Serie A 1969/70: CAGLIARI

PRESENTAZIONE DEL CAMPIONATO

Il Torino strappa il giovane fantasista Claudio Sala al Napoli per 480 milioni; l’altro “botto” lo fa il Cagliari: per avere Domenghini, Gori e PoliBoninsegna e 250 milioni all’Inter, che si assicura anche il portiere granata Lido Vieri e per la panchina ingaggia l’altro Herrera, Heriberto. Il Milan prende Combin dal Varese, la Juventus, affidata a Luis Carniglia, si rinnova con i gioielli della Samp, lo stopper Morini e il fantasista Roberto Vieri, il laterale Marchetti dell’Atalanta e il ritorno del mediano Furino (da Palermo).

La Fiorentina scudettata parte alla grande, restando sola al comando alla quarta giornata, a punteggio pieno. La domenica dopo, il 12 ottobre, i viola perdono in casa dal Cagliari, che passa in testa. Improvvisamente ci si accorge che gli isolani potrebbero non essere una meteora: dopo il pari in casa con l’Inter, espugnano il San Paolo e battono la Roma, ritrovandosi con quattro punti di vantaggio su Inter e Fiorentina. Il 28 dicembre il Cagliari è campione d’inverno con un turno di anticipo e tre punti di vantaggio su Fiorentina, Inter, Juventus e Milan.

cagliari-juve-1970-riva
Juventus-Cagliari 2-2: Riva anticipa Anzolin e realizza la prima rete dei sardi

Passano tre giornate e i bianconeri, rivitalizzati dalla cura di Ercole Rabitti (subentrato a Carniglia alla settima giornata), restano soli a inseguire gli uomini di Scopigno a tre lunghezze. I rossoblù vanno fuori giri: dopo aver travolto il Brescia e battuto la Lazio a domicilio, vengono fermati in casa dalla Fiorentina e la domenica dopo perdono dall’Inter a San Siro. La Juve, che ha rifilato una quaterna al Vicenza, si ritrova a un solo punto, la Fiorentina a 3.

La ripresa dei sardi è tuttavia immediata, con la vittoria sul Napoli e il successivo pareggio all’Olimpico con la Roma. Decisivo diventa lo scontro diretto del 15 marzo al Comunale di Torino, dove tra le polemiche per l’arbitraggio di Lo Bello i sardi con due gol di un furibondo Riva firmano il 2-2 che lascia gli inseguitori a due lunghezze. La domenica dopo la Juve scivola a Firenze, mentre i rossoblù regolano il Verona. Il 12 aprile il Cagliari battendo il Bari è campione d’Italia con due turni di anticipo. Chiuderà con quattro punti sull’Inter. In coda, nella domenica del titolo, il Bari sconfitto in Sardegna cade in B assieme a Brescia e Palermo.

I VINCITORI: CAGLIARI

Cagliari1970_quadrato_giocatori

«Ero un ragazzo, quando sbarcai all’aeroporto di Elmas: 1963, una vita. Non riuscivo a capire dove ero capitato. Poi cambiò tutto. Dovunque andavamo, trovavamo tifosi; gente che veniva dalla Svizzera, dalla Germania, dal Belgio. Per molti la Sardegna era la patria dei banditi e dei pastori: ci chiamavano così, quando andavamo al Nord. E noi buttavamo in campo tutte le voglie che avevamo in corpo. Quello scudetto fu eccezionale per tutti. Noi capivamo che stavamo contribuendo a creare qualcosa di nuovo. Ora dici Sardegna e pensi al paradiso del mare, alle vacanze. Ma in quegli anni l’isola era un luogo di punizione. Tutto cambiò, anche grazie al nostro scudetto».

 

Nei ricordi di Gigi Riva, il senso di una conquista che va oltre il semplice fatto sportivo, eppure è innanzitutto un piccolo grande prodigio tecnico-tattico. Manlio Scopigno, l’allenatore che l’ha prodotto, ha quasi l’ossessione di defilarsi, schermirsi con battute al vetriolo. Ma c’è la sua saggezza dietro questo capolavoro di squadra.

Intanto, il tecnico ha compreso come il clima marittimo consigli tempi di allenamento ridotti: la serietà dei ragazzi, adeguatamente catechizzati, consente loro di perfezionare la preparazione in partita e la tenuta atletica sarà uno dei segreti per reggere il gran ritorno della Juve nella seconda parte della stagione. Poi, l’abilità nel disporre le pedine, agevolata dal conforto di una società forte alle spalle.

