SCHMEICHEL Peter: the Great Dane

Nel 2000, in uno studio dell’IFFHS per individuare il più grande portiere europeo del ventesimo secolo, Schmeichel si classificò settimo.

Sicuramente nessuna carriera ha avuto un finale simile a quello che ha vissuto Peter Schmeichel nel Manchester United. All’inizio della stagione 1998-99, aveva annunciato che avrebbe lasciato la squadra nel successivo mese di maggio. Aveva vinto cinque Premier League e tre FA Cup, ma, durante la finale di Champions League, con la squadra in svantaggio contro il Bayern Monaco, giunti agli ultimi tre minuti di recupero, sembrava certo che il portiere sarebbe uscito dall’Old Trafford senza l’anelato titolo europeo. Lo United guadagnò un calcio d’angolo sulla sinistra. Schmeichel, convinto che «qualcosa di assolutamente straordinario stava per accadere», uscì dalla porta spingendosi in avanti per «arrecare il massimo disturbo possibile». Non fece altro, ma riuscì a sfiorare il cross saltando più in alto di tre difensori del Bayern. La palla arrivò a Dwight Yorke, al secondo palo, che la rinviò di piede verso il limite dell’area di rigore. Ryan Giggs la appoggiò maldestramente con un tiro basso, ma Teddy Sheringham, sulla linea dei cinque metri e mezzo, la infilò dritta in rete al palo sinistro. «Non c’è alcun dubbio» ha commentato Schmeichel «che la mia improvvisa corsa in avanti abbia contribuito a far segnare quel gol.»

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Due minuti dopo, naturalmente, Sheringham batté un tiro corto sempre su calcio d’angolo, Ole Gunnar Solskjaer lo infilò dritto sul secondo palo e lo United divenne campione d’Europa. Fu allora che Schmeichel, capitano della squadra nel periodo in cui Roy Keane era stato sospeso, ebbe l’onore di sollevare il trofeo in segno di vittoria, la conclusione più giusta per otto anni di incrollabile eccellenza. Mantenne la rete inviolata nel 42 per cento delle 292 partite di campionato che all’epoca disputò con lo United, un vero record.

Schmeichel, però, non era soltanto un bravo portiere, ma sembrò delineare un nuovo stile di gioco in porta. Di partenza aveva già un fisico muscoloso; con il lavoro in palestra, poi, potenziò ulteriormente le spalle larghe. Si esercitava per sembrare più grosso, allungandosi il più possibile nel saltare a stella. «Ho giocato a pallamano finché non sono approdato allo United, sia in porta che in altri ruoli» ha dichiarato. «Quell’esercizio [lo star jump] è fondamentale nella formazione dei portieri di pallamano, io l’ho introdotto nel calcio. È un metodo molto efficace per aumentare le possibilità di parata. Se resti sulla linea e qualcuno effettua un tiro di testa, le probabilità di raggiungerlo sono limitate, dunque questa tecnica aiuta a coprire quanto più possibile lo spazio della porta

Si distinse anche per la sua capacità di distribuire la palla. Sicuramente non è stato il primo portiere ad avviare le azioni di attacco con tiri lunghi dall’area di rigore (nel calcio inglese, per esempio, il pioniere è stato Frank Swift), tuttavia era un grande esperto, in materia, aiutato dal fatto che passava la palla alle ali, sfruttando al massimo la velocità e il talento di Ryan Giggs, Andrej Kancel’skis e David Beckham. «Quando ho modo di gestire la palla, cerco di creare qualche possibilità di contropiede» ha dichiarato. «Non ci riesco sempre, ma immancabilmente questa tecnica obbliga gli avversari a girarsi e dirigersi verso la loro porta, cosa che per loro può risultare sia faticosa sia demotivante.»

Nonostante sia nato a Copenaghen, Schmeichel ha avuto la cittadinanza polacca fino all’età di sette anni per via del padre, che sua madre, infermiera di bordo, aveva conosciuto per motivi di lavoro nel porto di Gdynia. All’età di nove anni cominciò a giocare con la squadra locale, l’Hoje Gladsaxe, schierandosi direttamente in porta.

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Ha dichiarato di non ricordare esattamente il perché. Anzi, ancora si domanda se non sia stato l’allenatore a pensare di dargli quella destinazione per tenere l’irrequieto ragazzino lontano dai guai. In realtà gli era riuscito solo in parte: Schmeichel gridava come un matto, soprattutto ai suoi difensori, oppure, come preferisce dire lui «dirigevo, urlavo, li avvisavo, spostavo i giocatori da una posizione all’altra […] cercando di coprire gli spazi vuoti ancora prima che si determinassero».

