Storie di Stadi

Viaggio nell’Italia degli stadi, alla (ri)scoperta di quei personaggi di cui sempre si sente parlare ma dei quali, a volte, non si conosce granché.

Cattedrali pagane che trasudano storia da ogni filo d’erba, contenitori di emozioni e suggestioni, monumenti dello sport e testimoni della gloria di un popolo. Sono tanti i modi per definire uno stadio e ciò che rappresenta. Siamo sicuri, però, di sapere tutto, ma proprio tutto, su quegli autentici luoghi di culto in cui ogni domenica una folla ebbra di adrenalina si ammassa a sostenere ventidue eroi in pantaloncini? Gli amici di Bologna, ad esempio, conoscono Renato Dall’Ara? E quelli di Peru­gia Renato Curi? E Marcantonio Bentegodi, chi era costui? Ci sono tutti: presidenti vulcanici, campioni sfortunati, benefattori,
Santi e martiri di guerra. È l’Italia degli stadi, gente. Su il sipario: il viaggio comincia…

IL SOGNO DI SILVIO

“Ho vinto più titoli di Santiago Bernabéu e non mi hanno nemmeno intitolato uno sta­dio”. Forse non ha tutti i torti, Silvio Berlusconi. Del resto, buona parte degli stadi italiani è dedicata a loro, a quei presidenti che, con passione, coraggio e competenza, hanno saputo costruire piccoli miracoli sportivi regalando trionfi ed emozioni a milioni di tifosi.

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Renzo Barbera

A Palermo, c’è da scommettere, an­che i seggiolini dello stadio “Renzo Bar­bera” conoscono bene il personaggio in questione. Presidente della società rosane­ro negli anni ‘70, Barbera probabilmente non fu il condottiero di un Palermo bril­lante come quello ammirato negli anni sotto la gestione Guidolin, tuttavia il suo ricordo rimane incancellabile nel cuore dei tifosi siciliani. Narra la leggenda che, più volte alle prese con un bilancio in deficit, Barbera abbia ipotecato alcune sue proprietà pur di pagare lo stipendio ai gio­catori. Dopo la finale di Coppa Italia persa contro il Bologna nel 1974 a causa di un rigore fasullo assegnato agli emiliani, il presidentissimo rosanero fu comunque il primo ad avvicinarsi al capitano del Bo­logna e a stringergli la mano. Personaggio dall’indubbia statura morale, Renzo Bar­bera scomparve nel 2002 a 82 anni.

Qual­che chilometro più in là ed ecco Reggio Calabria, la Reggina e lo stadio “Oreste Granillo”, bolgia amaranto testimone dei grandi successi della squadra di casa ne­gli anni 2000. Così come Barbera, anche Granillo fu presidente amatissimo, artefice tra l’altro della prima storica promozione della Reggina in Serie B nel 1965. Gran­de uomo di sport, intraprese in seguito la carriera politica, venendo eletto sindaco di Reggio Calabria nelle file della DC.

Parli di grandi presidenti del Sud e pensi ad Angelo Massimino, personaggio vulcanico dall’incontenibile spontaneità che legò il suo nome, oltre allo stadio che oggi ospita il Catania, alle imprese e alle cadu­te della formazione etnea tra il 1969 ed il 1996.

Era senese di nascita ma fiorentino d’adozione. Per questo gli sono stati dedi­cati due stadi, quello del Siena e, appunto, quello della Fiorentina. Stiamo parlando di Artemio Franchi, forse il più grande diri­gente calcistico italiano di sempre, prota­gonista di una carriera travolgente che l’ha portato prima alla presidenza della FIGC e poi, per un decennio, a quella della UEFA. Solo la sua morte, avvenuta nel 1983, gli impedì l’approdo al vertice della FIFA. Fu soprattutto merito suo se l’Italia venne scelta come sede del Mondiale del 1990. Ce ne fossero, di Artemio Franchi, nel cal­cio di oggi.

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Renato Dall’Ara

Attraversi l’Appennino ed ecco Bologna, la Bologna del grande Renato Dall’Ara. Non poteva che essere dedicata a lui la casa dei rossoblu. Fu presidente della so­cietà felsinea per trenta lunghi anni, dal 1934 al 1964, un periodo in cui l’Italia si accorse del valore di quello che all’epoca veniva definito “lo squadrone che tremar il mondo fa”. Evviva Dall’Ara e la sua vera­cità, le sue leggendarie battute in dialetto emiliano, evviva il suo ultimo capolavo­ro, quello Scudetto conquistato contro la Grande Inter in un torrido pomeriggio di giugno del 1964. Quello che Renato non potè festeggiare, perché stroncato da un in­farto pochi giorni prima. Lo stadio fu inti­tolato alla sua memoria solo nel 1984: non sarebbe stato meglio farlo prima?

