Per un gigante come il Bayern, quella stagione fu un incubo che sembrava non finire mai. Tre allenatori, una squadra decimata, il peggior piazzamento in 15 anni. Ma fu proprio quel disastro a cambiare il futuro del club.
Il calcio non è fatto solo di vittorie e trionfi. Per quanto sia naturale celebrare i momenti di gloria, spesso sono le stagioni difficili a raccontare le storie più interessanti e rivelatrici. Nel nostro blog ci siamo concentrati spesso sulle grandi imprese delle squadre vincenti, sui momenti che hanno segnato la storia del calcio attraverso trofei e record. Oggi però vogliamo raccontarvi una storia diversa: quella della stagione 1991/92 del Bayern Monaco, un’annata che i tifosi bavaresi ricordano ancora con un brivido. Una stagione in cui tutto quello che poteva andare storto andò storto, un incubo sportivo che vide una delle squadre più titolate d’Europa precipitare in una crisi senza precedenti.
L’inizio della tempesta
La stagione 1991/92 si aprì sotto i peggiori auspici per il Bayern Monaco, segnando l’inizio di uno dei periodi più bui nella storia del club bavarese. Nonostante il prestigioso palmares e le vittorie del campionato nel 1989 e 1990 sotto la guida di Jupp Heynckes, il club si trovò improvvisamente in una situazione di estrema fragilità.

Il primo colpo arrivò con la perdita simultanea di tre pilastri difensivi, tutti freschi campioni del mondo con la Germania nel 1990. Il capitano Klaus Aughentaler, autentica bandiera del club, decise di appendere gli scarpini al chiodo dopo sedici anni di militanza in maglia rossa. La sua leadership in campo e il ruolo di libero sembravano impossibili da rimpiazzare. Come se non bastasse, la Juventus mise a segno un doppio colpo, assicurandosi sia lo stopper Jurgen Kohler che il versatile Stefan Reuter, capace di giocare sia in difesa che a centrocampo.
Queste partenze non rappresentavano solo una perdita tecnica, ma minavano l’intera struttura della squadra. Aughentaler, in particolare, incarnava lo spirito del Bayern, quella miscela di grinta e classe che aveva caratterizzato il club per anni. La sua assenza lasciava un vuoto non solo in campo ma anche nello spogliatoio, dove la sua autorevolezza aveva sempre rappresentato un punto di riferimento per i compagni.
La posizione di Heynckes, già indebolita dal secondo posto della stagione precedente dietro al sorprendente Kaiserslautern, divenne ancora più precaria. Il tecnico si trovava ora a dover ricostruire praticamente da zero l’intera fase difensiva della squadra.
Tentativi di rinforzo
Di fronte all’emorragia di talenti in difesa, la dirigenza del Bayern Monaco si mosse sul mercato con una serie di acquisti che, sulla carta, sembravano promettenti. Il colpo più significativo fu Thomas Berthold, prelevato dalla Roma dopo quattro stagioni in Serie A. Il difensore internazionale tedesco portava con sé l’esperienza maturata nel calcio italiano e sembrava la scelta ideale per guidare la nuova linea difensiva.
Per sostituire Kohler, il Bayern puntò su Oliver Kreuzer dal Karlsruhe, un difensore giovane ma già affermato nel calcio tedesco. L’attacco venne rinforzato con l’arrivo di Bruno Labbadia, proveniente proprio dal Kaiserslautern campione in carica, nella speranza che potesse portare con sé il DNA vincente della sua ex squadra.

Il mercato estivo vide anche l’arrivo di due brasiliani: il difensore Bernardo dal San Paolo e l’attaccante Mazinho II dal Bragantino. Una doppia scommessa che rifletteva la volontà del club di diversificare il proprio gioco con un tocco di classe sudamericana.
La nomina del portiere Raimond Aumann come nuovo capitano sembrava la scelta naturale per dare continuità alla leadership dopo l’addio di Aughentaler. Tuttavia, una serie di infortuni limitò drasticamente le sue presenze a soli 13 match nell’arco della stagione, privando la squadra di un punto di riferimento fondamentale proprio nel momento in cui ne aveva più bisogno.
Questi rinforzi, che sulla carta dovevano garantire un rinnovamento controllato, si rivelarono insufficienti a mantenere gli standard a cui il Bayern aveva abituato i suoi tifosi.
La crisi si approfondisce
La stagione 1991/92 segnò un momento storico per il calcio tedesco, con la prima Bundesliga unificata che includeva anche le squadre dell’ex Germania Est. Il campionato, eccezionalmente allargato a 20 squadre, avrebbe dovuto rappresentare un nuovo entusiasmante capitolo per il calcio tedesco. Per il Bayern Monaco, invece, si trasformò in un incubo.