A richiamarlo, dopo l’esonero dell’estate 1967 (pretesto: una… minzione fuori ordinanza nel giardino del console italiano a Chicago), è stato il nuovo presidente Efisio Corrias, presidente della Regione e politico di razza. Accanto a lui, Paolo Marras, dirigente prezioso per i rapporti coi giocatori, e Andrea Arrica, il genio del mercato. Colui che ha convinto nell’estate 1968 il presidente della Fiorentina Baglini a scambiare il desiderato Rizzo con Albertosi e Brugnera.

angelo domenghini storiedicalcio
Domenghini arriva da Milano come contropartita di Boninsegna

E che un anno dopo completa il capolavoro rompendo il pericoloso dualismo RivaBoninsegna con la cessione di quest’ultimo all’Inter in cambio di Domenghini, in rotta con la società dopo una infelice frase della moglie del presidente Fraizzoli («Valgono più dieci minuti di Corso che un’ora e mezzo di Domenghini»), del raffinato centravanti di manovra Gori e del difensore Poli. Arriva anche il terzino sinistro Mancin dalla Fiorentina in cambio di Longoni e il vecchio Longo viene ceduto all’Atalanta.

Un mercato praticamente perfetto, giocato tutto sull’abilità mercantile, anche se non manca, tra i fondamenti dell’ascesa di un club solo sei anni prima ancora in B, il sostegno economico di alcuni industriali, tra cui Angelo Moratti, l’ex presidente dell’Inter con interessi petroliferi nell’isola, che ha addirittura garantito a suo tempo un contributo pur che Riva non lasciasse il Cagliari per rafforzare Juventus o Milan.

Col materiale a disposizione, Scopigno costruisce un gioiello. La difesa è un bunker: il “mostro” Albertosi in porta, i mastini Martiradonna e Zignoli sulle fasce, lo stopper Niccolai e il libero Tomasini al centro. A centrocampo, attorno al fulcro Greatti, girano Cera, Nené e Brugnera, con Domenghini sul lato destro, instancabile cursore e inventore d’attacco, su livelli di rendimento strepitosi. Un reparto dai piedi buoni, che lavora attorno a schemi semplici ma efficacissimi: la diga difensiva, i lanci lunghi di Cera e Nené in direzione del contropiedista Riva, i recuperi di Domenghini e Greatti, bravi peraltro a ripiegare a sostegno della retroguardia quanto a rifinire grazie a doti tecniche sopra la media.

Bobo Gori – Cagliari
Bobo Gori, fondamentale il suo apporto nello scacchiere sardo

E quando Tomasini subisce un gravissimo infortunio scontrandosi col panzer doriano Benetti, il tecnico ha l’intuizione geniale di arretrare a libero il mediano propulsivo Cera, un’idea che verrà sublimata da Valcareggi in Nazionale e che nulla toglierà all’impermeabilità del reparto, perforato a fine stagione appena undici volte: un primato assoluto, rimasto ineguagliato.

In attacco, il classico Gori è un attaccante mobile, abilissimo a portar via un difensore svariando sulle corsie laterali: la perfetta spalla del centravanti Riva, travolgente come non mai. Una forza della natura che si abbatte sulle difese avversarie.

Improvvisamente, il vecchio stadiolino Amsicora diventa insufficiente a contenere tutti i sardi che da ogni parte dell’isola e d’Italia (ma pure dall’estero, come visto) accorrono a sostenere l’inatteso miracolo. Dell’allenatore, Riva ha ricordato:

«Il carattere della squadra era quello che aveva forgiato Scopigno. Era capace di sdrammatizzare. Grazie a lui capimmo che si poteva ottenere molto sprecando pochissime parole. Dicevano che gli volevamo bene perché ci lasciava liberi di fare quel che volevamo. Non ci opprimeva, ma quando Scopigno interveniva, si sentiva. Noi cercavamo la rivincita e lui ci ha aiutato a trovarla. Era un personaggio rarissimo. Rispetto alle cose, aveva un atteggiamento distaccato. Sapeva intervenire con discrezione, parlare privatamente, nelle stanze dei ritiri. Ci lasciava le briglie sciolte sino a quando lo riteneva necessario, poi interveniva. Ci ha insegnato il professionismo. E anche sul piano tattico ha avuto intuizioni importanti: il libero in linea con i difensori lo ha inventato lui».