Addirit­tura due sono le personalità a cui è dedi­cato l’impianto di Ascoli: i fratelli Cino e Lillo Del Duca, celebri imprenditori mar­chigiani che, tra una trasferta e l’altra in Francia dove avevano fatto fortuna, trova­rono anche il tempo di diventare presidenti della società bianconera. La loro popolari­tà era talmente grande che, negli anni ‘50 e ‘60, la compagine cittadina assunse uffi­cialmente la denominazione di “Del Duca Ascoli”.

Uomo di sport legato a doppio filo al Cesena Calcio fu anche Dino Manuzzi, il presidente dell’epico sesto posto in Serie A del 1976 e della promozione in Coppa UEFA, imprese che gli sono valse la dedica dello stadio cittadino. Emblema­tico è poi il caso dell’avvocato Ennio Tardini, presidente del Parma che fu ideatore del progetto dello stadio che poi avrebbe preso il suo nome. Come non ricordare infine Marcantonio Bentegodi, benefatto­re veronese che fece sì che la quarta parte della sua ingente eredità fosse destinata al finanziamento delle discipline sportive. A lui è dedicato l’impianto che ospita Chievo e Verona, a detta di molti uno tra i più belli d’Italia.

Pioveva forte, quella tristissima domenica. Era il 30 ottobre 1977 e a Perugia arrivava la Juventus, la grande Juventus di Zoff e Morini, di Bettega e lardelli. Nuvole nere e minacciose annunciavano tristi presagi. E così fu. Renato Curi, giovane idolo de­gli umbri, cadde a terra, all’improvviso. E non si alzò più. Oggi lo stadio del Pe­rugia porta il suo nome. Racconterà anni dopo Serse Cosmi, nella sua autobiografia: “Ancora oggi, quando mi capita di corre­re in quel punto del campo, su quell’erba dove è caduto Curi, sento un brivido: il brivido di quella domenica”.

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Armando Picchi

Breve, ma indimenticabile, la parabola umana e spor­tiva di Armando Picchi. Prima i successi euromondiali con l’Inter negli anni ‘60, formazione di cui era anche capitano, poi il passaggio alla Juventus, stavolta come allenatore. Sarebbe diventato un grande anche in panchina, Armando, se il destino non l’avesse fermato troppo presto, a 35 anni. Lo stadio della sua città natale, Livorno, è intitolato alla sua memoria.

Fu la guerra, invece, a portarsi via Luigi Ferra­ris e Carlo Castellani. Il primo, ingegnere e calciatore del Genoa all’inizio del ‘900, fu ucciso da una granata austriaca duran­te il primo conflitto mondiale. Il secondo, bomber dell’Empoli anni ‘20 e ‘30 e poi partigiano, venne deportato nel campo di concentramento di Mauthausen da dove non sarebbe più tornato. A Luigi Ferraris è dedicato lo stadio di Genoa e Sampdoria, mentre a Empoli una lapide commemorativa ricorda Carlo Ca­stellani nello stadio che porta il suo nome.

Non potevano mancare, inoltre, omaggi agli sfortunati eroi del Grande Torino. Lo stadio di Varese è dedicato a Franco Ossola, che dell’invincibile squadrone grana­ta era l’ala sinistra, mentre il “Mario Rigamonti” di Brescia ed il “Romeo Menti” di Vicenza commemorano rispettivamente il centromediano e l’ala destra del Toro ca­duti a Superga.

È forse lo stadio italiano più famoso e ammirato al mondo e dunque non poteva che essere dedicato al più grande calcia­tore che l’Italia abbia avuto. Inaugurato nel 1926, lo stadio “San Siro” (chiamato così in onore di un Santo al quale era a sua volta dedicata una chiesetta nelle vici­nanze) venne ufficialmente intitolato alla memoria dell’indimenticabile Giuseppe Meazza il 2 marzo 1980. Milanese doc, fu per anni colonna dell’Ambrosiana-Inter e della Nazionale. Celeberrima la doppietta mondiale 1934-1938 centrata con la ma­glia azzurra, che fece di lui un’autentica star a livello internazionale. Un genio il cui spirito scende in campo ogni dome­nica, nel monumento calcistico che oggi porta il suo nome.

