MONTELLA Vincenzo: l’Aeroplanino

Aveva un fiuto da cacciatore per il gol, una passione travolgente per il pallone e un sinistro di velluto. E’ stato un idolo per i tifosi di ogni squadra in cui ha giocato e con la sua classe e il suo sorriso ha fatto sognare anche i tifosi della Nazionale.

Castello di Cisterna, quattromila anime che vivono una quindicina di chilometri a Nord Est di Napoli. Vicino alla città quanto basta, ma non tanto da fare di un paese una periferia. Papà Nicola fa il falegname, nè lui nè mamma Giuseppina sono particolarmente appassionati di calcio. Nicola Montella, per la verità, non frequenta neppure il San Paolo. «Si sentono troppe parolacce» spiega. Genitori che vivono lontani anni-luce dal pallone, ma hanno pur sempre messo al mondo una famiglia numerosa: cinque figli, tre maschi e due femmine, ed è normale che qualcuno cresca con la passione addosso.

Tocca a Emanuele, che ha quattro anni più di Vincenzo, aprire la strada. È lui che tira i primi calci con convinzione, anche se poi si fermerà alla squadra di paese e abbandonerà l’idea molto presto. È sempre lui che si innamora delle imprese di Van Basten, che diventa presto anche l’idolo di Vincenzino. Anomalia, certo: il Napoli cresce lì a due passi nel mito di Maradona, e in casa Montella si tifa rossonero.

Intanto, il ragazzino inizia a fare sul serio. Viene tesserato dall’Unione Sportiva San Nicola, la società di Castello di Cisterna. È nato un minibomber? Al tempo: Vincenzino si mette addosso la maglia numero uno, si sistema tra i pali e sembra proprio tagliato per il ruolo. «Avrei voluto fare il portiere per tutta la vita», spiegherà qualche anno più tardi. Ma c’è un problema: il ragazzo, a dieci anni, non è esattamente un gigante. In più, c’è il fatto che quando la squadra ha bisogno di qualcuno che la butti dentro, tocca a lui. Insomma, Vincenzo esce sempre più spesso dalla porta e alla fine si rende conto che è il caso di cambiare ruolo definitivamente.

Papà e mamma, intanto, gli consigliano di pensare allo studio. Ma stravedono per quel loro ultimogenito, così come il resto della famiglia. E quando il ragazzo è diventato così bravo da meritare attenzioni maggiori, lasciano che sia lui a decidere. Succede quando Vincenzo ha compiuto tredici anni, quando ormai da tempo, a suon di reti, il ragazzo ha conquistato l’intero paese. «Tiene ‘nu tesoro dint’ai piedi», dicono i compaesani a Nicola.

E Lorenzo D’Amato, il tecnico della San Nicola, primo maestro del campioncino, fa di più. Ha contatti con l’Empoli e li fa valere: dalla Toscana arriva Ettore Donati, osservatore della società, che lo chiama per un provino. Non sarebbe l’unica possibilità, a dirla tutta, perché nel frattempo si sono fatti sotto anche Napoli e Avellino. Significherebbe iniziare l’avventura nel calcio molto più vicino a casa, ma la società toscana offre garanzie migliori. E poi, a Empoli c’è già, da un anno, Nicola Caccia, stessi natali di Vincenzino anche se ha quattro anni in più. I genitori di Nick sono vecchi amici della famiglia Montella. Se c’è bisogno di una mano, di un po’ di protezione soprattutto nei primi tempi, ci penserà il loro ragazzo.

Così, a tredici anni, Vincenzo affronta il primo grande viaggio della vita. Cinquecento chilometri a Nord di Castello di Cisterna c’è, probabilmente, il futuro. Papà e mamma lo capiscono, soffrono per quel loro marmocchio costretto a diventare di colpo più grande della sua età, a lasciarsi alle spalle gli amici e le passeggiate lungo il corso del paese. Ma soffrono in silenzio, e gli danno via libera. «Ai miei genitori devo tanto. Mi hanno indicato la strada, il significato del lavoro e il concetto di sacrificio. Eravamo una famiglia numerosa, solo mio padre lavorava. Ma a me e ai miei fratelli non è mai mancato nulla. E nessuno ha mai fatto pressione sulle mie scelte».

