SERIE A 1930/31: JUVENTUS

Il Campionato: Quell’avvio da primato

L’Ambrosiana ha solo riverniciato il parco riserve e l’appagamento da trionfo le risulta fatale. La Juventus invece è subito la gran sensazione: con otto successi iniziali consecutivi centra un record ancora valido nel… secolo successivo nei tornei a diciotto. E un ipoteca sul titolo: le inseguitrici (Bologna e la coppia NapoliRoma) sono già staccate a quel punto di cinque lunghezze. Il nono turno è fatale ai bianconeri, battuti in casa dal brillante Napoli di Garbutt; la domenica dopo il pari juventino a Trieste avvicina ulteriormente il trio di inseguitrici, che va a due punti. La Juve però batte il Bologna e al giro di boa gli uomini di Carcano sono campioni d’inverno con 29 punti, quattro di vantaggio su Napoli e Roma. Il gruppo si sgrana e resta la Roma a insidiare il primato bianconero, fino al fatidico 15 marzo 1931, quando sul campo Testaccio i giallorossi battono la Juve per 5-0. Un risultato talmente clamoroso che ne verrà tratto un film. Ma la sbornia passa in fretta, la Juve conserva il vantaggio fino alla penultima giornata e il 28 giugno è campione d’Italia. In coda, chiusura fatale per Legnano e Livorno.

I vincitori: Agnelli disse: Fiat Juventus

La Juventus che inaugura il leggendario quinquennio di scudetti consecutivi non nasce per caso, ma dal fortunato connubio tra due entità complementari: la presidenza di Edoardo Agnelli, figlio di Giovanni, fondatore della Fiat, magnate che può garantire mezzi finanziari illimitati, e la vicepresidenza del barone Giovanni Mazzonis, gentiluomo-manager di grandi doti morali e tecniche. Con un occhio al bilancio e un altro alle esigenze del campo, senza trascurare gli aspetti umani, i due erano andati costruendo a partire dal 1925 un vascello via via sempre più robusto e affidabile. Nell’estate del 1929 mancavano i ritocchi perché la corazzata prendesse il largo. Mancava un centravanti, venne assunto il padovano Vecchina, più agile che potente, abile ad aprire spazi e a concludere in proprio; in mediana venne aggiunto Rier, proveniente dalla Lazio; e soprattutto fu acquistato dall’Alessandria l’interno Giovanni Ferrari, un formidabile metronomo del gioco, con la capacità di sostenere senza pause il ritmo della manovra, ma pure di concludere in proprio al modo di un attaccante (come d’altronde era classificata la mezz’ala nel Metodo, disposizione tattica imperante nel campionato italiano).

Il gioco era fatto: la difesa poteva contare su un terzetto di valore assoluto: il portiere Combi e i due terzini (in realtà “liberi” secondo il Metodo) Rosetta e Caligaris; la linea mediana vedeva Barale e Rier sulle fasce a marcare le ali avversarie e l’alacre Varglien I nel ruolo centrale, con spiccata attitudine difensiva e scatto bruciante (era accreditato di 11’2 sui cento metri). Il resto, lo faceva il quintetto offensivo: le mezzeali Cesarini (fantastico inventore di gioco, degno successore dell’ormai anziano Zizì Cevenini III, passato al Messina) e Ferrari, le ali Munerati e l’irresistibile Orsi, infine il centravanti Vecchina, magistrale nello spalancare varchi ai compagni. Una formazione compatta, a tenere unita la quale provvedevano non solo il tratto di Edoardo Agnelli, inflessibile ancorché garbato custode dello stile bianconero, ma anche l’abilità tecnica di Carlo Carcano, ex giocatore dell’Alessandria e della Nazionale, arrivato dal club piemontese portando con sé il gioiello Ferrari. Carcano si dimostrò subito fine psicologo e allenatore tatticamente pragmatico, creando un gruppo che dell’unità di intenti e del mutuo servizio fece fondamentali punti di forza. Aprendo la strada a una “striscia” di successi tricolori destinata diventare leggenda.