Da Giuseppe Meazza a Nereo Rocco, il grande “Paròn” idolo del­la Milano rossonera. In pochi sanno che, prima di diventare allenatore di successo, Rocco era stato un implacabile centravan­ti che visse momenti di gloria con la sua Triestina. Inevitabile, dunque, che l’im­pianto che ospita la formazione alabarda­ta sia oggi intitolato proprio a lui.

Fu con la maglia del Novara che il grande attaccante Silvio Piola visse gli ultimi lampi di una straordinaria carriera che ebbe come fiore all’occhiello il titolo mondiale conquistato a Francia ‘38. Oggi lo stadio della città piemontese porta il suo nome, e c’è da scommettere che da lassù, il primo a rallegrarsi per la storica promo­zione ottenuta lo scorso giugno sia stato proprio il grande Silvio.

Se dunque Meazza, Rocco e Piola hanno contribuito a scrivere la storia del nostro Paese attraverso le imprese calcistiche, lo stesso ha fatto, ma con il ciclismo, il mi­tico Fausto Coppi. Beh, direte voi, ma che c’entra quest’ultimo con il mondo del pallone? C’entra eccome, se è vero che lo stadio del Derthona, piccola società pie­montese dalla lunga militanza in Serie C, è dedicato proprio al Campionissimo. E non è nemmeno l’unico caso. Anche Al­berto Braglia, celebre ginnasta modenese medaglia d’oro alle Olimpiadi del 1908 e 1912, dà oggi il nome all’impianto della sua città.

Ben prima che gli appassionati di motociclismo si esaltassero dinanzi ai capolavori di Valentino Rossi o Giacomo Agostini, un altro fuoriclasse delle due ruote aveva riscosso l’ammirazione di tutti gli sportivi italiani. Era Libero Liberati, centauro temano che nel 1957 conquistò il titolo mondiale di motociclismo nella clas­se 500. Un’impresa che ha legato per sem­pre il suo nome alla casa della Ternana.

Lo stadio di Foggia, lo stesso che all’inizio degli anni ‘90 assistette alle prodezze dello squadrone di Zdenék Zeman, è intitolato invece alla memoria di Pino Zaccheria, un famoso cestista pugliese che, durante la Seconda Guerra Mondiale, si arruolò come sottotenente e perì a Tirana nel 1941.

Una storia simile a quella di Giuseppe Sinigaglia, campione di canottaggio comasco caduto durante la Prima Guerra Mondiale. A lui, oltre al conferimento della medaglia d’argento al Valor militare, anche la dedica dello stadio cittadino. Ad unire simbolicamente tutti gli atleti italiani ci pensa poi Bergamo, con il suo stadio “Atleti Azzur­ri d’Italia” che oggi costituisce il feudo dell’Atalanta.

Ma l’Italia degli stadi non è fatta solo di campioni, mecenati o presidenti illumina­ti. Ci sono anche figure che con lo sport hanno ben poco a che fare. Prendiamo il più caldo, il più scaramantico, il più maradoniano… insomma: lo stadio “San Pa­olo” di Napoli. Una dedica solenne, a quel San Paolo di Tarso che, secondo le Sacre Scritture, salpò a Pozzuoli per diffondere la parola di Dio nell’Impero Romano. Ri­masto vittima delle persecuzioni contro i cristiani messe in atto da Nerone, fu però condannato e decapitato. Sacro e profano che scendono in campo anche a Bari, una meraviglia architettonica che porta il nome di “San Nicola”, il Santo patrono della cit­tà.

Raccontava Angelo Domenghini, uno dei pro­tagonisti dello storico Scudetto vinto dal Cagliari nel 1970, che il principale moti­vo per cui i sardi non riuscirono a fare il bis nella stagione successiva fu il trasfe­rimento dal piccolo stadio dell’“Amsicora” al “Sant’Elia”: “Troppo grande, troppo dispersivo, non sentivamo il calore della gente come nei bei momenti vissuti all“Amsicora”. “Sant’Elia” che, ricor­diamo, prende il nome dal quartiere omo­nimo in cui sorge rimpianto.

Era invece un leggendario aviatore Pierluigi Penzo, colui al quale oggi è intitolato il suggestivo stadio del Venezia. Oltre ad aver parteci­pato alla Grande Guerra, Penzo si distinse anche per aver prestato i primi soccorsi all’equipaggio del dirigibile “Italia” in se­guito alla sciagura del 1928. E fu proprio al ritorno da questa missione che egli trovò la morte inabissandosi nel Rodano con il suo idrovolante.

