Le perle di Aldo Maldera in un’annata di passione

Il racconto di due prodezze firmate dal terzino del Milan nel campionato 1981/82. Capolavori che non evitarono tuttavia la retrocessione in B del Diavolo.

Trovare perle nella stagione 1981/82 del Milan è impresa ardua e alla portata di pochi. Si trattò di un’annata contrassegnata da una devastante mediocrità. Un campionato tribolatissimo, vera e propria via crucis calcistica del diavolo, conclusasi senza la resurrezione della salvezza. In quella stagione spiccano due giocate confluite nell’antologia del calcio. In entrambi i casi la firma fu di Aldo Maldera, classe ‘53, prodotto del munifico vivaio rossonero, con undici anni di militanza in prima squadra e protagonista dello scudetto della Stella nel 1979, soffrì quell’annus horribilis che gli riservò anche la perdita della fascia di capitano per decisione dell’allenatore Gigi Radice che l’assegnò a Fulvio Collovati. In campionato il rendimento del Milan fu sconcertante. Dopo una discreta partenza, con una vittoria ottenuta in trasferta a Napoli, il Diavolo imboccò una inarrestabile marcia del gambero che il 22 novembre ’81, in seguito alla sconfitta di Ascoli, portò i rossoneri all’ultimo posto in classifica. A gennaio, dopo il ko interno contro l’Udinese, il neo presidente Giuseppe Farina decise di esonerare Radice, sostituito da Italo Galbiati.

Le prestazioni contro le prime della classe (Fiorentina e Juventus) portarono complimenti ma nessun punto in classifica. L’unica vittoria, ottenuta a spese del Bologna, s’inserì in una sequela di occasioni mancate, rigori sbagliati e reti incassate in zona Cesarini. Il flop dello straniero, l’attaccantre scozzese Joe Jordan, scaturì in larga parte da un gioco totalmente inadatto alle sue caratteristiche. Arrivato al Milan con credenziali molto positive, l’ex giocatore di Leeds e Manchester United si smarrì nella selva oscura che avvolse il campionato della squadra rossonera che a Como registrò il punto più mortificante, in un pomeriggio caratterizzato da una durissima contestazione. Un cubetto di porfido, lanciato dal settore milanista, colpì in testa Collovati, suturato con quattro punti. San Siro venne squalificato per due giornate. Dopo l’anno di lavacro purificatore in B post calcioscommesse, con una promozione ottenuta nettamente ma senza fare sfracelli, il Milan si ritrovò a respirare i miasmi della zona retrocessione. A cinque giornate dalla fine, nella trasferta campale di Marassi contro il Genoa di Gigi Simoni, rivale nella lotta salvezza, i rossoneri si presentarono senza alternative: vincere per non affondare definitivamente.

Il 18 aprile 1982 sancì l’inizio della riscossa. Dopo il gol alla mezz’ora del genoano Briaschi, che sembrò la pietra tombale sull’annata milanista, al 74’ arrivò la svolta della partita: fuori il giovane Evani per far posto a Maldera che trenta secondi dopo, scattando sulla fascia sinistra su preciso lancio di Incocciati, superava il portiere Martina con un pallonetto millimetrico. Con il difensore genoano Onofri pronto ad intervenire, Maldera non ebbe altra soluzione che tentare il tocco di prima intenzione. Parabola breve e perfetta. Il pareggio ebbe l’effetto di una crema rinfrescante dopo una forte scottatura. Un fallo in area di Briaschi, tanto netto quanto puerile, determinò il rigore, trasformato da Franco Baresi, che valse la vittoria. Riaffiorò la speranza, salvarsi non era più un miraggio lontano anche se il percorso verso la permanenza in A restava oltremodo ripido e accidentato, come un sopralluogo in un campo minato ad occhi bendati. “Milan, rinasce la speranza”, titolò la Gazzetta dello Sport. Maldera, che nel ’74 Ugo Tramballi aveva definito “il ciclone timido”, dichiarò: “i miei gol sono sempre importanti”. Euforico per i due punti conquistati, il presidente Farina aggiunse: “Possiamo ancora sperare”.