La sorpresa: Roma

Con la costruzione dello stadio Testaccio, inaugurato il 3 novembre 1929 da un successo sul Brescia, la Roma aveva voltato pagina, puntando ai vertici. Nonostante qualche problema economico, che avrebbe portato il presidente Renato Sacerdoti a vestire i panni di commissario straordinario, l’estate del 1930 preparò il boom, con l’ingaggio del portiere Guido Masetti e dell’ala Costantino, gioiello del Bari, per 70 mila lire. La Roma divenne grande, alimentando la leggenda del Testaccio, il campo dove spirava il vento giallorosso. Un’aria fatta di spirito combattivo, attaccamento ai colori, foga agonistica della squadra all’unisono col suo vociante e vicinissimo pubblico. Il “top” venne raggiunto con il sensazionale 5-0 alla Juventus il 15 marzo 1931, che aprì la concreta possibilità di approdare allo scudetto. Ma i fattacci del “derby”, di cui parliamo nel capitolo dedicato al “caso” tarparono le ali al gruppo allenato da Herbert Burgess e al suo disperato inseguimento. Alla fine fu secondo posto, risultato entusiasmante, colto con 51 punti, in perfetta media inglese, col maggior numero di gol segnati (87) e il minore di quelli subiti (31) e il capocannoniere (Volk). Il risultato consentì alla Roma di esordire in campo internazionale, partecipando alla sua prima Mitropa Cup.

La delusione: Guillermo Stabile

Scese da un bastimento a Ponte dei Mille, a Genova, il 14 novembre 1930 e ad aspettarlo c’era una folla in tumulto. Di Guillermo Stabile, capocannoniere del primo Mondiale, si diceva fosse il più forte centravanti del pianeta. Era venerdì; benché stanco per la traversata, accettò di scendere in campo due giorni dopo; solo perché l’avversario era il Bologna e il segretario della Federcalcio, bolognese, si recò alla partita la domenica, il Genoa ebbe la firma sul “transfer” e potè schierarlo. Le voci (non c’era televisione, all’epoca) si rivelarono esatte: il “filtrador”, così chiamato per la capacità di filtrare in serpentina nelle difese più munite, segnò tre gol, schiantando il forte avversario e mandando in visibilio il pubblico. Ma la gioia durò pochissimo. La domenica dopo il Genoa buscava un 5-0 dalla Lazio in trasferta e cominciavano a nascere i dissapori con l’altro attaccante Banchero I. Qualche settimana dopo, in amichevole con l’Alessandria, un’uscita del portiere Rapetti sui piedi dell’attaccante provocava a Stabile la frattura del perone destro. Un incidente gravissimo, che trasformava in drammatico flop l’acquisto più clamoroso della stagione. Stabile sarebbe rientrato solo dopo mesi e nella primavera del 1933 si sarebbe di nuovo fratturato la gamba destra. L’impatto con le durezze del campionato italiano fu fatale alla leggenda del “filtrador”. E con lui si spensero i sogni di resurrezione del glorioso Genoa.

Il caso: Il tifo galeotto del generale

Derby romano di ritorno, 24 maggio 1931, coi giallorossi a soli due punti dalla Juve. Si gioca in casa della Lazio. L’arbitro Gama, principe del fischietto, accende la Roma annullando un gol di Costantino per (dubbio) fuorigioco e poi non dando il rigore ai giallorossi per un mani di Fantoni II in area. Sul 2-2 colto in rimonta, la Roma vuole vincere. De Micheli, terzino giallorosso, insegue per la rimessa l’ennesimo pallone buttato fuori dai biancocelesti, quando il generale Vaccaro, prossimo presidente della Federcalcio che assiste da bordo campo, allontana la sfera con un calcio. Conoscendone la fede laziale e sospettando la perdita di tempo, De Micheli insulta e colpisce Vaccaro con un ceffone, subito restituito. Accorre l’arbitro e con l’aiuto dei carabinieri divide i belligeranti, poi dopo pochi secondi fischia la fine. De Micheli si avventa di nuovo su Vaccaro e ne nasce una rissa gigante tra i giocatori e il pubblico. Una carica dei carabinieri a cavallo (!) ristabilisce la calma. Le squalifiche saranno pesanti: un turno per i due stadi e Roma senza Di Micheli (4 giornate), Bernardini (3) e Ziroli (2). Addio scudetto. È qualcuno sussurrerà: incidenti premeditati.

