SALVATORE BAGNI – Intervista novembre 1980

  • Un intervista di Adalberto Bortolotti – Guerin Sportivo

— Bagni, lei sta giocando un campionato ecce­zionale…
«No…».
— Via, non faccia il modesto…
«No, dicevo, più che eccezionale. Neanch’io, che ho una grossa stima in me stesso, me l’aspettavo».
— Nel senso che ha cambiato ruolo, forse tor­nando ad antichi amori…
«Non è del tutto esatto. Io, all’inizio, con Giancarlo Ansaloni, un allenatore che ricordo con grandissima simpatia, facevo effettivamen­te la punta. Ma sulla sinistra, un’ala sinistra di punta. Il centravanti vero, il pivot avanzato, non l’ho fatto mai. Me l’ha chiesto Ulivieri, ho improvvisato il ruolo e onestamente sto facendo cose da pazzi».
— Bene, ripartiamo dall’inizio. Due anni fa un grande campionato, adesso è in previsione una stagione super. In mezzo un anno tutto da di­menticare. Vogliamo dire la ragione?
«Ho capito dove vuole arrivare. Ma che sia stata colpa di Rossi non lo dirò mai».
— Eppure…
«Mi stia a sentire. Io e Paolo avevamo tutto per formare una coppia sensazionale. Tant’è vero che quando ho saputo che sarebbe venuto a Perugia, mi sono detto: adesso la Nazionale non me la toglie più nessuno. Tutti e due at­taccanti moderni, rapidissimi, con grandi ri­flessi, ottima padronanza di palleggio: un in­cubo per tutte le difese. E invece…».
— Invece il crollo: di Bagni, di Rossi, del Pe­rugia…
«E’ successo che non ci siamo mai incrociati. Lui ha giocato un bel girone di andata, quando io ero in ritardo di forma e un po’ in crisi. Poi, quando io mi sono messo al passo, è mancato lui. Ancor prima del patatrac, comun­que, l’accoppiata non era riuscita».
— Non sarà che lei, per natura personaggio e primattore, soffrisse di gelosia?
«Lo escludo».
— Magari a livello inconscio…
«Be’, se era inconscio non potevo saperlo».
— Troppo giusto. Eppure io ricordo una par­tita di Coppa a Zagabria, sul campo della Di­namo, dove in contropiede lei e Rossi avete creato dieci palle-gol, a stare stretti, mandando in crisi un reparto che era quello della Na­zionale jugoslava, uomo più uomo meno.
«E’ vero. E’ stata una grande partita, tradita dal risultato finale. Finì 0-0 perché io e Paolo ci mangiammo tanti gol già fatti, a portiere già dribblato, da perderne il conto. Altrimenti sarebbe stata definita la più bella partita di una squadra italiana all’estero. Per me lo fu senz’altro. Ecco, la dimostrazione che eravamo fatti per intenderci, c’è stata. Purtroppo la sorte non ha voluto».
— E se n’è andata anche la Nazionale…
«Adesso, ho appena compiuto ventiquattro an­ni. Il tempo c’è; per rifarsi».
— Perché è uscito dal giro? Dietro Causio c’era lei, come curriculum, come piace dire a Bearzot. E invece sono spuntati Bruno Conti e D’Amico, oltretutto più anziani…
«Hanno travisato una mia frase. Mi hanno fat­to dire: dell’Under non me ne frega niente perché io voglio giocare in Nazionale A. E così mi sono trovato fuori dall’una e dall’altra».
— Ma quella frase l’aveva detta?
«Così, no. Era un desiderio».

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— Adesso, però, è arrivato di corsa a fare da balia a questa Under di Vicini…
«Certo, e pieno di entusiasmo. E’ il primo passo per riallacciare un tipo di discorso. E poi adesso io sono cambiato».
— Già, ho letto di un Bagni tutto nuovo. Che non risponde alle provocazioni, che incassa le botte senza batter ciglio. Poi ho visto che a Catanzaro l’hanno cacciata fuori…
«Uno scandalo, sia detto senza offendere nes­suno. Per fortuna, il Giudice Sportivo ha rista­bilito la verità. Era stato un errore integrale, non avevo fatto proprio niente. Perché io sono cambiato davvero, anche se gioco in un ruolo dove di botte ne prendo più di prima».
— Lo sa che è rischioso cambiare pelle, per giocatori come lei? A volte perdendo questa carica aggressiva, questa tensione nervosa, si perdono anche le doti di pericolosità, in campo…
«A me non succede. Sono calmo, tranquillo, irreprensibile e gioco meglio di prima. Parola».
— A proposito di ruolo. Non sarà per quello che Bearzot l’ha messo in disparte? Lui cerca­va un tornante sulle fasce, lei ormai fa la punta centrale…
«Parliamoci chiaro. Io so fare di tutto. Ho giocato in tutti i ruoli, dal centrocampo in avanti. Adesso, semmai, ho colmato una lacuna. Ma non ho certo disimparato a fare il tornan­te e se alla Nazionale ne occorre uno, eccomi qua. No, io penso che Bruno Conti e D’Amico abbiano avuto un vantaggio su di me, quest’anno. Hanno giocato le Coppe, sono stati os­servati anche di mercoledì, per il pronto im­piego garantivano una più recente esperienza internazionale. Tutto qui e io la scelta non la discuto. Faccio il centravanti nell’Under sinché serve, poi si vedrà».
— E a Perugia che succede?
«Succede che siamo partiti che nessuno ci dava un briciolo di credito, siamo sinceri. Al di là delle frasi di circostanza, nelle previsioni della vigilia eravamo fra i più qualificati aspiranti alla retrocessione. E in effetti non avevamo comperato praticamente nessuno (quello nuovo non gioca, è come se non fosse neppure arriva­to, peccato perché è un bravo ragazzo), se n’era andato Castagner, avevamo perduto Rossi, Della Martira, Zecchini e mi po’ di Casarsa, insomma eravamo proprio a terra. Un punto nelle pri­me due partite ha fatto aumentare il pessimi­smo. Poi, invece, ne abhiamo conquistati sette in cinque gare e allora hanno cominciato a guardarci diversamente».
— Ulivieri com’è?
«E’ giovane, ambizioso, ti sta sempre dietro, in pratica ti gestisce. Ne senti la presenza co­stantemente, è importante».
— Con Castagner qualcosa si era rotto?
«Nulla di preciso. Ma il calcio, alla lunga, lo­gora certi rapporti, anche la piazza aveva bi­sogno di nuovi stimoli. Adesso pare di essere tornati alla stagione del secondo posto. La stes­sa armonia, la stessa umiltà. Forse Perugia era stata travolta da un sogno di grandezza. Ora è tornata nella sua dimensione».
— E con la gente come va?
«Bene, splendidamente».
— Ricordo una partita, in cui lei fu linciato dagli spalti e costretto a uscire dal campo…
«Acqua passata, era un momento particolare, c’erano ragioni extra calcistiche. Ora io credo di essere l’idolo dei perugini, in fondo fra me e loro c’è sempre stato un rapporto di odio-amore, senza mezze misure. O esecrato o ado­rato. Adesso mi amano».
— E quindi non è più divorato dalle voglie di andarsene?
«No, anche quelli erano sogni … giovanili. Pen­savo che Perugia mi stesse stretta, volevo con­quistare il mondo. Gliel’ho detto, sono cambia­to. Dev’essere proprio vero, se Vicini mi ha fatto capitano!».