LA RIVELAZIONE: PIERLUIGI CERA

pierluigi cera storiedicalcio 236

Ha 28 anni, Pierluigi Cera, dunque non dovrebbe proprio costituire una sorpresa per il campionato italiano. Vi ha esordito addirittura il 4 maggio 1958, a diciassette anni, con la maglia del Verona, a San Siro contro il Milan (sconfitta 0-2) e da qualche stagione è uno dei più efficaci mediani del calcio italiano. Tocco pulito, senso tattico, personalità. Eppure, il meglio deve ancora essere scritto, del suo (lunghissimo) romanzo di calciatore. Intanto, Scopigno lo colloca nel cuore del gioco, in asse con Greatti. Una cerniera formidabile: di lì non si passa e il rilancio dell’azione è assicurato. Cosi come i consigli per i compagni:

«Scopigno aveva una gran fiducia in me e Greatti, prima della partita parlava spesso con noi due. Quando fu squalificato mi diceva sempre: Piero, mi raccomando, pensaci tu. Io ero un po’ imbarazzato perché lo diceva dinanzi a Ugo Conti, il suo vice».

A coronamento di tanta qualità, arriva l’esordio in Nazionale, il 22 novembre 1969 a Napoli contro la Germania Est, battuta 3-0. La svolta, però, capita 1’11 gennaio 1970, prima giornata di ritorno, quando il libero Tomasini nello scontro col roccioso Benetti della Sampdoria subisce un grave infortunio a un ginocchio, che lo estromette per il resto della stagione (Mondiali compresi). A quel punto Scopigno ha l’intuizione: arretrerà nel ruolo Pierluigi Cera.

riva cera messico 70
Riva e Cera: felicità d’altura a Messico 70

Proprio lui: il ragazzo nato a Legnago, in provincia di Verona, il 25 febbraio 1941, cresciuto nelle giovanili gialloblù, partito come centravanti, poi arretrato a mezz’ala e infine, da professionista, a laterale. Il risultato è stupefacente: una interpretazione moderna, alla Beckenbauer, che ne fa subito il migliore del campionato.

«Interpretai il ruolo a modo mio. Venendo dal centrocampo, era per me naturale avanzare e costruire gioco. In mezzo al campo ero quello che toccava più palloni. Intuire le giocate faceva parte del mio DNA. Quando uscivo dall’area cercavo sempre l’uno-due col mediano».

Valcareggi, il Ct azzurro, fa presto a convincersi, e dopo lo scudetto Cera vive la favolosa avventura di Messico ’70 da libero della Nazionale. Un ruolo che ricoprirà in azzurro ancora per anni (18 partite in totale), mentre nel Cagliari dall’anno dopo, col ritorno di Tomasini, riprenderà il suo posto a centrocampo. La sua carriera vivrà poi una lunghissima e splendida appendice a Cesena, dove approderà nel 1973, per giocarvi, da sontuoso libero con tanto di approdo internazionale (in Coppa Uefa), fino al 1979.

LA DELUSIONE: HELENIO HERRERA

Herrera_panchina

Chi è Helenio Herrera nel 1969? Un personaggio in cerca di autore, secondo i maligni: modo eufemistico per definire un ciarlatano in declino. Parole dure, che cozzano con quelle che il “Mago” riesce ancora a estrarre dal suo cappello a cilindro di affascinante oratore; e con il suo favoloso ingaggio, lontano anni luce da quello di tutti i suoi colleghi del campionato.

È approdato nella Capitale nell’estate del 1968, quando l’avventura nell’Inter era ormai naufragata. Un approdo non facile, accompagnato da roventi polemiche per il contemporaneo siluro al “Mago dei poveri” Oronzo Pugliese, licenziato dalla Roma nonostante il contratto già rinnovato. Sul massimo soglio siede in quella tormentata estate Franco Evangelisti, che di li a poco lascerà a Francesco Ranucci.

Herrera arriva dopo un piccolo tira-molla sull’ingaggio: per portare in giallorosso la sua bacchetta magica vuole cento milioni, uno sproposito. Alla fine l’accordo si trova, il Mago galvanizza la folla e promette orizzonti di gloria. La sua prima Roma finisce ottava e vince la Coppa Italia, lanciando un bel gruppo di giovani: i difensori Spinosi, Bet e Santarini, il centrocampista Capello, il lungo attaccante Landini.

1969–70_Associazione_Sportiva_Roma
16 ottobre 1969. Milan-Roma 2-3. Da sx, in piedi: Ginulfi, Bet, Landini, Spinosi, Cappellini, Cappelli; accosciati: Santarini, Capello, Peiró, Salvori, Cordova.