L’uomo più: Virginio Rosetta

Come capita a ogni grande squadra, la forza della Juventus che inaugurò il quinquennio d’oro cominciava dalle fondamenta, cioè dalla difesa. Un reparto di campioni assoluti, tra cui primeggiava Virginio Rosetta, figura simbolo dell’antico calcio italiano per più d’una ragione. Intanto, era un prodotto del vivaio vercellese, il più prolifico degli anni pionieristici. Nato a Vercelli il 25 febbraio 1902, era entrato nella “Pro” giovanissimo e ad appena diciassette anni aveva esordito in prima squadra, da attaccante, prima di arretrare a interno e infine a difensore, dove diede il meglio.
A tal punto che, vinti gli scudetti del ‘21 e del ‘22, venne acquistato dalla Juventus nel settembre 1923. O meglio: ricevuta l’offerta in denaro, il giocatore accettò di buon grado, avendo da poco ricevuto come i compagni una lettera del presidente che respingeva la loro richiesta di uno stipendio argomentando che giocare per le bianche casacche era un onore che non poteva essere “sporcato” col denaro. Un reclamo del Genova (assieme ad altri club) dopo il suo debutto fece saltare il trasferimento, ponendo la questione del professionismo, allora ancora formalmente fuori legge. A fine stagione, nella primavera del 1924, la situazione veniva regolarizzata. Pagato una cifra astronomica per l’epoca, Rosetta non deluse: “spazzino” d’area di sontuosa efficacia, brillante nei disimpegni grazie all’abilità tecnica, formò con il portiere Combi e l’altro terzino Caligaris un trio leggendario. Vinse sei scudetti con la Juve e il titolo mondiale 1934. Chiuse nel 1936, è morto nel 1975.

Il capocannoniere: Rodolfo Volk

Rodolfo Volk

I romani lo chiamavano “Sigghefrido”, per l’aspetto teutonico – fisico imponente e capelli biondi -, ma anche “Sciabbolone”, per l’irruenza devastante delle incursioni nelle aree di rigore. Rodolfo Volk, il più grande centrattacco di sfondamento dell’epoca, era nato a Fiume il 14 gennaio 1906 e non appena messo piede su un campo di calcio era stato schierato al centro della prima linea, dove lo chiamavano la formidabile stazza fisica e la potenza micidiale del tiro. Sulla quale fiorivano le leggende: raccontavano i portieri che i palloni si caricavano di una forza spaventosa, quasi che una forza misteriosa li sollevasse dall’erba scagliandoli come proiettili. Cresciuto nella Gloria, fece il servizio di leva come geniere telegrafista a Firenze, dove giocò nelle file della Libertas e poi della Fiorentina sotto il falso nome di Bolteni, come si usava all’epoca. Arrivò a Roma subito dopo, nel 1928, e divenne un idolo. Lo stile non era impeccabile, ma l’efficacia cancellava tutto: 25 gol in 30 partite la prima stagione, 21 in 31 la seconda e nel 1930-31 il titolo di superbomber con 29 gol. Fu quello il suo massimo rendimento. Dal torneo successivo prese a decadere. Giocò anche nel Pisa, nella Triestina e nella Fiumana. È morto nel 1983.

CLASSIFICA

PosSquadraPGVNP
1JUVENTUS55342554
2ROMA51342275
2BOLOGNA48342167
4GENOVA47342239
5AMBROSIANA383415811
6NAPOLI373418115
7TORINO363414812
8LAZIO353415514
9BRESCIA343413813
10PRO VERCELLI333413714
11MODENA333414515
12MILAN313412715
13ALESSANDRIA263410618
14TRIESTINA25348917
15PRO PATRIA23348719
16CASALE21348521
17LIVORNO20346820
18LEGNANO19346721

VERDETTI

Campione d’ItaliaJUVENTUS
Retrocesse in serie BLIVORNO e LEGNANO
Qualificate in Coppa EuropaJUVENTUS e ROMA

MARCATORI

28 Volk (Roma)
24 Meazza (Ambrosiana)
20 Orsi (Juventus), Vojak I (Napoli)
18 Fasanelli (Roma), Reguzzoni (Bologna)
17 Banchero I (Genova)
16 Ferrari Gio. (Juventus), Mazzoni (Modena), Schiavio (Bologna), Vecchina (Juventus)
15 Banchero II (Alessandria)
14 Libonatti (Torino), Maini (Bologna)
13 Munerati (Juventus), Pastore (Lazio), Piola (Pro Vercelli)