La ballata di Irene González

Un ricordo della pioniera del calcio femminile in Spagna

Un portiere si appoggia su un palo, braccia incrociate, palla al sicuro sotto il piede destro, sguardo sicuro e leggermente divertito che fissa l’obiettivo. Gli spettatori intorno: uomini in giacca e cappello, ragazzi in pantaloncini e calzettoni. Non è evidente se il loro interesse risieda nel soggetto della fotografia o nella tecnologia ancora relativamente nuova che lo sta catturando. Ma una rapida scansione verso il basso dell’immagine dissipa ogni dubbio. Anziché i pantaloncini lunghi tipici dei portieri dell’epoca, quello della foto indossa invece una gonna che si posa appena sotto le ginocchia.

È questa l’unica fotografia rimasta della madre del calcio femminile spagnolo. Prima di Conchi Sánchez, prima di Arantza del Puerto e Mar Prieto, prima di Verónica Boquete e Marta Torrejón, molto prima di una qualsiasi di loro, c’era una sola donna tra gli uomini: Irene González.

Irene nacque a La Coruña il 26 marzo 1909, sette anni dopo che il calcio era stato introdotto nella città galiziana da uno studente tornato dall’Inghilterra e solo tre anni dopo la formazione del Deportivo La Coruña, il principale club della città. Crebbe nel quartiere nord di Orillamar, dove venne rapidamente rapita da quel calcio di strada che la vide subito protagonista, nonostante le proteste dei ragazzi.

Nel 1924, all’età di 15 anni, Irene si stava già facendo conoscere partecipando a partite in tutta la città, soprattutto nei campi dell’A Estrada, ma anche in quelli di Monelos e Riazor, dove il Deportivo costruirà in seguito il suo stadio. Iniziò come attaccante, ma a poco a poco si ritrovò a giocare come portiere, dove le sue prestazioni coraggiose e sicure di sé cominciarono ad attrarre folle.

Gli anni ’20 furono un periodo di crescita significativa per il calcio in Spagna. Il decennio iniziò con la Nazionale che si assicurò una medaglia d’argento alle Olimpiadi del 1920 ad Anversa e si concluse con la formazione del primo campionato nazionale. In questo clima di crescente interesse per il calcio, l’unicità di una donna che teneva testa agli uomini si rivelò un’attrazione popolare. Questo nonostante il fatto che la sua famiglia non fosse soddisfatta della sua passione: si racconta che più di una volta suo padre la trascinasse, scalciando e urlando, fuori dal campo.

Alla fine del 1924, frustrata dalla disorganizzazione di gran parte delle squadre per cui aveva giocato e certa che la sua popolarità avrebbe assicurato folle e reddito sufficienti, Irene decise di fondare il proprio club: Irene FC. La squadra giocava amichevoli e tornei in città e organizzava feste in tutta la provincia. Gli incassi erano distribuiti tra la squadra, ma la protagonista era senza dubbio Irene, la cui presenza in campo era un prerequisito per la prenotazione della squadra. D’altra parte, se ci pensiamo (ripeto: Spagna, anni 20 del novecento) era notevole vedere all’epoca un impavido portiere donna che si scagliava contro i suoi difensori e si tuffava ai piedi degli attaccanti.

Irene era molto conosciuta e ammirata all’interno della comunità sportiva locale e non solo, anche se gli elogi erano spesso inevitabilmente formulati in termini sessisti come “robusta” e “maschiaccio“. (Lo spagnolo originale, marimacho, ha connotazioni negative più forti della traduzione).

Ma la sua popolarità non fu in grado di proteggerla da una fine tragicamente prematura. Nell’autunno del 1927, Irene contrasse la tubercolosi, la stessa malattia che causerà anche la morte di tre dei suoi fratelli, e fu costretta a smettere di giocare. Impegnò i suoi vestiti e i suoi effetti personali per coprire i costi delle cure, delle medicine e delle spese quotidiane. Quando gli altri giocatori vennero a conoscenza della sua situazione, organizzarono una partita di beneficenza. Il denaro raccolto le permise di riacquistare i vestiti, comprare un materasso per il letto e recuperare gli affitti in ritardo. Ma alla fine i fondi si esaurirono e le sue condizioni non migliorarono. Venne pubblicata una lettera su La Voz de Galicia dal titolo “Dobbiamo aiutare Irene“, e collette furono istituite durante le partite a La Coruña, Ferrol e Betanzos.

Fu tutto invano. Il 9 aprile 1928, Irene morì. Aveva appena 19 anni.

La sua storia si era persa negli annali del calcio spagnolo fino a quando il giornalista Óscar Losada l’ha ritrovata e fatta rivivere con il suo documentario “Irene, a porteira” nel 2008. Per questo, ha parlato con il leggendario, ora deceduto, portiere del Deportivo Rodrigo Vizoso, un contemporaneo di Irene che la ricordava bene. Vizoso ha rivelato che lei aveva spesso partecipato alle sue partite fornendogli supporto da dietro la porta.

Nella sua città natale, la sua eredità è stata tramandata dopo la sua morte da un motivetto popolare cantato dalle bambine della Coruña.

Mamá futbolista quiero ser / para jugar como Irene que juega muy bien.
Mamá cuando sea mayor / ganaré mucho dinero jugando al fútbol

All’epoca arricchirsi con il calcio per una donna era semplicemente impossibile. Ancora oggi, con trasmissioni televisive, sponsorizzazioni e un sufficiente interesse degli spettatori per attirare folle di 60.000 persone, pochissime giocatrici riescono ad ottenere alti guadagni. Ma almeno le ragazze possono ora pensare al calcio come ad una carriera praticabile. Se lo possono fare, lo devono in gran parte a ragazze come Irene González, che hanno lottato per affermare la loro presenza in uno sport che raramente era aperto a loro.