure le cronache rosa, sposando Lucy d’Albert, famosa soubrette del tempo. A 21 anni esordì nella Nazionale di calcio italiana, nella partita vinta dagli azzurri contro il Portogallo per 6-1, ma in seguito il commissario tecnico Vittorio Pozzo gli preferì Giuseppe Meazza, suscitando le ire dei tifosi napoletani, che ritennero ingiusta l’esclusione di Sallustro dalla Nazionale italiana, con cui giocò solo tre volte. Chiuse come allenatore-giocatore della Salernitana, rimanendo per sempre nella galleraia dei grandi del Napoli.
Rapido ad ambientarsi nell’inverno milanese, “Dino” (il nome con cui era conosciuto nel calcio brasiliano) prese in mano le redini della squadra, offrendole la guida sapiente di un grandissimo costruttore di gioco, dai piedi morbidi e dal passaggio sempre puntuale. Il Milan di Rocco proseguì la sua scalata, vincendo l’anno successivo, a Wembley contro il Benfica, la prima Coppa dei Campioni conquistata da un club italiano.
Sani si era rivelato nel Palmeiras, guadagnandosi la designazione come successore in Nazionale del grande Zizinho. Lento di passo ma rapidissimo nelle intuizioni, nella Selecão divenne il mediano in appoggio alla regia del grande Didi, anche se il suo apporto al titolo mondiale del 1958 in Svezia si limitò alle prime due partite, venendo poi sostituito da Zito.
Nella sua terza stagione italiana un infortunio lo costrinse a saltare le tre sfide con il Santos per la conquista della Coppa Intercontinentale (andata, ritorno e spareggio con vittoria contestatissima dei brasiliani per 1-0), condizionando anche il resto del campionato, al termine del quale, considerato ormai anziano, tornò in patria. Dove si affermò anche come allenatore.
Mezzala col vizio del gol, divenne celebre per le sue finte, con le quali mandava regolarmente a sedere l’avversario. Togliergli il pallone dai piedi senza commettere fallo era impresa proibitiva. Questo non significava però che non giocasse per la squadra: le valanghe di reti segnate dal grande centravanti Angelo Schiavio furono merito dei rifornimenti che puntualmente giungevano dal centrocampo, ad opera dei due sudamericani. Eppure, dopo due stagioni in rossoblu, Sansone salutò la compagnia e fece ritorno in Uruguay, al Penarol. Ma nel 1934 salì alla presidenza del club felsineo Renato Dall’Ara e volle immediatamente che “Faele” tornasse a vestire il rossoblu e per convincerlo non esitò ad offrirgli un ingaggio da favola. Sarebbero stati altri nove campionati con la maglia del Bologna, fino all’interruzione bellica, conditi da quattro scudetti, tre presenze nella Nazionale italiana, due Coppe Europa (la Champions League di allora) e un trofeo di Parigi. Si è spento nel 1994, nella città che lo aveva adottato.
Una vita chiusa tragicamente, ma una carriera ad altissimo livello. A 21 anni partecipa ai Mondiali brasiliani del 1950, grazie a una selezione originale: venne giocata una partita tra i giocatori scelti da una commissione tecnica e quelli scelti dai giornalisti; Nacka, inserito fra questi ultimi, ottenne la convocazione. Al ritorno in patria lo ingaggia l’Aik Stoccolma, ma dopo cinque partite accetta l’offerta dell’ Inter. A Milano esplode come inimitabile fantasista d’attacco. Vince i due scudetti consecutivi del catenaccio di Foni, nel 1953 e 1954, esaltato peraltro da grandi campioni. Nel 1958 è tra i protagonisti dello storico secondo posto ai Mondiali in patria, dietro il Brasile di Pelé. Delizia la platea di San Siro con ogni sorta di geniali invenzioni e gol strepitosi fino al 1959. quando, dopo una stagione condizionata da un infortunio, viene ceduto alla Sampdoria. Gioca due anni a Genova ma la sua parabola discendente è già iniziata. Si trasferisce a Palermo da dove, dopo appena sei partite, fugge per far ritomo in Svezia, incontro al suo tragico destino.
Chiuse la carriera di giocatore indossando prima la maglia del Napoli, (53 gare e 7 reti) poi quella della Fiorentina (9 gare e 0 reti) ed infine quella del Lanerossi Vicenza (46 partite e 9 reti in serie A e 11 presenze con 3 centri in serie B) dove giocò sino alla soglia dei 38 anni. Intraprese poi la carriera di allenatore ottendo buoni risultati soprattutto alla guida di formazioni giovanili.
Il giocatore non deluse le attese, ma non era ancora tempo di vittorie, per l’Inter. L’anno dopo Luisito si presentò ai nastri di partenza trasformato: il giocatore geniale ma a volte troppo egoista del torneo precedente era diventato un infaticabile rifornitore dell’attacco, ispiratore del contropiede. Nel 1962-63 fu scudetto, cui seguì la conquista della Coppa dei Campioni. Era nata la Grande Inter. Di quella squadra proprio Suarez sarebbe stato il giocatore più importante. In nove anni nerazzurri avrebbe conquistato altri due scudetti, due Coppe Intercontinentali e un’altra Coppa dei Campioni, confermandosi leader di una squadra praticamente perfetta. Nel ’70 passò alla Sampdoria, dove rimase tre stagioni. Appese le scarpe al chiodo e diventato allenatore, è stato Ct sia della Nazionale maggiore che dell’Under 21 del suo paese.