Ben presto si trasferì allo Hero, un club più grande con una formazione giovanile di un certo prestigio, poi passò allo Hvidovre, dopodiché, nel 1987, all’età di ventiquattro anni approdò al Brøndby. Nelle cinque stagioni trascorse con la squadra vinse quattro titoli, poi fu ingaggiato dallo United. La stagione successiva divenne uno dei principali motivi per i quali la Danimarca vinse gli Europei del 1992. Garantì una prestazione straordinaria, in finale,in particolare si distinse per una parata, proprio all’inizio dell’incontro, su tiro di Jurgen Klinsmann. Si tuffò completamente a sinistra per deviare il tiro dal palo, così mise da subito le cose in chiaro.

Quando arrivò allo United, scoprì che «solitamente i portieri venivano lasciati a un’estremità del campo, dove dovevano esercitarsi tra loro a respingere tiri su rimbalzo», mentre i compagni di squadra seguivano un allenamento più tecnico. Si batté per cambiare la situazione, facendo in modo che i portieri venissero coinvolti e diventassero parte della squadra a tutti gli effetti, oltretutto meglio preparati a sferrare il contrattacco.

Probabilmente solo Eric Cantona ha avuto un’influenza maggiore sul passaggio dello United dalla fase del basso rendimento a quella del predominio. Nel 1992-93, quando il club vinse il campionato per la prima volta in ventisei anni, Schmeichel mantenne la rete inviolata per ben ventidue occasioni. Quattro anni dopo, fu la sua performance a Newcastle, insieme al gol della vittoria segnato da Cantona, a cambiare le sorti della competizione. Particolarmente memorabile fu il suo tuffo a sinistra per respingere il tiro di testa di John Barnes.

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Nel 1998-99, dopo un tentennamento che lo indusse ad annunciare con anticipo, in autunno, l’addio alla squadra entro la fine della stagione, ritornò in forma perfetta per il treble. Nella semifinale di FA Cup, ripetuta contro l’Arsenal, eseguì una parata spettacolare, sulla sinistra, per respingere un rigore dell’ultimo minuto battuto da Dennis Bergkamp. Probabilmente, però, la sua parata migliore fu quella che fece in una partita della fase a gruppi di Champions League, in trasferta contro il Rapid Vienna, nel dicembre del 1996, quando si tuffò per bloccare un tiro di testa molto ravvicinato di René Wagner. Con uno stile che ricordò la famosa parata di Gordon Banks su tiro di Pelè, riuscì a respingere la palla oltre la traversa, mantenendosi quasi completamente sulla linea di porta.

Ma le parate erano soltanto un tassello di un più ampio mosaico. Era in grado di eseguire, infatti, anche eccezionali stoppate d’istinto, benché sia sempre stato convinto che fosse «preferibile giocare in maniera semplice e cauta anziché spettacolare […] Se un attaccante vede un proprio probabile gol parato con il minimo sforzo, per lui può risultare destabilizzante, dunque il portiere acquista un notevole vantaggio».

Nella stagione 1999/2000 passò ai portoghesi dello Sporting Lisbona, club in cui militò per due stagioni conquistando un titolo portoghese. Tornato in Inghilterra nel 2001 nelle file dell’Aston Villa, diventò il primo portiere a segnare un gol in Premier League il 20 ottobre di quell’anno realizzando un gol su azione contro l’Everton. Chiuse poi la carriera al Manchester City alla soglia dei 40 anni, nell’aprile 2003

Il suo vero punto di forza era la presenza, il modo in cui è stato capace di dare un’impressione di assoluta invincibilità. «Non si può sottovalutare l’importanza dell’aspetto psicologico durante le partite di calcio» ha scritto Schmeichel nella sua autobiografia. «Per me è fondamentale che gli avversari siano intimiditi dalla mia presenza tra i pali. Non conta se si tratta di un bomber che, superando la difesa, è arrivato al faccia-a-faccia con il sottoscritto, oppure di un centrocampista che approfitta di un tiro a lunga gittata. Indipendentemente da chi mi trovo di fronte, so che lui ha capito al volo che mi troverà preparato al cento per cento per il confronto, che sono pronto a fare qualunque cosa, sfruttando la mia potenza, per evitare che segnino

Nel 2000, in uno studio dell’IFFHS per individuare il più grande portiere europeo del ventesimo secolo, Schmeichel si classificò settimo. Quando poi nel 2011 lo stesso istituto condusse un sondaggio tra i propri membri per scegliere il miglior portiere degli ultimi venticinque anni, arrivò quarto preceduto da Edwin van der Sar, Iker Casillas e Gianluigi Buffon.