Così nell’estate del 1969 il Mago è sicuro: la Roma ha tutto per diventare grande. Basta aggiungere al gruppo degli emergenti alcuni innesti mirati: il solito centravanti Cappellini (il suo pallino, convinto com’è che possa essere un campione solo che si convinca a… diventarlo) dal Varese, il giovane centrocampista Franzot dall’Udinese e il terzino Petrelli dal Verona. La squadra viene alleggerita di un bel po’ di zavorra: Pizzaballa, la bandiera Losi, Sirena e D’Amato.

Dovrebbe nascerne una Roma veloce e imprendibile, in grado di lottare per lo scudetto: con la piccola “molla” Ginulfi in porta, Cappelli stopper davanti al libero Santarini, i marcantoni Spinosi e Bet terzini e un centrocampo da scintille: il regista Capello, il rifinitore Peirò, lo stantuffo Salvori e il raffinato Cordova. In avanti tocca a Cappellini e Fausto Landini coprire il vuoto lasciato dal povero Taccola.

Le grandi speranze del “Mago” e il suo decantato “programma scudetto’’ naufragano miseramente. I suoi motti, il taumaturgico «Taca la bala!» non bastano a costruire un gruppo vincente. La squadra è molle a centrocampo e drammaticamente incapace di andare in gol. Alla fine sarà Peirò il capocannoniere con la miseria di 5 reti, seguito dal “bomber” Cappellini e da Capello con 4. La Roma chiude al decimo posto, a pari punti col Bologna, Un soffio sopra la zona retrocessione.

È il segnale di un fallimento epocale, aggravato dai problemi di bilancio, che l’ingaggio faraonico del tecnico (destinato a salire fino a 258 milioni a stagione) appesantisce in modo insostenibile. Così a fine stagione arriverà il segnale della resa: la cessione in blocco alla Juventus dei tre gioielli Spinosi, Capello e Landini, che andranno a costruire (e realizzare, i primi due) un programma scudetto autentico. Il “Mago” invece resterà in giallorosso fino al 1973, licenziamento e riassunzione (a furor di popolo) del 1971 compresi. Con l’unico bottino (stipendi a parte) della Coppa Italia conquistata nel 1969.

IL CASO: LA SQUALIFICA DI SCOPIGNO

Manlio-Scopigno

La flemma di Manlio Scopigno è entrata nella leggenda, così come il suo gusto per la battuta. Quando, rimasto a piedi dopo la cacciata dal Cagliari nel 1967, si parla di un suo possibile arrivo all’Inter per il dopo-Herrera, commenta: «Il loro campo d’allenamento ha le camere che danno sul terreno di gioco. Lì potrei comodamente dirigere i ragazzi dalla camera».

Eppure, proprio nel torneo della consacrazione, il tecnico perde le staffe, con effetti dirompenti. È il 14 dicembre 1969, il Cagliari gioca e perde di misura a Palermo. Scopigno viene bersagliato di sputi da alcuni spettatori e la direzione dell’arbitro Toselli così come l’operato del guardalinee Cicconetti non gli sembrano imparziali (eufemismo). Al collaboratore del fischietto consiglia un orifizio in cui più produttivamente collocare la bandierina e a fine partita, mentre i giocatori rosanero sono al centro del campo, lo apostrofa nuovamente: «Perché non va anche lei a prendere gli applausi in mezzo al campo? Con la testa di… che si rimava, non dovrebbe andare in giro, ma stare a casa a fare il pupazzo».

Riva_Scopigno

Dieci giorni dopo arriva la mazzata: cinque mesi di squalifica, cioè fino alla fine del campionato, «per aver rivolto a un guardalinee una frase gravemente irriguardosa – immediatamente seguita da una frase di triviale ingiuria, poi ripetuta nei confronti del medesimo, alla fine della gara, in prossimità del sottopassaggio. Recidivo».

Scopigno prima giura che si è trattato di un banale malinteso destinato a essere presto chiarito, poi assicura che in fondo «dalla tribuna le partite si seguono meglio». Il Cagliari, per manifestargli la sua solidarietà, gli rinnova il contratto per la stagione successiva. In sede di appello la gravità delle ingiurie non consente una riduzione della pena.