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1994: Vincenzo Montella e Luciano Spalletti con la maglia dell’Empoli

Il ragazzo con la valigia

Un posto così lontano da casa, un bambino diventato ragazzo da poco. Un problema, se il posto non si chiamasse Empoli e il ragazzo Vincenzo Montella. Certo, all’inizio è dura e la nostalgia si fa sentire. Ma Nicola e Giuseppina, anche da laggiù, restano vigili, e Lorenzo D’Amato non è da meno. Quasi tutte le sere telefona, dà consigli di vita. Vai a letto presto, frequenta le compagnie giuste, non “pazziare”. Vincenzo memorizza e fa le cose per bene.

Intorno ha gli amici giusti. Nicola Caccia, appunto, che gli fa da fratello maggiore. «Sono sempre stato molto equilibrato. Difficilmente mi esalto o mi deprimo, è così oggi ed era così agli inizi della carriera. Ma Nicola è stato indubbiamente un punto di riferimento, un esempio da seguire. Ci frequentavamo da bambini e ci ritrovammo a Empoli. Un’amicizia solida, che durerà in eterno».

E poi c’è Antonio Tegolo, compagno di stanza nella casa della signora Rosetta, una specie di seconda mamma che tiene a pensione alcuni ragazzi della società toscana. Antonio avrà meno fortuna, nel calcio. Dagli amici ai maestri. Dopo D’Amato, il primo in terra toscana è Rabatti, tecnico della squadra Giovanissimi, quella da cui Vincenzino fa partire la sua scalata ai sogni. Un allenatore vecchio stile, di quelli che curano con attenzione maniacale la tecnica individuale. E un secondo padre per i suoi ragazzi. Niente da dire, la fortuna è spesso legata agli incontri che il destino ti riserva, e Vincenzo Montella ha sempre trovato sulla sua strada persone giuste.

Nel gruppo di Rabatti le sue doti iniziano a venire a galla, ma è nella Primavera di Ettore Donati che il fiore sboccia. Vincenzo si è fatto grande (anche se in altezza si ferma a centosettantadue centimetri), si è irrobustito nel fisico. Intorno ha un gruppo da corsa. Con lui in squadra ci sono Ficini, Galante, Birindelli, Guarino, Melis. La Primavera dell’Empoli vince la Coppa Italia, Montella spedisce valanghe di gol nelle reti avversarie, roba da perderci il conto. Forse è nata una stella, dicono non troppo sottovoce gli osservatori.

Gli anni toscani

Come puoi definirla, una città in cui arrivi ragazzino, a tredici anni, e te ne vai uomo fatto, a ventuno? Seconda patria, come minimo. Un posto del cuore in cui Vincenzo Montella incanala il futuro: le prime partite da professionista del calcio, il primo grande amore, che diventerà la storia della vita. Nella piccola città il ragazzo incontra Rita, origini sarde trapiantate in Toscana. Hanno quindici anni, quando si conoscono nell’89. Si innamorano, si sposeranno nel giugno del ‘98.

Empoli significa tutto: grandi gioie e primi dolori, autostrade verso la gloria e muri altissimi da superare. Le gioie: stagione ‘90-91, Vincenzo non ha ancora compiuto diciassette anni e già gravita nell’orbita della prima squadra. All’ultima giornata, in una partita delicatissima per l’avversario, il Varese che rischia la retrocessione in C2, il tecnico Vitali butta il ragazzo nella mischia. «Finì 2-1 per noi, segnammo al novantesimo e deridemmo la caduta del Varese». Il calcio è questo, meglio memorizzare subito.

L’anno dopo, al timone dell’Empoli arriva Francesco Guidolin, altra figura fondamentale nella crescita del ragazzo di Campania. «Mi mise in campo nelle ultime sette partite della stagione, e per cinque volte mi schierò da titolare. Ripagai segnando quattro reti. Gli devo molto: io venivo dalla Primavera, lui mi fece capire quanto sia importante soffrire e concentrarsi sempre, anche in allenamento». Lezione importante, per un ragazzo che vuole arrivare lontano. E che per questo non si ferma neppure davanti agli ostacoli che la vita gli mette di traverso.

Arrivano, le sberle, e lasciano il segno. Stagione ‘92-93, Montella è nella rosa della prima squadra e gioca tredici partite, segnando cinque gol. È sulla strada giusta, insomma. Ad Alessandria, il 18 ottobre del ‘92, si frattura un perone al primo minuto di gioco e chiude in anticipo la sua prima stagione vera nel calcio che conta. Arriva l’estate del ‘93, il ragazzo è pronto per rientrare nella mischia. Ma la sorte si accanisce contro di lui: un’infezione virale gli procura addirittura uno scompenso cardiaco, i battiti viaggiano a ritmi altissimi e la stagione si consuma tra cliniche e visite specialistiche.

