Alla radici del calcio inglese

Si giocava a football già nel 1300, anche se i regnanti non gradivano che i loro sudditi prendessero a calci un pallone. Poi, dal XIX secolo, ebbe inizio la grande rivoluzione.

Che gli inglesi abbiano inventato il calcio, ormai, se lo ricordano quasi solo quotidiani e televisioni quando affondano le mani nel loro cospicuo serbatoio di retorica, magari in occasioni come quella di Italia-Inghilterra. Per il resto, dove è finita l’eredità di tale invenzione? E si può “inventare” di punto in bianco un qualcosa che, a livelli rozzi, già è diffuso a livello popolare? Il calcio, infatti, in forma molto rudimentale e contaminata con quello che sarebbe diventato rugby, era praticato già nel Medioevo, ma era sgradito ai regnanti.

Re Edoardo III, nel 1348, ordinò che ogni uomo abile e in salute della città di Londra usasse arco e frecce nel suo tempo libero. È proibito con la pena della prigione, continuava l’editto, darsi al football, al lancio di pietre, allo scagliare con catapulte legno e ferro e a tutti i giochi frivoli. Nel 1681, Re Carlo II approvò invece una partita tra i suoi servitori e quelli del Conte di Albemarle, ma quattro anni dopo morì e la pratica decadde.

Nell’ottocento aumentò la pratica tra le classi più umili, che con il migliorare delle condizioni di vita (la crescita dell’industria, orari di lavoro meno massacranti) cominciarono ad avere un po’ di tempo libero. E mentre i nobili si dedicavano alla caccia, al cricket e al canottaggio, gli appartenenti alle classi più umili scelsero il calcio, sport che nel frattempo era stato introdotto, assieme al rugby con cui era ancora confuso, nelle grandi scuole tipo Eton e Harrow. Nel 1848, a Cambridge, una riunione tra esponenti delle varie istituzioni consentì di mettere nero su bianco le prime sedici regole di questo sport.

Freemanson’s Tavern
La Freemasons’ Tavern di Queen Street a Londra

Nel frattempo cresceva la popolazione in tutta l’Inghilterra, sotto il regno della Regina Vittoria, e nel 1855 a Sheffield venne fondata la prima squadra, seguita da altre, principalmente di studenti. Lo sviluppo delle ferrovie aumentò la possibilità di incontri, ma le regole di Cambridge non erano seguite da tutti, e così il 26 ottobre 1863 i delegati dei maggiori club si incontrarono a Londra, alla Freemason’s Tavern a Great Queen Street, zona del Covent Garden, per unificare i dettami: fu qui che F.W. Campbell aprì uno scisma, venendo bocciato nella votazione. Questo gentleman sosteneva che era indecoroso vietare quella che era stata una pratica comune, ovvero poter prendere la palla con le mani e poter prendere a calci non solo essa, ma anche l’avversario. Qualche tempo dopo, uscito dai ranghi, ovviamente Campbell fondò la Rugby Union.

La riunione di Londra diede il via alla Football Association, e l’8 dicembre vennero ufficializzate le 14 regole del calcio, che per un certo periodo vennero però ritenute valide esclusivamente dalle squadre di Londra e dintorni, e solo nel 1877 tutte le squadre inglesi le accettarono. Nel frattempo, 30 novembre 1872, era stata giocata la prima partita tra Nazionali. uno 0-0 tra Inghilterra e Scozia a Glasgow, di fronte a 2.000 spettatori. Un anno dopo, nacque la Football Association of Scotland.

La creazione del giovane Alcock

Ma il vero momento propulsore, il cui effetto si fa sentire ancora oggi, era arrivato nella riunione del 16 ottobre del 1871 a Londra. Un giovanotto di 30 anni, C.W. Alcock, propose la creazione di una coppa a cui avrebbero partecipato tutte le squadre iscritte alla Football Association. Nacque così la FA (Challenge) Cup, la Coppa d’Inghilterra, e basta il nome. La prima finale venne giocata in un campo da cricket, l’Oval di Kensington, a Londra, di fronte a 2.000 persone. Guidati da Alcock, i Wanderers superarono i Royal Engineers 1-0. Poi, secondo le regole del “Challenge”, cioè sfida. l’anno successivo il club campione sfidava direttamente in finale l’altra squadra qualificata. I primi anni videro l’alternarsi di varie dinastie, oltre ai Wanderers gli Old Etonians, vincitori in due occasioni e finalisti in altre quattro.

