SCOLARI Felipe: il cattivo vincente

Se non avesse allenato, sarebbe stato un sergente: uno di quelli tutti di un pezzo, quindi da “odiare”. L’oriundo veneto Luiz Felipe Scolari è stato l’allenatore più vincente del calcio brasiliano.

La sua missione è stata una sola: vincere o morire. Per questo si è specializzato nel guidare squadre vincenti, e pazienza se si picchia troppo o se il gioco lascia a desiderare. Di sicuro non bada all’immagine nè al fair-play: una volta mise le mani in faccia al suo collega Luxemburgo, un’altra aggredì un giornalista troppo petulante, un’altra ancora ordinò ai suoi giocatori di saltare addosso tutti insieme a un avversario, Edilson, che aveva fatto lo spiritoso mettendosi a palleggiare per scherno. La sua frase prediletta: «O homem pode atè cipanhar. Correr, jamais», Un uomo può anche prendere le botte, ma scappare, mai. Il suo trucco preferito: lanciare (o far lanciare) tanti palloni in campo per spezzettare il gioco e far impazzire i rivali. Una specie di time-out fatto in casa, da usare nei momenti più caldi di una partita.

Nato il 9 novembre del 1948 a Passo Fundo, nello stato di Rio Grande do Sul, da calciatore era proprio uno scarpone. Figlio d’arte solo di nome: il padre, Benjamin Scolari, era stato uno dei migliori difensori “gauchos” degli anni ’40. Lui e il pallone, invece, quasi nemici. Il giovane Luiz Felipe lo capì al volo e non inseguì sogni proibiti, si dedicò a migliorare puntando tutto sulla disciplina, sulla grinta e sulla personalità.

Lo Scolari giocatore non aveva certo piedi morbidi. Qui in un tackle con la maglia dello Caxias

Quelle non gli mancavano: leader e capitano dappertutto, lasciò una traccia profonda nelle modeste squadre della sua carriera. Non Flamengo o Palmeiras ma Aymorè, Sao Leopoldo, Caxias, Juventude, Hamburgo, CSA de Alagoas. Appese le scarpe al chiodo, senza che nessuno lo rimpiangesse, nel 1982.

Da allenatore, come per incanto, Scolari ha conquistato prima la credibilità e poi un curriculum. Da signor Nessuno alla prima esperienza di lavoro in Arabia Saudita, nell’Al Sabbab, a metà degli anni ’80: per soldi, certo, ma anche per assecondare una vocazione e scoprire un mondo nuovo. Di positivo, in Scolari detto Felipão, “Filippone”, c’è sempre stata una curiosità infinita, la voglia di aggiornarsi e di confrontarsi.

I primi successi risalgono al 1987 (tre titoli dello stato di Rio Grande do Sul con il Gremio di Porto Alegre), il primo miracolo nel 1991 con lo sconosciuto Criciúma trascinato alla conquista della Coppa del Brasile. Convincendo onesti artigiani del pallone di essere altrettanti Zico, Scolari fa fuori più di una grande, l’Atletico Mineiro (battuto addirittura nel suo stadio per 1-0) e il Goiàs, per poi superare in finale il suo ex Gremio. Gli bastano due pareggi, 1-1 fuori e 0-0 in casa, per regalare al Criciúma il titolo più importante della sua storia e la partecipazione alla Libertadores.

Nel 1991 il primo grande successo: la Copa do Brasil con lo sconosciuto Criuciuma

Quando alza la Coppa, Scolari è già un uomo in fuga. Lo aspetta di nuovo l’Arabia Saudita, l’Al Ahli, ma la seconda esperienza asiatica è breve. Felipão vuole essere profeta in patria, e il suo primo amore (il Gremio) è convinto che sia l’uomo giusto per inaugurare un ciclo di successi. Detto e fatto: arrivano in sequenza la coppa del Brasile (1994), la Libertadores e la Recopa (1995), il campionato brasiliano (1996), due titoli statali (1995 e 1996).