La rete segnata al Genoa

Sette giorni dopo la musica non cambiò. Contro l’Avellino, già al riparo dalla bagarre salvezza, i rossoneri andarono sotto dopo due minuti. Fuga solitaria di Juary, tocco in anticipo su Piotti in uscita e poi di corsa ad esultare attorno alla bandierina del calcio d’angolo. Danza macabra per i tifosi milanisti nella domenica in cui Farina prese posto tra i tifosi assiepati in Curva Sud, accompagnato da Gianfranco Taccone, presidente dell’Associazione italiana dei Milan Club e consigliere rossonero. A riportare tutto in parità ci pensò Walter Novellino, detto Monzon, irpino di origini. Un giocatore che nei momenti delicati riusciva a dare un contributo significativo e che quel pomeriggio fu il migliore in campo. Tre minuti dopo un boato avvolse lo stadio: cross in area irpina, rovesciata di Maldera e palla nuovamente nella rete difesa da Stefano Tacconi. Un gesto di qualità tecnica eccelsa, una giocata voluta che lasciò esterrefatti i giocatori avversari. “Trattasi di opera sopraffina”, commentò Beppe Viola dai microfoni Rai. Una prodezza che per bellezza superò quella messa a segno a Genova una settimana prima. Maldera corse ad esultare aggrappandosi alla recinzione di San Siro. Un’immagine tra le più iconiche della storia rossonera. La gioia del difensore fu irrefrenabile. Maldera sfuggì ai compagni di squadra che volevano abbracciarlo trattenendolo per la maglia. Aldo, detto Cavallo, dotato di una progressione inarrestabile, capace di sgroppate irresistibili sulla fascia sinistra, lucido e determinato come un leone quando si avventa su una preda, la gioia di quel gol volle regalarla ai tifosi che poche settimane prima avevano distribuito un volantino in cui si intimava alla società di non cedere Maldera, considerato uno dei pochi giocatori affidabili rimasti.

La splendida rovesciata contro l’Avellino

Quell’attimo fuggente dopo la rovesciata contro l’Avellino rappresenta un inno a quel milanismo che è sublime mistura di gioie e dolori, diamanti e cenere, tribolazione ed esaltazione, discese ardite e risalite. Per la seconda domenica consecutiva, i milanisti ebbero motivi per gioire guardando la classifica: la salvezza era nuovamente a portata di mano. Sarebbe bastato vincere una delle due partite contro Cagliari e Torino. Così non andò. Contro sardi e granata il Milan raggranellò due pareggi. Nella sfida contro il Toro, in un pomeriggio sconsigliato ai deboli di coronarie, Maldera provò a mettere in rete il terzo sigillo durante il rush finale per la salvezza. Dove non arrivò il portiere Copparoni, quel giorno in versione saracinesca, provvide la traversa che accarezzò la palla indirizzata di testa dal terzino rossonero nei minuti finali. L’epilogo fu ancora più triste e beffardo, marchiato in modo indelebile da una “brutta faccenda” che cancellò allo scadere quel sogno salvezza afferrato soltanto per pochi minuti il 16 maggio ’82, un pomeriggio di un giorno da cani per i tifosi milanisti.

Aldo Maldera lasciò il Milan a fine stagione, rispondendo alla chiamata di Nils Liedholm che lo volle alla Roma per potenziare la squadra, intenzionata a puntare allo scudetto. Regina Cremonesi, moglie dell’indimenticato giocatore rossonero, scomparso nell’agosto 2012, ha ricordato che:

Al termine del campionato ‘81/82, Aldo aveva dato la sua disponibilità a rimanere in rossonero. La società gli rispose che in caso di eventuale trattativa di cessione, avrebbe prima parlato con lui. Invece sentimmo in televisione di un suo imminente passaggio al Napoli. Poi arrivò la telefonata di Liedholm che lo stimava tantissimo e che convinse il Milan a cederlo alla Roma.

TESTO DI SERGIO TACCONE, curatore del libro “Milan, le stagioni del piccolo diavolo”, prefazione di Filippo Galli, Storie Rossonere Edizioni.