Erano anni di grande fair play: nel 1875, un giocatore di Eton si fece male in finale e non potè proseguire, e il capitano avversario, Marindin, uscì volontariamente per riequilibrare il numero dei giocatori in campo. Con il passare del tempo, quelli che sarebbero diventati i grandi club storici, specialmente del nord, iniziarono a far sentire il loro peso, ma la presenza di giocatori professionisti suscitò forti resistenze.

Così, nel 1887 venne formata la “League“, il cui primo campionato venne vinto l’anno dopo dal Preston North End, che si aggiudicò anche la FA Cup e rappresentò il modello del club professionistico di quei tempi, assieme al Blackburn Rovers, che vinse la coppa cinque volte in nove anni a cavallo tra anni Ottanta e Novanta. Per dire di un fenomeno che avrebbe assunto dimensioni assai peggiori un secolo dopo, i giornali londinesi chiamarono “teppaglia del nord” i tifosi che erano giunti in città a sostenere i Rovers in alcune di queste finali.

Nel frattempo erano state introdotte la traversa “vera” (e non una cordicella), la rete, il calcio di rigore, la rimessa laterale con le mani, l’uso di vestire tutti quelli di una squadra alla stessa maniera (sic). Nel 1893 la finale ebbe 45.000 spettatori (a Manchester); nel 1901 si passarono i 100.000, per la precisione 110.802 al Crystal Palace (non l’attuale luogo) per TottenhamSheffield United, vinta dagli Spurs, prima squadra di Londra a conquistare il successo. La presenza di Re Giorgio V alla finale del 1914 segnò, secondo un quotidiano, la fine «dell’atteggiamento snobistico secondo il quale solo un vero sportivo può giocare senza farsi pagare».

La finale dei cavalli Bianchi

Il 28 aprile 1923 venne giocata la prima partita allo stadio di Wembley, appena inaugurato: era la finale di FA Cup tra Bolton Wanderers e West Ham United. Fu uno spettacolo apocalittico: ai 120.000 spettatori regolari se ne aggiunsero altri 100.000 che avevano scavalcato i cancelli. Con la gente seduta a bordo campo, tenuta a bada da agenti di Polizia a cavallo (fu la “White Horse Final”), si potè giocare, 2-0 Bolton. I grandi club crescevano, alternandosi alla guida del movimento: fu il turno dell’Huddersfield Town, poi dell’Arsenal, entrambi guidati dal tecnico Herbert Chapman, innovatore dal punto di vista tattico, ma in generale in quegli anni c’era grande alternanza di dominio.

La seconda guerra mondiale interruppe la crescita, ma solo parzialmente: un segnale viene dal fatto che appena prima di essa, e subito dopo, con la frenesia di vivere causata dal termine del conflitto, moltissime squadre stabilirono il loro record di presenze. Alcuni esempi? 73.295 per ArsenalSunderland nel marzo 1935; 82.905 per ChelseaArsenal nell’ottobre 1935; 78.299 per EvertonLiverpool, settembre 1948; 76.588 per Aston VillaDerby County nel marzo 1946.

L’apertura al resto del mondo

L’Inghilterra, intanto, si stava aprendo ai contatti con le altre nazioni, pur mantenendosi (o credendosi) nel ruolo di faro del calcio. In occasione delle Olimpiadi londinesi del 1908, la Football Association aveva distribuito a tutte le squadre partecipanti un librettino con le 17 regole del calcio. Tale “presunzione” nasceva dall’avanzato stato del football in Gran Bretagna: già dal 1882 le quattro Federazioni locali avevano creato l’Home Championship, cioè il Torneo interbritannico, andato avanti sino al 1984, e il 2 giugno 1886, su loro proposta, si era riunito per la prima volta la International Board, organismo sovranazionale di controllo e supervisione.