E nasce la fama di Felipão, tecnico emergente ma scomodo, uno che non si vergogna di ordinare ai suoi difensori di fermare Felipe con ogni mezzo: «Se non ci riuscite con le buone, stendetelo!». E quando gli fanno ascoltare la registrazioni di questi ordini non troppo sportivi dalla panchina, lui replica: «E allora, che c’è di male? Io almeno dico la verità, i miei colleghi mentono ma danno le stesse raccomandazioni».

È un vincente senza scrupoli, un trascinatore alla Helenio Herrera. Le sue squadre sono immediatamente riconoscibili sul piano tattico, i suoi calciatori motivati come nessun altro. E a chi lo accusa di ordinare violenza sistematica, risponde: «Non voglio che i miei giocatori spacchino le gambe agli avversari. C’è differenza fra il calciatore virile, maschio, e il delinquente. Io voglio i primi, quelli che si fanno rispettare. Se chiedo di commettere un fallo è per spezzare l’azione avversaria sul nascere, a metà campo, non perchè voglio mandare qualcuno all’ospedale».

Si comincia a parlare di lui come dell’uomo giusto per la Nazionale brasiliana, ma Felipão si autoesclude: «Non avrei successo, sono troppo sincero per dirigere la Seleção». Di nuovo in fuga, stavolta in Giappone: il Jubilo Iwata gli offre una fortuna, 150.000 dollari al mese. E lui riparte, ma solo per sei mesi. Poi (giugno ’97) risponde al richiamo del Palmeiras che vuole tornare grande conquistando Libertadores e Intercontinentale, le grandi assenti dell’era-Parmalat.

1997: alla guida del Palmeiras, sponsorizzato dalla Parmalat

Come conciliare il calcio dell’Accademia (così è chiamato il Palmeiras) con la furia e la grinta di Scolari? Di cambiare lui non se ne parla proprio, facciano ciò che vogliono i tifosi e la stampa. Tanto per far capire che aria tira, Felipão prende un giornalista per il collo e gli tira un pugno. Il malcapitato, Gilvan Ribeiro, aveva criticato la decisione di far svolgere allenamenti a porte chiuse. Con Freddy Rincon, poi, quasi una zuffa in campo: il centrocampista colombiano ex-Napoli gli sputa e poi lo attacca in sala-stampa: «È un razzista, provoca e minaccia».

Alla faccia dell’Accademia, Scolari vuole un Palmeiras a sua immagine e somiglianza. Chiama dal Gremio i suoi fedelissimi Paulo Nunes, Arilson, i paraguaiani Arce e Rivarola, e impone il suo stile. E le sue vittorie: la coppa del Brasile (più la coppa Mercosur) nel’98 e la Libertadores (la prima nella storia palmeirense!) nel ’99, strappata ai rigori ai colombiani dell’America di Cali. Ora non lo contesta più nessuno.

A Felipão resta comunque il cruccio della Coppa Intercontinentale: due volte va a Tokyo, e due volte torna a mani vuote. Nel ’95 col Gremio perde ai rigori con l’Ajax, nel ’99 col Palmeiras è battuto da Roy Keane su papera del portiere Marcos che esce a farfalle. Due insuccessi che lasciano l’amaro in bocca. La sconfitta ai rigori nella finale Libertadores 2000 con il Boca Juniors convince Scolari a lasciare («Non dovevo fare più nulla al Palmeiras, era il momento di mollare»). La scommessa successiva è il Cruzeiro, con cui fa in tempo a conquistare la Copa Sul-Minas 2001.

Con il Palmeiras arriva la Libertadores (la prima nella storia palmeirense) nel 1999

Ma è arrivata l’ora del grande salto: dopo aver rifiutato – a ottobre 2000 – il primo invito del presidente federale Teixeira ad assumere il comando della Nazionale nel dopo-Luxemburgo, Scolari, capisce che non può più tirarsi indietro. Il fallimento di Leão lo spinge in prima fila. La missione non è solo ambiziosa, è senza precedenti: portare il Brasile – mai assente in una fase fase finale iridata – al Mondiale 2002 e fargli recuperare la stima perduta.