Così Scopigno stabilisce un primato: vincere lo scudetto disertando la panchina per quasi tutto il girone di ritorno, seguendo in casa la squadra da dietro la recinzione del l’Amsicora. Durante la festa tricolore, commenta:

«Sì, sono mancato per sedici partite, ma la squalifica si è ridotta alla mia assenza dalla panchina. Ho diretto gli allenamenti, ho scelto la formazione, ho guidato ugualmente la squadra, sia pure attraverso l’ottimo vice, Ugo Conti. L’allenatore in panchina conta, ma il Cagliari non ne ha davvero sofferto».

TOP: SANDRO MAZZOLA

fotogiorno-mazzola-italia-ddr-1969

Nei suoi ricordi, Helenio Herrera occuperà sempre, come ovvio, un posto particolare. Anche perché fu lui, il “Mago”, non solo a lanciarlo in Serie A (incoraggiato da Angelo Moratti), ma anche a indirizzarlo tatticamente.

«Mi ha cambiato come giocatore; ero bravo tecnicamente ma lento, mi ha fatto diventare l’opposto. Mi ha fatto morire, prima di farmi giocate : io volevo fare la punta, lui mi voleva centrocampista».

E proprio in questa fine anni Sessanta Sandro Mazzola diventa ciò che il “Mago” ha previsto: un interno a tutti gli effetti. Merito anche di Ferruccio Valcareggi, che nella ripetizione della finale per il titolo europeo, il 2-0 alla Jugoslavia all’Olimpico del 10 giugno 1968, lo ha schierato col numero 8, nel cuore del gioco, traendone la più beila partita in azzurro del Sandro interista.

A quel punto Mazzola usciva da una crisi personale, coincidente con quella dell’Inter, e si accingeva ad aprire un capitolo nuovo. Lo racconta lui stesso nel novembre del 1969, nel corso della tournée premondiale in Messico:

«Due anni fa le mie condizioni fisiche finirono sottoterra, per un certo motivo che non sto a dire, ma che non è dipeso da me. Mi ritrovai con la salute compromessa, avrei dovuto riposare, fermarmi, ma non lo sapevo, dovetti andare avanti. Non avevo più forze, anche se facevo sempre la stessa vita, gli stessi sacrifici. Un giorno un medico mi disse: se lei fosse un impiegato, la fermerei tre mesi. Mi diede una cura e a poco a poco ritrovai me stesso: nella primavera 1968 ricominciai a giocar bene».

Il titolo europeo, l’addio di Moratti ed Herrera e pure un ruolo diverso. Nell’estate del 1969 Fraizzoli fa tornare all’Inter Roberto Boninsegna e finalmente c’è il centravanti di ruolo mancato per anni. Anche ufficialmente, Mazzola diventa centrocampista, tra le perplessità di buona parte della critica, che gli imputa una eccessiva predilezione per il dribbling e pure la mancanza del passo per il ruolo di regista.mazzola-rivera-staffetta-messico-1970

Quando l’Inter era entrata in crisi, Sandrino da “eroe” era passato nel girone dei “colpevoli”. Una specie di “padrino”, che cercava di imporre in squadra il fratello Ferruccio, che faceva la guerra a don Helenio e si batteva perché Vinicio stesse fuori. Ora tutto è superato: non solo Mazzola non si oppone al nuovo centravanti, ma anzi dimostra di avere metabolizzato al massimo la lezione del “Mago” e si esalta all’idea di eccellere nel ruolo che già fu di suo papà Valentino.

Ora si sente centrocampista a tutti gli effetti e le sue prove sono quasi sempre a livello ottimale. Peccato che all’apice della stagione, al Mondiale in Messico, il dualismo con Rivera, sfociato nella “staffetta” e nelle polemiche dopo la finale col Brasile, ne offuschi in parte la qualità dell’apporto al gioco. L’Inter e la Nazionale hanno comunque trovato un leader che durerà ancora a lungo: smetterà solo nel 1977, con 417 presenze e 116 gol in campionato, 70 e 22 reti in azzurro.

IL CAPOCANNONIERE: GIGI RIVA

gigi-riva-cagliari-hidefinition

Una stagione indimenticabile, per Gigi Riva? Di più: un fazzoletto di mesi densi di eventi, di storie, di gloria e qualche delusione. A venticinque anni il bomber è al massimo del rendimento, il suo sinistro è capace di prodezze strepitose, i gomiti spianati nelle veementi incursioni in area sono l’incubo dei difensori più arcigni. E tutta la Sardegna è ai piedi del cannoniere che in estate ha di nuovo rifiutato la corte milionaria degli squadroni metropolitani per restarle fedele. Per vedere “Giggirriva” si dice che si confondano sulle scalee del piccolo Amsicora anche alcuni celebri ricercati dell’isola.