È un anno di paura. «Quella di non poter più giocare a calcio, di non poter vivere intensamente il mio sogno. Impossibile spiegarla, quella sofferenza». Facile intuirla, e apprezzare maggiormente la forza con cui il giovane talento pianifica il ritorno. È rimasto fuori dai campi per quasi due anni, una vita per chi fa il mestiere di calciatore. Quando rientra, la sofferenza lo ha reso ancora più forte. E il fenomeno-Montella esplode.

Nascita di un bomber

Non è una stagione travolgente, il ‘94-95, per l’Empoli. La squadra parte in salita con Francesco D’Arrigo in panchina, e cambia timoniere in corsa affidandosi a Walter Nicoletti. Sarà una stagione apparentemente anonima, conclusa all’undicesimo posto, nonostante in campo ci siano giocatori come Montella, Birindelli, Ficini, e nonostante le prime avvisaglie di quel ciclo che poco dopo, sotto la guida di Luciano Spalletti, porterà la squadra dalla C1 alla A con una corsa travolgente. Un anno di transizione, per capirci.

Non per Vincenzino, che finalmente, dopo mille traversie, va in campo da titolare e inizia a praticare il mestiere di sfondatore di reti. Trenta presenze, diciassette gol con qualche perla degna di essere ricordata. «In particolare, non dimentico un gol in rovesciata a Castellamare di Stabia, contro la Juve Stabia. Finì 1-1, e quella forse fu la mia prima grande rete, a livelli importanti». Vincenzino è uscito definitivamente dal tunnel. Quelli che si erano messi alla finestra, consci delle sue doti ma dubbiosi sul possibile recupero, tornano a bussare alle porte della società. Il Cagliari, la Cremonese si mettono in fila. Qualcuno dice ci sia addirittura la Juve.

Questa volta non è più il caso di aspettare, non conviene a nessuno. Neppure al giocatore, che a ventun’anni è pronto per ribalte più importanti. Ma vuol fare le cose per gradi, Vincenzo. Non si sente ancora maturo per il salto dalla C1 alla A, le traversie hanno affinato la virtù della pazienza. Sale un solo gradino della scala del pallone, e sceglie il Genoa per continuare l’avventura.

Genova per lui

Di questi posti davanti al mare puoi solo innamorarti. L’aria soffrigge leggera i suoi aromi salmastri, ti va al cuore e alla testa. Vincenzo e Rita si innamorano di Genova al primo incontro, decidono che quello è il posto giusto per iniziare una vita insieme, per gettare le radici della famiglia. Si trasferiscono a Pegli. È sereno, Vincenzo, in pace con sè stesso. E in campo dà il massimo. Non sente il salto di categoria, continua a segnare gol a grappoli. Preferibilmente di sinistro, il suo piede magico. Non che il destro gli serva solo per spostarsi e correre, ma il divario è evidente.

Altre doti? La leggerezza gli consente un continuo movimento, che favorisce l’intesa con Nappi, altro peso leggero dell’attacco rossoblù, e l’inserimento dei compagni del centrocampo. E poi c’è l’istinto: Vincenzo è furbo, sa rubare il tempo, va a prendersi attimi di gloria con la classe ma anche di rapina. Insomma, alla fine saranno 21 reti in 34 partite. Compresa quella del 15 ottobre ‘95, a Marassi contro il Cesena. Importante? Fondamentale, perché è lì che nasce il mito del bomber che vola. Voce al diretto interessato: «Fu un bel gol, questo sì. Segnato in rovesciata. In più, aveva un significato particolare, per me. Una specie di liberazione. Avevo segnato quattro gol in cinque partite, ero felice ma per due domeniche finii comunque in panchina».

Scelta tecnica firmata da Gigi Radice, che pure di giovani ne ha lanciati parecchi, e che non sottovaluta il valore del ragazzo di Campania. «Senza polemica, per carità, ma è chiaro che a nessuno piace stare fuori. Ero avvilito. Tornai in campo col Cesena, feci quel gol e partì spontaneo quel gesto». L’aeroplano che decolla, che si libra e libera la sua adrenalina nell’aria. «Da allora, è diventato una via di mezzo tra un portafortuna e una forma di ringraziamento». Da allora, soprattutto, è diventato un marchio di fabbrica. Aeroplano Montella, premiata ditta specializzata in gol.

