Ci sono giocatori che brillano così intensamente da sembrare meteore, destinate a splendere per un attimo fuggente prima di scomparire nell’oblio. Saeed Al-Owairan è uno di questi.
Il 29 giugno 1994, durante i Mondiali di USA ’94, questo ventisettenne saudita compì un’impresa che avrebbe segnato la sua vita per sempre. In quella partita contro il Belgio, Al-Owairan percorse l’intera lunghezza del campo in un’azione che pareva uscita da un film in slow motion. Con eleganza felina e implacabile determinazione, saltò ogni avversario che gli si parò davanti, fino a trovarsi solo davanti al portiere belga. Con un tocco delicato ma velenoso, insaccò la palla e mandò in delirio l’Arabia Saudita.
Quel gol straordinario, degno del miglior Pibe de Oro, gli valse il soprannome di “Maradona del Golfo” e lo rese una star istantanea nel suo Paese. Re Fahd e il Principe Faisal Bin Fahd lo proclamarono patrimonio nazionale, impedendogli di trasferirsi all’estero nonostante le numerose offerte. Al–Owairan divenne testimonial di grandi marchi come Ford, Coca-Cola e Toyota, raggiungendo vette di popolarità impensabili.
Tuttavia, come spesso accade, quella folgorante ascesa celò in sé i semi della caduta. Incapace di gestire la fama improvvisa, Al-Owairan iniziò a sperperare denaro e a frequentare pessime compagnie. Nel 1995 fuggì in Marocco senza permesso, attirando le ire della sua società. L’anno successivo, il suo comportamento toccò il fondo: sorpreso in un night club egiziano in compagnia di prostitute russe e sotto l’effetto di alcol, violò apertamente la Sharia e finì in prigione per tre anni.
Re Fahd, tuttavia, non aveva ancora rinunciato al suo diamante grezzo. Dopo un anno di detenzione, lo graziò in vista dei Mondiali di Francia ‘98, ai quali l’Arabia Saudita si era qualificata. Purtroppo, l’Al–Owairan che si presentò in Francia era solo un’ombra sbiadita dell’atleta ammirato quattro anni prima. L’inattività e il peso degli anni avevano spento la sua luce, e lui stesso ammise di essere stanco di quel gol che lo aveva reso immortale.
La parabola discendente di Al-Owairan è una storia tanto affascinante quanto tragica. Quel gol contro il Belgio, che avrebbe dovuto essere l’inizio di una straordinaria carriera internazionale, divenne invece un macigno che lo schiacciò, rendendolo incapace di eguagliare quel momento di gloria suprema.
Eppure, nonostante tutto, Al–Owairan rimane ancora un’icona nel mondo arabo. Nel 2003, durante un Mondiale Under 20 in Qatar, una sua gigantografia campeggiava fiera nel centro stampa, a testimonianza di quanto quel gol fosse entrato nell’immaginario collettivo. Un giovane qatariota confidò a un giornalista argentino: “Anche noi qui negli Emirati abbiamo il nostro Maradona. È quel magrolino laggiù“.
La storia di Saeed Al–Owairan è un monito sulla fragilità della fama e sulla difficoltà di gestire un successo così folgorante. È anche, però, un esempio di come un singolo gesto atletico possa diventare leggenda, rimanendo impresso per sempre nella memoria di un popolo.
Come scrisse il grande poeta arabo Khalil Gibran: “Non si può toccare l’alba se non si è percorso i sentieri della notte“. Al-Owairan ha conosciuto l’ebbrezza dell’alba con quel gol contro il Belgio, ma ha anche camminato nei sentieri più oscuri della notte, perdendosi tra eccessi e cadute rovinose. Eppure, nonostante tutto, rimarrà per sempre il “Maradona del Golfo“, un fuoco fatuo che ha illuminato un istante prima di dissolversi, lasciando dietro di sé un alone di mistero e fascino.