Grazie ai maggiori scambi e contatti, il calcio stava crescendo, e gli inglesi subirono un primo smacco ai Mondiali brasiliani del 1950 quando, pur partecipando con una selezione non di primissimo livello, vennero clamorosamente battuti dagli Stati Uniti per 1-0. Sino a quel momento si erano rifiutati di prendere parte alla Coppa del Mondo, ritenendosi superiori. Lo shock maggiore avvenne il 25 novembre 1953 a Wembley: l’Ungheria, che dal 1908 ad allora in cinque sfide era stata smantellata (7-0, 4-2, 8-2, 6-2, con un unico 1-2 nel 1934), violò l’Empire Stadium 6-3, dando un’indimenticabile lezione di calcio ai padroni di casa.

Nelle edizioni successive della Coppa del Mondo, l’lnghilterra — pur disponendo già del campionato più divertente e spettacolare, come ai giorni nostri — non riuscì mai ad affermarsi, fatta eccezione per i Mondiali 1966, giocati in casa e vinti meritatamente anche se con l’ombra (o la certezza…) del gol-fantasma del 3-2 di Hurst contro la Germania.

Nascono gli hooligans, muore il calcio

Le fortune molto alterne della Nazionale non influenzarono il calcio a livello di club, che conobbe un impulso nel 1961 con l’abolizione della maximum wage, il tetto agli stipendi. Gli anni Sessanta portarono alla ribalta Liverpool e Leeds e fecero registrare parecchie affermazioni in campo europeo, dove il vigore e la spavalderia tattica delle formazioni inglesi ebbero di frequente la meglio sui club continentali.

Gli anni Settanta videro anche l’insinuarsi del pericoloteppismo, dapprima flebile, poi sempre più forte tanto da condizionare l’ambiente calcistico, anche se è più dolce ricordare i grandi successi del Liverpool proprio a cavallo dei due decenni, con le quattro Coppe dei Campioni vinte, che si unirono alla Coppa Uefa 1973 e 1976.

I primi anni Ottanta videro arrivare al trionfo europeo anche Aston Villa e (1979 e 1980) Nottingham Forest, mentre l’Everton si aggiudicò la Coppa delle Coppe 1985. Il disastro dell’Heysel, con i 39 spettatori morti per la carica di quelli del Liverpool, segnò la fine: banditi dalle Coppe, i club inglesi rimasero indietro rispetto alle squadre continentali, mentre all’interno del Paese l’incidenza del teppismo divenne così grande da far crollare le presenze negli stadi. Il fondo fu toccato in occasione della semifinale di FA Cup del 1989, Liverpool-Nottingham Forest, a Sheffield, stadio di Hillsborough: per disorganizzazione, presenza delle reti metalliche a bordo campo (che sono estranee alla tradizione inglese), pressione della folla che premeva per entrare in una curva già stipata, la Leppings Lane, 96 persone morirono schiacciate contro le transenne. Partì un’inchiesta governativa, che peraltro non ha mai chiarito la verità “vera”, ma soprattutto un membro dell’Alta Corte di giustizia. Lord Taylor, venne incaricato di preparare un rapporto sulla condizione degli stadi.

Il rinascimento inglese

Il Taylor Report, che raccomandava (in realtà ordinava) modifiche sostanziali agli impianti, diede la spinta alla rinascita, costringendo i club a modernizzarsi. In più, la strenua lotta contro il teppismo, vinta al 95%, e la buona prestazione della Nazionale a Italia ‘90 (eliminata ai rigori dalla Germania in semifinale, errori di Pearce e Waddle) soffiarono un po’ di ottimismo. Nel 1992, con la partenza della Premier League, supportata dai denari di Sky Sports che aveva scommesso su questo nuovo calcio dagli stadi rifatti, è nato il Nuovo Calcio Inglese. Con il suo bene (soldi, ambizioni) e il suo male (alienazione dei vecchi tifosi che non riconoscono più il “loro” football, rischi finanziari, commercializzazione estrema), che potranno essere giudicati in pieno solo tra qualche tempo.