Aeroplano italiano

È una stagione di rinascita per molte grandi decadute, il ‘95-96. Tornano in Serie A il Bologna, il Verona, il Perugia. Il Genoa non ce la fa, ma i 21 gol di Montella lo trascinano all’ottavo posto. Per una squadra appena retrocessa che aveva come obiettivo quello di risalire al volo nel paradiso del pallone, e che per questo si era tenuta stretta uomini di categoria superiore come Skuhravy e Van’t Schip, è un mezzo fallimento, confermato dall’avvicendamento in panchina (Salvemini per Radice alla ventiquattresima).

Insomma, società e squadra sono sull’orlo di una crisi di nervi. I tifosi ci arrivano dritti a fine stagione, quando imparano che il loro aeroplanino se ne andrà, senza nemmeno dover fare le valigie. Perché la nuova destinazione di Montella Vincenzo da Castello di Cisterna, secondo nella classifica cannonieri della cadetteria alle spalle di Bisonte Hubner, è sull’altra sponda della città della Lanterna: indosserà la maglia blucerchiata della Sampdoria.

Il trasferimento rischia di scatenare una guerra assurda tra le tifoserie del calcio genovese. Di sicuro, segna la fine di un’amicizia tra due società che pur nella rivalità sportiva avevano dimostrato una compattezza unica nei confronti del mondo intorno. Merito del sincero rispetto che fino allora aveva ispirato i rapporti tra Paolo Mantovani e Aldo Spinelli, che insieme avevano educato le tifoserie al buon senso, oltre che combattuto sul fronte del cambiamento, per far sì che i club del calcio diventassero a tutti gli effetti società per azioni, in grado di produrre profitti, oltre che perdite.

Non c’è più Mantovani, quando Montella approda alla Sampdoria. E il suo trasferimento, via Empoli, dà il via a una guerra di carte bollate, fatta di denunce sportive e civili, di strascichi penali. Lui continua a guardare il suo mare davanti a Pegli, e cerca di non sentire le voci intorno: «I problemi del Genoa mi hanno amareggiato, soprattutto per quello che hanno dovuto passare i miei ex compagni. Per il resto, che devo dire? I motivi del mio trasferimento sono chiari, e le persone intelligenti li hanno capiti. Certo, non tutti si sono dimostrati intelligenti, ma la mia vita in città è proseguita con serenità, e del resto non c’erano ragioni perché accadesse il contrario».

Prosegue anche la missione del bomber. Altro salto di categoria, zero problemi di adattamento. Una sponda vale l’altra, per chi sa farsi trovare pronto all’appuntamento col gol. Vincenzo parte in leggera salita, infastidito da una dolorosa pubalgia. Fatica al debutto di Perugia, scalda la panchina contro il Milan. A Roma, terza di campionato, fa tutto in poco più di mezz’ora: entra al 54’ per Veron, sull’1-1, segna una doppietta e trascina la Samp al successo: 4-1 all’Olimpico. Da quel punto il popolo sampdoriano è conquistato.

Così come l’amicizia, sincera e importante, di Roberto Mancini. «Una delle fortune che ho avuto andando a giocare nella Sampdoria. Trovarmelo vicino, imparare da lui. Quando lo guardo con attenzione in allenamento, mi sento piccolo. Roberto è un campione così fantastico da farmi capire quanta strada mi aspetta ancora per diventare bravo come lui». Frasi pronunciate pochi mesi dopo l’approdo blucerchiato. Avrà anche tanto da imparare, il ragazzo, ma non lo dà a vedere.

Superato il problema della pubalgia («Dite che Eriksson mi ha tenuto a lungo in panchina? Devo solo ringraziarlo per avermi dato tutto il tempo necessario a risolvere il mio malanno»), parte in quarta e infila un’altra stagione da record. Ancora una volta è il numero due della classifica marcatori: Vincenzo si ferma a quota 22 (in 28 partite), due lunghezze più su c’è soltanto Inzaghi. Sono passati appena dieci anni da quando quel ragazzino di Castello di Cisterna prese la strada del Nord per cercare spazio nel mondo dorato del Dio pallone. Quel mondo, adesso, ha imparato il suo nome.