Nonostante l’entrata nel torneo nippo-coreano senza grandi aspettative, il Brasile riesce a sorprendere tutti. Con una squadra che mescola esperienza e talento emergente, Scolari adotta una tattica flessibile, abbandonando il suo tradizionale 4-4-2 per un approccio più dinamico che sfrutta le qualità dei suoi attaccanti sfruttando le caratteristiche di giocatori come Cafu e Roberto Carlos che forniscono ampiezza e supporto offensivo dalle fasce. La Seleção vince tutte le partite del torneo, superando Turchia, Cina, Costa Rica, Belgio, Inghilterra e nuovamente la Turchia nelle semifinali. In finale, il Brasile sconfigge la Germania 2-0, con una doppietta di Ronaldo, conquistando così il quinto titolo mondiale.

Nel 2002 conquista il Mondiale, grazie anche alle prodezze di Ronaldo

Dopo il successo mondiale, Scolari sbarca in Europa e accetta la sfida di guidare la nazionale più brasiliana del vecchio continente: quella portoghese. Durante il suo mandato, il Portogallo raggiunge risultati storici, come la finale dell’Europeo 2004, persa contro la Grecia. Scolari riesce a creare un gruppo unito e competitivo, portando la squadra anche alle semifinale dei Mondiali del 2006, dove conclude al quarto posto. Nonostante l’eliminazione ai quarti di finale durante l’Europeo 2008, il lavoro di Scolari lascerà comunque un’impronta indelebile nel calcio portoghese, avendo costruito una squadra che, con la maturazione di Cristiano Ronaldo, continuerà a competere ai massimi livelli negli anni a venire.

Nel cuore del calcio inglese, l’arrivo di Luiz Felipe Scolari al Chelsea nel 2008 viene accolto con grande entusiasmo. Il tecnico brasiliano porta a Stamford Bridge un’aura di successo internazionale ed il suo inizio è promettente, con una vittoria per 4-0 contro il Portsmouth che lascia presagire una stagione trionfale. Tuttavia, la magia si dissolve rapidamente; la sconfitta casalinga contro il Liverpool infrange un’imbattibilità di 86 partite e segna l’inizio di una serie di risultati deludenti. Le critiche aumentano poi per le tattiche prevedibili e l’utilizzo limitato di Didier Drogba. La sconfitta per 3-0 contro il Manchester United è la goccia che fa traboccare il vaso, e dopo soli sette mesi, la storia di Scolari al Chelsea si conclude, lasciando un grande punto interrogativo su quello che avrebbe potuto essere.

Breve e contrastata l’esperienza con il Chelsea

Scolari torna in Brasile per allenare il Palmeiras e successivamente riprende le redini della nazionale brasiliana nel 2012. Sotto la sua guida, il Brasile vince la Confederations Cup 2013, ma il suo secondo mandato si concluse con l’incredibile sconfitta per 7-1 contro la Germania nelle semifinali del Mondiale 2014.

Nel 2015, Scolari si avventura in Cina, prendendo le redini del Guangzhou Evergrande. Con la sua solita visione tattica acuta e il carisma indiscusso, guida la squadra alla vittoria della Super League Cinese e della AFC Champions League nello stesso anno. Questo periodo segna l’apice della sua carriera asiatica, dimostrando che il suo tocco vincente non conosce, letteralmente, confini.

Nel 2015, con il Guangzhou Evergrande, Scolari conquista anche la Champions League asiatica

Dopo aver dominato anche i campi asiatici, Scolari fa ritorno in patria per allenare il Palmeiras nel 2018. Qui, riscopre la gloria nazionale, vincendo il titolo della Serie A brasiliana e consolidando la sua reputazione di stratega vincente.

Gli ultimi anni lo vedono navigare tra alti e bassi. Nel 2020, assume la guida del Cruzeiro, ma la sua permanenza è breve. Segue un ritorno al Grêmio per poi, nel 2022, prendere le redini dell’Athletico Paranaense. Infine, nel 2023, dopo un primo annuncio di ritiro dalle scene calcistiche, viene chiamato ad allenare l’Atlético Mineiro, dove continua a scrivere ancora gli ennesimi capitoli della sua infinita carriera.

L’avventura di Scolari è stata costellata di successi e di momenti difficili, anche drammatici, ma il suo impatto sul calcio mondiale è senz’altro indiscutibile. Con una reputazione da leader carismatico e tattico astuto, Felipão rimarrà nella storia come uno degli allenatori più influenti del suo tempo.