Ma non c’è solo questo. C’è anche l’uomo Riva, che, sia pure protetto dal riserbo dell’ambiente, vive la storia d’amore della vita con una donna sposata, che difende da ogni attacco. Il momento critico tocca il diapason prima del viaggio in Messico per il Mondiale che lo attende tra i grandi protagonisti dopo la conquista dello scudetto e di cui sarà invece un interprete discontinuo, pur contribuendo all’esaltante secondo posto finale dietro il Brasile di Pelé.

E il terzo titolo di re dei bomber resterà anche l’ultimo, la grande stagione di Riva e del Cagliari finisce qui. Un giorno, ricordando con malinconia, non avrà dubbi:

«Il più grande cruccio della mia carriera? Lo scudetto più bello: quello dell’anno successivo, 1970-71, che purtroppo non abbiamo mai vinto. Dopo cinque giornate eravamo già in testa, avremmo ammazzato il campionato. Andammo a Roma e rifilammo quattro gol alla Lazio; andammo a Milano e ne rifilammo altri tre all’Inter che alla fine vinse il titolo. Invece, mi infortunai a Vienna. Quella mia frattura ruppe l’incantesimo».

riva-zx11mms

Pochi mesi dopo il tricolore, il 31 ottobre 1970, il difensore austriaco Hof si infila il cappuccio del boia e consuma la sua vendetta: Gigi lo ha steso con un diretto in Mitropa Cup nei dicembre 1969, ora se lo ritrova di fronte in Nazionale, Austria contro Italia al Prater per l’Europeo; a un quarto d’ora dalla fine fa calare la mannaia, spezzandogli il perone destro con un brutale intervento. Anche la seconda gamba del grande campione viene immolata alla patria azzurra e niente sarà più lo stesso.

Per il Cagliari, che vedrà sfumare il sogno del secondo scudetto consecutivo, e per lo stesso Gigi, costretto questa volta ad assorbire una serie di piccoli infortuni a catena come eredità del terribile incidente. Chiuderà anzitempo la carriera nel 1976, dopo l’ennesimo guaio fisico, vantando cifre strepitose: 315 partite e 164 reti in A, tutte nel Cagliari, e 42 partite e 35 gol, primato assoluto, in Nazionale. Col tricolore rossoblù e l’europeo azzurro in bacheca.


LA CLASSIFICA FINALE

Squadra Gio Pti Vit Par Sco GolF GolS
CAGLIARI 30 45 17 11 2 42 11
Inter 30 41 16 9 5 41 19
Juventus 30 38 15 8 7 43 20
Milan 30 36 13 10 7 38 24
Fiorentina 30 36 15 6 9 40 33
Napoli 30 31 10 11 9 24 21
Torino 30 30 11 8 11 20 31
Lazio 30 29 11 7 12 33 32
Vicenza 30 29 11 7 12 32 31
Bologna 30 28 6 16 8 22 24
Roma 30 28 8 12 10 27 36
Verona 30 26 8 10 12 26 30
Sampdoria 30 24 6 12 12 22 37
Brescia 30 20 5 10 15 20 35
Palermo 30 20 5 10 15 23 45
Bari 30 19 5 9 16 11 35

 

VERDETTI
Campione d’Italia: CAGLIARI
Vincitrice Coppa Italia: BOLOGNA
Retrocesse in serie B: BRESCIA, PALERMO e BARI
Qualificate in Coppa dei Campioni: CAGLIARI
Qualificate in Coppa delle Coppe: BOLOGNA
Qualificate in Coppa delle Fiere: INTER, JUVENTUS, FIORENTINA e LAZIO
MARCATORI
21 gol Riva (Cagliari)
17 gol Vitali (L.R. Vicenza)
15 gol Anastasi (Juventus)
13 gol Boninsegna (Inter)
12 gol Chiarugi (Fiorentina), Chinaglia (Lazio), Prati (Milan)
9 gol Bertini M. (Inter)
8 gol Altafini (Napoli), Clerici S. (Verona), Domenghini (Cagliari), Rivera (Milan)
7 gol Muiesan (Bologna)
6 gol Gori S. (Cagliari), Menichelli (Brescia), Pellizzaro S. (Palermo), Savoldi Giu. (Bologna), Troja (Palermo)