Delusione mondiale

Stagione ‘97-98, la favola della Samp dei miracoli ha fatto il suo tempo, il gruppo comincia a sgretolarsi. Se na va il timoniere Eriksson, alla Lazio. Lo segue Roberto Mancini, l’ultima bandiera. In panchina arriva Luis Cesar Menotti, ma non durerà. Alla nona giornata, la società si affiderà al vecchio Zio Vuja Boskov, dopo aver sofferto anche l’eliminazione dalla Uefa ai trentaduesimi. Toccata e fuga europea, basta l’Athletic Bilbao a cancellare certi sogni impossibili.

Montella, comunque, mette in archivio un’altra stagione d’oro. Titolare fisso, va in campo trentatrè volte e segna venti gol. Non gli bastano per coronare il grande sogno. In due stagioni di Serie A, l’aeroplanino Vincenzo è già decollato quarantadue volte. Normale che sogni una maglia azzurra, col Mondiale di Francia alle porte. Lo dice chiaro e tondo: «Lavoro per il bene della Sampdoria, ma anche per convincere Maldini».

Cesarone, che ai tempi dell’Under 21 lo ha convocato soltanto un paio di volte, spedendolo in tribuna, gira altrove il suo sguardo e fa scelte diverse. Ci resta male, il bomber, ma accetta il verdetto. «Del resto, il compito del Ct non è facile. L’Italia abbonda di attaccanti bravissimi». A chiudere il discorso arriva un intervento di pulizia al menisco mediale del ginocchio sinistro, il 22 maggio del ‘98.

Se non si sensibilizza il Ct, comunque, ci pensano gli operatori di mercato. Montella è l’oggetto del desiderio, già nell’aprile del ‘98 si era parlato di un suo probabile passaggio alla Juventus, e qualcuno aveva già individuato l’attico di corso Racconigi dove il campione si sarebbe dovuto sistemare. A far parlare i media arriva anche l’incontro con l’avvocato Agnelli in persona, avvenuto a Ischia durante la riabilitazione. Teatro della scena, l’hotel Regina Isabella. «Ma di Juventus non abbiamo parlato», assicura il giocatore.

Enrico Mantovani, presidente della Sampdoria, si copre le spalle. Anche perché nel frattempo ha rifiutato un’offerta da capogiro del Manchester United, ventidue milioni di sterline. Risultato: Vincenzino si vede prolungare il contratto fino al 2003, naturalmente con ingaggio ritoccato.

La nuova Samp ha un’impronta ben nota a Vincenzo. Quella di Luciano Spalletti, timoniere del miracolo Empoli, uno che chiudeva in Toscana la sua carriera di giocatore-bandiera, per iniziare quella di tecnico, quando lui esplodeva sugli stessi palcoscenici. Ma il nuovo tecnico non può contare sul contributo del gioiellino. Vincenzo si ferma di nuovo, a ottobre finisce sotto i ferri per un’operazione alla caviglia destra.

Quando rientra, in panchina c’è David Platt. Non ha perso il vizio del gol, Vincenzino, ma le sue imprese non bastano a risollevare le sorti di una Samp in caduta libera. Anche Platt fa le valigie, dopo un’avventura durata un mese e mezzo, e in panchina torna Spalletti. Non basta, il doppio avvicendamento: la favola blucerchiata, vissuta nel segno del grande Paolo Mantovani, si chiude mestamente con la retrocessione in Serie B. Dodici gol in ventidue partite sono una magra consolazione, per il bomber.

È un’annata amara, anche se il 5 giugno del ‘99 arriva la grande soddisfazione della prima chiamata in azzurro. È Dino Zoff, Ct della Nazionale da appena nove mesi, a gettarlo nella mischia a Bologna, contro il Galles, durante le partite di qualificazione per Euro 2000. Ormai è chiaro anche a Enrico Mantovani che Montella sarebbe un lusso improponibile per la Sampdoria in Serie B. Il campione è sulla rampa di lancio.

La conquista di Roma

Strano destino, quello che lega Vincenzo Montella alla Roma. Era un pallino di Zdenek Zeman, il ragazzo di Campania, e arriva in giallorosso quando ormai il boemo non c’è più. Ma ci arriva con un biglietto da visita stampato a caratteri d’oro: 83 presenze e 54 reti in Serie A, una media da numero uno. Il presidente Sensi lo lega ai destini giallorossi fino al 2004, nelle casse della Samp l’operazione porta cinquanta miliardi di vecchie lire.

