Grande in Udinese, Lazio e Roma, il biondo svedese fu però reso celebre da una commedia musicale
Più che alle sue indubbie, e rilevantissime, qualità tecniche e stilistiche, lo svedese Bengt Arne Selmosson deve buona parte della sua notorietà, non ancora scalfita dagli anni, a un suggestivo e poetico soprannome, «Raggio di Luna», e all’uso che ne fecero gli eccellenti Garinei e Giovannini, grandissimi autori del nostro teatro leggero, in un loro fortunato musical.
La storia, che non è sempre stata riportata nei giusti particolari, merita una sommaria ricostruzione, non senza aver prima rilevato come Selmosson, rivelatosi nell’Udinese sia poi passato a Roma, giocando tre anni su ciascuna delle due sponde calcistiche del Tevere.
Dunque, il musical. Le vicende del calcio eroico e turbolento degli anni Cinquanta avevano come protagonista fisso il presidente del Palermo, principe Raimondo Lanza di Trabia, leggendaria figura di viveur, uno degli inventori del calciomercato ai tempi del Gallia, sempre circondato da una fitta e qualificata corte femminile. Fra le molte, rocambolesche avventure che lo riguardano, una delle più divertenti e strampalate è sicuramente quella di un’attrice di grido che, al termine di un’affettuosa amicizia, si vide omaggiata, a titolo di liquidazione, non già del consueto e canonico anello di brillanti, ma del… cartellino di un calciatore. Esattamente quello dell’argentino Henrique Martegani, che dalla natia Baires era stato importato in Italia dal Padova, poi aveva giocato tre stagioni a Palermo, con esiti non disprezzabili, e infine era stato girato alla Lazio.
Proprio l’arrivo a Roma dell’argentino aveva portato alla luce la storia e destato l’interesse di Garinei e Giovannini, che vi avevano subito intuito i lati comici e paradossali per una commedia musicale di successo. L’unica remora era la scarsa notorietà del giocatore, in ambito non strettamente specialistico.
Proprio nella stessa stagione, 1955-56, la Lazio, come vedremo, aveva ingaggiato a peso d’oro dall’Udinese Arne Selmosson, l’asso del momento, le cui prodezze avevano condotto la squadra friulana a uno strepitoso secondo posto in campionato (poi vanificato da un precedente illecito, che era costato la retrocessione a tavolino). La fama di Selmosson, il suo seguito popolare, quel soprannome romantico, erano ingredienti infallibili per uno spettacolo di grido. Ecco quindi che la storia dell’oscuro Martegani fu idealmente cucita addosso a Selmosson e nacque «La padrona di Raggio di Luna», con Delia Scala frizzante protagonista.
Ma torniamo al nostro Arne. Nasce a Götene, in Svezia, il 29 marzo del 1931. Sono anni che la Scandinavia sforna assi del pallone con una continuità spaventosa. Selmosson si fa presto luce nelle squadre giovanili e magari l’aiuta la chioma biondissima, quasi albina, che manda riflessi lunari. Contrariamente a quanto si crede, infatti, il nomignolo «raggio di luna» risale ai tempi svedesi di Arne, non è uno slancio di fantasia della stampa italiana.
Arne gioca nel Jönköpings Södra, arriva in Nazionale a ven’ anni e naturalmente comincia ad attirare l’attenzione dei talent-scout italiani, alla disperata ricerca di attrazioni. Su di lui, in particolare, si indirizza subito un raffinato e competente uomo di calcio, Beppino Bigogno, che, chiamato alla guida dell’Udinese, sta cercando un fuoriclasse non proprio del primo circuito, da poter ingaggiare senza mandare in crisi il bilancio.
Ma la Svezia, scottata dai continui saccheggi delle formazioni italiane, che stanno depauperando il suo vivaio, ha instaurato leggi severissime: basta il semplice sospetto di trattative con club professionistici per squalificare un giocatore ed escluderlo dal giro della Nazionale. Una vera e propria caccia alle streghe, della quale Selmosson è fra i primi a fare le spese.
Il 28 maggio del 1953 Arne gioca a Solna Svezia–Belgio (2-3) ed è giudicato il migliore in campo dei suoi. Ma tre giorni dopo il giornale «Stockholms-Tidningen» riporta che il giovane campione è già stato acquistato dall’Udinese per diciotto milioni di lire. Non è ancora vero, ci sono stati dei contatti, si sta trattando, ma il contratto non è stato firmato. Anche perché in Italia la legislazione sui calciatori stranieri è molto incerta.
Infatti, proprio in quei giorni, sotto la spinta di coloro che si battono per motivi tecnici (il declino della Nazionale) ed economici (il dissesto dei bilanci) contro la massiccia calata degli stranieri, una disposizione della Presidenza del Consiglio, nota come lodo Andreotti, dispone che non vengano più concessi permessi di soggiorno in Italia agli stranieri che lo chiedono per esercitare l’attività calcistica. Sola eccezione consentita gli «oriundi» cioè i discendenti diretti di italiani (il che apre le porte a truffe anagrafiche clamorose).