Se tutti sanno che l’Olimpico di Roma si chiama così per­ché destinato ad ospitare le Olimpiadi del 1960, c’è da scommettere che invece pochi conoscono il significato dello stadio “Euganeo” di Padova. Atlante alla mano ed ecco risolto il mistero: rimpianto sorge ai piedi dei Monti Euganei, un grup­po collinare che ospita tra l’altro numerose sorgenti termali.

Il “Brianteo” di Monza è un omaggio alla terra di Brianza, l’“Adriatico” ricorda a tutti la profonda anima marittima di Pescara, mentre il “Via del Mare” di Lecce deve il suo nome al fa­moso viale che collega il centro della città al litorale salentino. Non occorrono molte spiegazioni per il “Friuli” di stadi, men­tre la splendida Pineta di Levante fa da cornice allo stadio “Dei Pini” di Viareg­gio, sì, proprio quello che ogni anno ospita la finale del prestigioso torneo giovanile. Ad Ancona, tutti ricordano ancora con particolare piacere il 6 dicembre 1992, il giorno in cui la compagine locale inaugu­rò ufficialmente lo stadio “Del Conero”. Sarà stato l’entusiasmo per l’impianto nuovo di zecca (chiamato così in omaggio al promontorio calcareo che si può am­mirare alle porte della città), sarà stato il blasone degli avversari (nientemeno che l’Inter), fatto sta che David-Ancona inflis­se al Golia nerazzurro un indimenticabile 3-0. Proprio un esordio coi fiocchi.

LO STADIO É POESIA

Quello che segue è un brano tratto da “Splendori e miserie del gioco del calcio“, capolavoro dello scrittore uruguayano Eduardo Galeano. Un invito a riscoprire la suggestione di uno stadio vuoto…

Siete mai entrati in uno stadio vuoto? Fate la prova. Fermatevi in mezzo al campo e ascoltate. Non c’è niente di meno vuoto di uno stadio vuoto. Non c’è niente di meno muto delle gra­dinate senza nessuno. A Wembley risuona ancora il grido del Mondiale del 1966 che l’Inghilterra vinse, ma aguzzando le orecchie potete ascoltare ancora i gemiti che provengono dal 1953, quando gli ungheresi travolsero la nazionale inglese. Lo stadio del Centenario di Montevideo sospira di nostalgia per le glorie del calcio uruguagio. Il Maracanà continua a piangere per la sconfitta brasiliana nel Mondiale del 1950. Nella Bombonera di Buenos Aires trepidano tamburi di mezzo secolo fa. Dalle profondità dello stadio Azteca risuonano gli echi dei cantici cerimoniali dell’antico gioco messicano del­la pelota. Parla in catalano il cemento del Camp Nou e in Euskera conversano le gradinate del San Mamés. A Milano, il fantasma di Giuseppe Meazza infila gol che fanno vibrare lo stadio che porta il suo nome. La finale mondiale del 1974, che la Germania vinse, si gioca giorno dopo giorno, notte dopo notte nello stadio Olimpico di Monaco. Lo stadio del re Fahd, in Arabia Saudita, ha palchi di marmo e oro e tribune ricoperte di tappeti, ma non possiede una memoria e non ha granché da dire.

I NOMI DELLA DISCORDIA

“Il Luigi Ferraris? È dedicato a un genoano: per me dovrebbe cambiare nome”. Crearono un vespaio tremendo, queste dichiarazioni di Roberto Mancini all’epoca della sua militanza nella Sampdoria. Toccò all’alloro presidente blucerchiato Paolo Mantovani dissociarsi dalle parole del Mancio: “La figura di Luigi Ferraris, sebbene legata al Genoa, rappresenta un vanto per tutta la città“.

E la polemica finì lì. Anche a Milano, la sponda rossonera del Naviglio non vede di buon occhio lo stadio di “San Siro” dedicato a Giuseppe Meazza, un simbolo del nostro calcio, d’accordo, ma troppo identificato con l’Inter. Alle dichiarazioni di Silvio Berlusconi, che lo vorrebbe intitolato a… se stesso, hanno fatto seguito quelle del nipote di Meazza: “Un’uscita che si poteva tranquillamente risparmiare“.

E c’è da scommettere che ne sentiremo ancora delle belle… A Napoli, invece, c’è chi, ciclicamente, propone di cambiare nome al “San Paolo”. Antonio De Curtis (alias Totò), Eduardo De Filippo, Massimo Troisi: queste le personalità più gettonate per una nuova dedica. In pole position, però, c’è sempre lui: Diego Armando Maradona. Chi vivrà vedrà.