Vincenzino lega subito con Francesco Totti, un po’ meno forte il legame con il tecnico che ha sostituito Zeman sulla panchina giallorossa, Fabio Capello. All’inizio c’è incomprensione, ma poi Vincenzo trova il modo migliore per appianare: la via del gol, come al solito. In campo 31 volte, va a segno in 18 occasioni. E anche la sua avventura nella Nazionale di Zoff procede spedita fino a Euro 2000: Montella è nel gruppo, fa la sua parte nella vittoria con la Svezia (tra l’altro, l’assist perfetto per il gol-vittoria di Del Piero) e torna in campo negli ultimi minuti della drammatica finale del golden gol, Francia-Italia 2-1.

La prova del nove

Non sarà per sfiducia nei confronti di Vincenzino che il tecnico friulano chiede a Sensi di regalargli, per il definitivo salto di qualità, Gabriel Omar Batistuta. Ma è chiaro che il ragazzo ci resta male. Le cose, tra i due bomber, si appianano dopo un faccia a faccia. Montella si tiene la maglia col numero 9, Bati raddoppia e sceglie il 18. Ma in campo ci va il Re Leone, dall’inizio.

L’aeroplano Montella finisce nell’hangar, e lì resta finché l’argentino, anche su una gamba sola, gioca e segna. Non si può dire che faccia aperta polemica, di certo sbuffa e soffre come chi sa di valere qualcosa più di un posto in panca. Ma quel senso del gol che non ha mai perso può metterlo in mostra solo quando Bati si ferma ai box. Montella, sostituto eccellente, prende il suo posto e come al solito segna. L’aeroplanino torna a volare nel cielo della felicità. Ad ogni modo all’ultima giornata di campionato – in cui la Lupa si aggiudica lo scudetto – segna un gol contro il Parma, servendo poi l’assist all’argentino per il 3-1 e chiudendo nel migliore dei modi la lunga diatriba.

Gli altri anni con Capello procedono a singhiozzo. Quando Don Fabio se ne va da Roma, nell’estate del 2004, Montella ha 30 anni e sono in molti a pensare che abbia ormai i suoi giorni migliori alle spalle. Negli anni successivi allo scudetto, in assenza di integrità fisica, serenità, continuità, Vincenzo non è riuscito a esprimersi completamente e la sua carriera ha rallentato proprio nella fase in cui avrebbe dovuto trovare piena stabilità ad alto livello, idealmente con due o tre stagioni in fila attorno ai venti gol. Ma una volta andatosene Capello, e nonostante la Roma cambi cinque allenatori e finisca ottava, Montella sfodera un’annata da 21 gol in campionato, tre in meno del capocannoniere Cristiano Lucarelli.

L’anno dopo l’allenatore di Montella sarà Luciano Spalletti, per la terza volta in carriera, in tre squadre diverse. Per la Roma inizia una nuova fase nella quale Vincenzo non sa entrare. Gioca poco e neppure tanto bene, segna un solo gol in 13 presenze e a metà dell’anno successivo preferisce andarsene in Erasmus a Londra, accettando un’offerta del Fulham per farsi sei mesi di prestito in Premier League. Esordisce in FA Cup con una doppietta che riacchiappa il Leicester, avanti 3-1. Il Fulham vincerà poi al 94′ con un gol geniale di Wayne Routledge.

Dopo la parentesi londinese, Montella torna alla Sampdoria, sempre in prestito, ed è lì che inizia a pensare e preparare seriamente il suo futuro da allenatore, durante quaranta giorni in cui è costretto a non allenarsi per un infortunio. Non è più un grande attaccante ed è chiaro che non tornerà mai a esserlo, si tratta solo di decidere quando smettere, come, dove. Lascia la Samp e torna a Roma per la sua ultima stagione da calciatore, quella del 2008/09: 12 presenze e zero reti.

StagioneSquadraSeriePresenzeReti
1990-1991EMPOLIC110
1991-1992EMPOLIC174
1992-1993EMPOLIC1135
1993-1994EMPOLIC100
1994-1995EMPOLIC13017
1995-1996GENOAB3421
1996-1997SAMPDORIAA2822
1997-1998SAMPDORIAA3320
1998-1999SAMPDORIAA2212
1999-2000ROMAA3118
2000-2001ROMAA2813
2001-2002ROMAA1913
2002-2003ROMAA289
2003-2004ROMAA115
2004-2005ROMAA3721
2005-2006ROMAA121
2006-2007ROMAA123
genn 2007FULHAM (ING)A102
2007-2008SAMPDORIAA134
2008-2009ROMAA120
IN NAZIONALE 20 PRESENZE E 3 RETI (1999-2005)