L’Udinese interrompe cosi le trattative per Selmosson, dopo aver tentato l’ingenua scappatoia di ottenergli il permesso di soggiorno quale impiegato nella ditta di legnami del presidente Bruseschi. Ma intanto la severissima Federazione svedese, in data 10 giugno, esclude il giocatore dalla Nazionale e gli impone una dichiarazione scritta, che neghi il percepimento di qualsiasi somma dal club italiano, pena l’esclusione dall’attività.
Ci sono interrogazioni parlamentari, promesse di risarcimento economico da parte della Federazione e insomma il rigore della norma viene molto attenuato. Con un anno di ritardo, stagione 1954-55, Arne Selmosson approda finalmente in Friuli.
Che giocatore è questo biondissimo svedese, che come Nordahl ha prestato servizio nei pompieri? Mezzala con spiccate propensioni offensive, palleggio sontuoso, grande tecnica, senso del gol molto vivo.
Quell’Udinese schiera una prima linea con Castaldo, Menegotti, Bettini, Selmosson, La Forgia, dove Menegotti è l’instancabile faticatore, Castaldo e soprattutto La Forgia ripiegano a protezione del centrocampo e Selmosson funge in pratica da seconda punta, a ridosso dello sfondatore Bettini.
Un modulo che esalta la classe di Arne, senza richiedergli eccessivi dispendi fisici. L’Udinese parte malissimo, dopo tre giornate è la sola ad aver sempre perso e quindi ultima in classifica, poi infila una serie strepitosa, si porta alle spalle del grande Milan dai cinque stranieri (Liedholm, Schiaffino, Ricagni, Nordahl e Soerensen), lo batte in un memorabile scontro diretto per 3-2 e termina seconda, il miglior piazzamento di sempre nella storia del club.
La gioia ha breve durata perché l’ufficio inchieste accerta un illecito commesso dall’Udinese nel 1953, sotto altri dirigenti. La responsabilità diretta è comunque inevitabile, la squadra viene retrocessa in serie B. Dopo un secondo posto sul campo, la beffa è atroce.
Può il talento di Selmosson essere sprecato nella categoria inferiore? Ovviamente no, e così l’Udinese accetta le principesche offerte della Lazio che sotto la presidenza Vaselli insegue sogni di grandezza. La Lazio ingaggia in coppia Selmosson e il goleador Bettini, malgrado la reazione di Udine che non vorrebbe far partire il suo raggio di luna e cerca, invano, di fermarlo con una sottoscrizione popolare. Lo stesso Arne se ne va a malincuore, la moglie e il figlioletto si erano magnificamente ambientati in Friuli.
I quattordici gol segnati nell’Udinese diventano dieci, dodici, nove nelle tre stagioni laziali. II talento lampeggia sempre, ma per quanto l’Udinese era un approdo sereno, così quella Lazio è una baraonda continua. Il tecnico jugoslavo Ciric ha i suoi «pallini». Selmosson affianca in attacco il brasiliano Humberto Tozzi, altro costosissimo e qualitativo acquisto, ma alle loro spalle non c’è nessuno in grado di coprirli e di lanciarli. Ci provano, senza risultati, Pozzan, Burini, Vivolo, Muccinelli.
Quando al prodigo Vaselli subentra come presidente Siliato, un genovese fedele agli investimenti sicuri, Selmosson è uno dei pochi giocatori che abbia mantenuto un’elevata quotazione. La sua classe pura l’ha preservato dalle insidie di un ambiente caotico. Selmosson diventa così la chiave per dare respiro alle casse sociali. Siliato, che davanti ai soldi non ha preconcetti, lo cede addirittura alla Roma, provocando la rivoluzione nei fedelissimi biancazzurri.
È la stagione 1958-59. Se Arne cercava un po’ di pace, la delusione è notevole. La Roma si piazza sesta, niente male, ma sulla sua panchina si alternano Toni Busini, Giorgio Sarosi e per due volte il glorioso Gunnar Nordahl, che ha chiuso l’attività agonistica da un anno appena. Tutto nel giro di un solo torneo. Selmosson, in ogni caso, firma una stagione splendida, con sedici gol (il suo record) in trentatré partite. Tredici ne realizza l’anno successivo, con Foni allenatore. Ma l’ambiente è decisamente troppo eccitato per la sua natura di svedese tranquillo.
Quando supera la trentina, il rimpianto di Udine si fa irresistibile. A Roma ha già dato il meglio, la sua ultima stagione giallorossa è stata un pianto, 23 partite e appena un gol. Torna all’Udinese nel 1961, a torneo iniziato. Fa in tempo a giocare una ventina di partite, a segnare sei gol, ma non a salvare la squadra dalla retrocessione in B. Si ferma altri due anni in Friuli, ma la magìa è finita. Con la caduta in C nel 1964 la favola si esaurisce del tutto. Resta quel nome, raggio di luna, a ricordare scampoli di calcio di un altro pianeta.