Le bizze rossonere di Altafini

Stagione 1964/65: il bomber Altafini sperimenta sulla sua pelle il significato del proverbio “Chi troppo vuole nulla stringe”: se si pretende troppo si finisce per restare a mani vuote…

Siamo alla metà degli anni sessanta. In quel periodo il calcio italiano sta facendo ponti d’oro agli attaccanti e infatti la Juventus, alla ricerca disperata di un centravanti da quando si è chiusa l’era-Charles, nell’estate del 1963 ha invano offerto al Milan lo sproposito di 700 milioni di lire di allora a José Altafini, uno che da quando è in Italia segna tantissimo, una media di quasi 20 gol a campionato, anche se negli ultimi anni il rendimento sotto rete si e ridotto sensibilmente.

Così il ventiseienne asso brasiliano a giugno 1964, prima di partire per le ferie in Brasile, passa nella sede del club rossonero per firmare il nuovo contratto e, consapevole del proprio valore, pone condizioni-capestro: vuole un impegno per tre anni, per complessivi 100 milioni. Il Milan è però dilaniato dalle guerre intestine nella sala dei bottoni e in più il suo bilancio piange lacrime amare, sicché la risposta è laconica: o la conferma dell’ultimo ingaggio annuale (25 milioni di lire) o niente. Il campione sbatte la porta e se ne va oltreoceano.
Ecco cosa dichiarava alla Gazzetta dello Sport poco prima di imbarcarsi per Rio:

«So che potrebbero vendermi, visto che sono in crisi, che non hanno soldi. Altafini non chiede la luna. Lo sa lei che ci sono altri giocatori al Milan che guadagnano quanto me? Ora io non posso affermare di essere il più bravo e di aver diritto a percepire più degli altri. Dico solo che i dirigenti del Milan dovrebbero ricordare che sono straniero, che sono un brasiliano venuto in Italia per guadagnare qualche milione giocando al calcio. Ora io so che lo scorso anno un giocatore italiano del Milan chiese “un milione in più di quanto percepisce Altafini”. Il sottoscritto diventava, cioè, un’unità di misura. Non sono invidioso, per me il Milan può dare agli altri il doppio di quel che dà a me. Che c’entra? Ognuno deve fare i propri interessi. Anch’io voglio fare però i miei…».

Quando torna in Italia, in vista del ritiro fissato per il 6 agosto a Lugano, si presenta assieme allo zio-manager e rettifica solo in parte il tiro: vuole 30 milioni l’anno per due anni e poi la lista gratuita. Gipo Viani ha già dichiarato pubblicamente che la conferma dei 25 milioni è già tanto, visto il rendimento nell’ultimo torneo del giocatore, che da leone delle prime stagioni si è trasformato in area in un giocatore che cerca soprattutto di schivare le botte. Se poi qualcuno lo vuole, aggiunge il direttore tecnico milanista, si può pure accomodare, a patto che abbia in tasca non meno di 475 milioni sull’unghia. Così ecco l’ultima proposta al giocatore: contratto da 25 milioni condizionati al numero dei gol e promessa dello svincolo dopo tre anni, prendere o lasciare.

Altafini la considera una dichiarazione di guerra e sbatte di nuovo la porta. Viani sbotta: «Ormai José in campo è diventato un coniglio», Altafini risponde: «Viani è la rovina del Milan». L’attaccante rifiuta di scendere in campo alla prima di campionato e il 16 settembre annuncia in lacrime alla stampa:

«Mi offrono venticinque milioni a rate e per di più vincolati al rendimento. Ma chi ci crede al rendimento, quando i dirigenti attuali mi trattano come un bambino scemo, di cui non hanno fiducia, che gioca come un coniglio? No, non accetto il “rendimento” dopo sei anni di Milan. Non mi vendono, perché sparano 400 milioni, e chi mi compra con la congiuntura che c’è ora in Italia? Così ho deciso: torno a casa, vado a giocare per divertimento e faccio l’industriale».

Dopodiché si imbarca sulla nave “Federico C.” per il Brasile, convinto che ben presto il Milan avrà bisogno di lui. Invece gli “orfani” rossoneri innestano il turbo e lui si rende subito conto di essersi cacciato in un vicolo cieco. In Patria va ad allenarsi col Palmeiras e intanto i mesi passano. Mentre la squadra in Italia veleggia in testa alla classifica, lui prova a rilanciare spiegando che in realtà il contenzioso riguarda 7 milioni di lire di tasse arretrate che il Milan non vuole pagare. Nessuna risposta dall’Italia.

Finalmente, dopo un paio di annunci a vuoto, a fine gennaio Altafini decide di fare marcia indietro. Sbarca a Linate nel pomeriggio del 31 gennaio 1965 e il giorno dopo va a pranzo con Viani. La sua è una resa senza condizioni; il Milan, forte della posizione in classifica lanciata verso lo scudetto, ha abbassato le proprie proposte: 7 milioni per la stagione in corso più 7 del debito fiscale che la società si accolla, 15 per quella successiva e trasferimento nel 1966.

Altafini non può che accettare e il 2 febbraio firma il nuovo accordo con Felice Riva. Cinque giorni dopo è pronto al debutto stagionale con la maglia del Milan: partita facile, in casa col Vicenza, San Siro pieno come un uovo, tutti convinti che il superDiavolo ora diventerà ancora più irresistibile. Invece proprio quel giorno la capolista perde la propria verginità.

È l’inizio della crisi. Il Milan lascia uno scudetto che sembrava già vinto ed è inevitabile collegare il crollo al ritorno di José, che metterà insieme appena 3 reti in 12 partite. E a fine stagione verrà ceduto al Napoli.