E Berlusconi cambiò anche la Juve

Quando il famoso “Stile Juventus” venne sacrificato sull’altare del berlusconismo

Detto anche dai non-juventini: la Juventus aveva uno stile, e non era frutto del suo dominio economico o tecnico. Altrimenti, agli inizi si sarebbe parlato di stile Genoa o stile Bologna, nel dopoguerra di stile Torino o, infine, negli anni del boom di stile Inter. Invece i due club rossoblù si “limitarono” a collezionare scudetti, il mondo ha conosciuto solo il Grande Torino (come squadra) e l’Inter di Moratti ha vinto tutto senza creare un vero e proprio stile (anzi: i meno giovani ricorderanno cosa si diceva dei metodi di quel club guidato da Italo Allodi).

Lo stile Juventus, invece, traspariva da quelle maglie bianconere, dallo sguardo severo dei suoi dirigenti, dalle linee guida su cui si basava il club. Merito della famiglia Agnelli, che non aveva risparmiato investimenti, ma merito soprattutto di quegli uomini che seppero creare un’identità e la difesero senza esitazioni.

La Juventus, per esempio, non abbandonava i suoi “ex”: o restavano nella società con ruoli dirigenziali o rimanevano comunque coinvolti nella vita quotidiana della stessa. E poi, altro esempio, il rinnovo dei contratti: mentre i dirigenti delle altre squadre faticavano a convincere i loro campioni più restii, Giampiero Boniperti – l’emblema dello stile Juventus, addirittura il suo ideatore – in una mattinata chiudeva tutte le pratiche.

Fece scalpore, in questo senso, la resistenza dei Campioni del Mondo al rientro da Spagna ’82. Non volevano guadagnare meno di Boniek e Platini, Boniperti li calmò in breve e tutti vinsero (e vissero, ovviamente) felici e contenti, senza “sparare” sui giornali o arrabbiarsi in diretta tv. Poi, nei mesi successivi, la Juve si privò di qualche suo gioiello, ma senza scatenare polemiche: un piccolo prezzo da pagare per mantenere intatto lo stile.

La Juve poteva vincere o perdere, ma la Vecchia Signora restava comunque un modello per tutti. Poi, a metà degli anni Ottanta, arrivò un uomo, Silvio Berlusconi, e da quel giorno il mondo del calcio – in bene e in male – non sarebbe più stato lo stesso. Boniperti osservò il nuovo fenomeno rimanendo ben saldo al timone della nave bianconera, ma la juventinità mostrò qualche primo, piccolo segno di cedimento.

Gianni Agnelli aveva puntato tutto su Montezemolo per rifondare la Juventus

Stefano Tacconi, che per carattere doveva aver sofferto non poco i rigidi principi bonipertiani, intervistato a proposito del nuovo presidente del Milan non si trattenne: «Gli elicotteri che ha usato per la presentazione all’Arena gli serviranno per scappare a fine campionato». La stagione si concluse con il Milan che si qualificò a fatica per la Coppa Uefa, ma quella frase fece capire che la Juve temeva di perdere il suo primato.

Trapattoni era passato all’Inter e la Juve aveva perso il suo punto di forza: come reagire? Inoltre, proprio in quegli anni – mentre il berlusconismo impazzava – la Juve smise di vincere. La famiglia Agnelli, allora, decise di intervenire. Per ironia della sorte, chiese a Boniperti di lasciare il posto quando i bianconeri avevano appena vinto l’ottava Coppa Italia e la seconda Coppa Uefa della loro storia.

E dopo Italia ’90, arrivò sulla scena juventina la risposta degli Agnelli a Silvio Berlusconi: Luca Cordero di Montezemolo. Era un manager molto apprezzato dall’Avvocato, che gli diede pieni poteri e il ruolo di vicepresidente esecutivo. Montezemolo mise a segno due grandi colpi: uno sul mercato, portando Roberto Baggio; l’altro in panchina, scegliendo come allenatore Gigi Maifredi, tecnico che aveva ottenuto sì buoni risultati, ma con Ospitaletto e Bologna

La Juventus di Maifredi

A prescindere da come andarono le cose sul campo (la Juve, per la prima volta nella sua storia, non partecipò alle coppe europee), gli appassionati di calcio italiani dovettero accettare un fenomeno inaspettato: la Juve, dopo aver dominato per decenni in fatto di Stile, si era ispirata al Milan.

Strano ma vero: la società che si era imposta al mondo con regole d’oro e rigide allo stesso tempo, aveva perso il primato e da modello si era trasformata in emulatrice. Il vicepresidente e i suoi Montezemolati (un gruppo di fedelissimi che da Italia 90 lo avevano seguito a Torino) non erano all’altezza di chi li aveva preceduti né del Nuovo Avversario, Berlusconi.

Risultato finale: un fallimento. Boniperti fu richiamato in tutta fretta – insieme al Trap – per rimediare al possibile, ma ormai il Diavolo aveva fatto bingo e tolto alla Juve il primato sull’immagine. Ma lo Stile Juventus è esistito. Se esiste ancora, ditecelo voi.

Juventus vuol dire cultura e stile che distinguono i dirigenti, gli allenatori ed i giocatori Juventini. Vuol dire passione e amore: la passione che unisce i milioni di tifosi in tutta Italia, in tutto il mondo; l’amore per la maglia bianconera che esplode nei momenti di trionfo e non diminuisce in periodi meno felici.
Michel Platini