Fin dalle prime giornate, emersero problemi profondi. La squadra sembrava aver perso la sua identità tattica: il gioco non fluiva, i reparti apparivano scollegati e i risultati negativi si susseguivano con preoccupante regolarità. L’emergenza portieri diventò particolarmente critica quando, oltre all’infortunio del capitano Aumann, anche il secondo portiere Scheuer si fermò per un problema alla spalla. La situazione divenne così disperata che il club fu costretto a richiamare dall’emergenza Harald Schumacher, già ritirato dall’attività agonistica.
Ma i problemi non erano solo tecnici. Lo spogliatoio viveva momenti di forte tensione, con Stefan Effenberg protagonista di un aspro conflitto con l’allenatore Heynckes. La situazione del centrocampista divenne così insostenibile che veniva fischiato non solo negli stadi avversari, ma persino quando giocava con la nazionale tedesca.
La crisi sembrava autoalimentarsi: ogni soluzione tentata creava nuovi problemi, ogni cambio tattico generava nuove falle nel sistema di gioco. I giocatori apparivano svuotati mentalmente, incapaci di reagire alle difficoltà. Quello che era sempre stato un gruppo coeso e determinato sembrava ora una squadra di estranei in campo.
Il valzer degli allenatori

L’8 ottobre 1991 segnò un punto di svolta drammatico nella stagione: dopo una umiliante sconfitta casalinga per 4-1 contro lo Stuttgart Kickers e un’eliminazione dalla Coppa nazionale per mano dell’Homburg (squadra di seconda divisione), Jupp Heynckes venne esonerato. Il suo bilancio mostrava quattro sconfitte in dodici partite, un ruolino di marcia inaccettabile per gli standard del Bayern.
La scelta del sostituto lasciò tutti a bocca aperta: il club optò per Søren Lerby, ex centrocampista danese che aveva vestito la maglia del Bayern dal 1983 al 1986. La decisione apparve subito azzardata: Lerby aveva solo 33 anni e, soprattutto, non aveva alcuna esperienza come allenatore. Non possedeva nemmeno la licenza necessaria per allenare in Bundesliga, tanto che dovette essere affiancato dall’allenatore delle giovanili Hermann Gerland.
L’esperimento Lerby si rivelò un disastro totale. Sotto la sua guida, il Bayern perse le prime due partite contro dirette concorrenti come Stuttgart e Dortmund. La débâcle più clamorosa arrivò in Coppa UEFA, dove i bavaresi subirono una devastante sconfitta per 6-2 contro i modesti danesi del BK 1903. La vittoria per 1-0 nel ritorno fu una magra consolazione.
A marzo, dopo una pesante sconfitta per 4-0 contro il Kaiserslautern, anche l’avventura di Lerby giunse al termine. Il club si affidò all’esperto Erich Ribbeck, ma ormai la stagione era compromessa: nelle ultime undici partite arrivarono cinque vittorie ma anche cinque sconfitte, a conferma di una crisi che nessun allenatore sembrava in grado di risolvere.
La ricostruzione
Il decimo posto finale rappresentò il peggior piazzamento del Bayern Monaco dal 1978, con un bilancio di 15 sconfitte, di cui sette subite tra le mura amiche. Per la prima volta in tredici anni, il club non si qualificò per le competizioni europee, un’assenza che pesava tanto sul prestigio quanto sulle casse societarie.

La dirigenza capì che era necessaria una rivoluzione totale. Il mercato estivo del 1992 vide una serie di acquisti mirati a ricostruire l’ossatura della squadra. Dal Bayer Leverkusen arrivò il terzino brasiliano Jorginho, mentre dal Borussia Dortmund fu prelevato il difensore Thomas Helmer, già affermato nazionale tedesco. Il centrocampo venne rinforzato con due colpi significativi: il giovane e talentuoso Mehmet Scholl dal Karlsruhe e l’esperto Markus Schupp dal Kaiserslautern.
Ma il vero colpo fu sferrato alcune settimane dopo l’inizio della nuova stagione, con il ritorno di Lothar Matthäus. Il capitano della nazionale tedesca, simbolo del Bayern degli anni ’80, rappresentava esattamente ciò di cui la squadra aveva bisogno: leadership, esperienza e qualità tecniche indiscutibili.
Per fare spazio ai nuovi arrivi, il club si separò da alcuni elementi chiave della stagione precedente. Brian Laudrup e Stefan Effenberg furono ceduti insieme alla Fiorentina, mentre Manfred Bender e Thomas Strunz (quest’ultimo sarebbe poi tornato tre anni dopo) lasciarono il club. Questi cambiamenti radicali posero le basi per il ritorno al vertice del Bayern, che nel 1994 avrebbe riconquistato il titolo nazionale.
Il ritorno dei “Die Roten”
Paradossalmente, quella che viene ricordata come una delle peggiori stagioni nella storia del Bayern Monaco si rivelò fondamentale per il futuro del club. La crisi spinse la dirigenza a prendere decisioni che avrebbero plasmato il destino della società nei decenni successivi.

Il momento chiave fu il ritorno di due leggende del calcio tedesco nel consiglio di amministrazione: Franz Beckenbauer e Karl–Heinz Rummenigge furono nominati vice presidenti esecutivi il 16 ottobre 1992. Insieme a Uli Hoeness, che era già manager generale da un decennio, formarono un triumvirato di ex giocatori in posizione dirigenziale. Non si trattava di nomine di facciata: tutti e tre partecipavano attivamente alle decisioni su acquisti, cessioni e scelte tecniche, portando la loro esperienza di campo nelle stanze dei bottoni.
Un altro gesto significativo fu il reinserimento di Gerd Müller nella struttura del club come scout, dopo il suo percorso di riabilitazione dall’alcolismo. Questa mossa, inusuale per un club noto per il suo pragmatismo, dimostrava come il Bayern stesse evolvendo verso un modello che univa efficienza aziendale e valori umani.
Anni dopo, Uli Hoeness avrebbe ammesso pubblicamente che l’esonero di Heynckes nel 1991 fu il più grande errore della sua carriera dirigenziale. Una confessione resa ancora più significativa dal fatto che proprio Heynckes, tornato sulla panchina del Bayern, avrebbe guidato il club al triplete (Bundesliga, Coppa di Germania e Champions League) nel 2013.