La storia dell’Albania comunista nelle coppe europee

I misteri che hanno avvolto i club albanesi nelle Coppe europee dagli anni ’60 agli ’80 hanno intrigato per decenni gli appassionati di calcio

Situata ai confini geografici dell’Europa meridionale e ai margini politici di ogni sfera d’influenza, l’Albania popolare di Enver Hoxha era una terra stranissima e isolatissima. Da questo paese sigillato ermeticamente non usciva quasi nulla: né persone, né informazioni, né immagini. Anche il calcio albanese era avvolto da un velo di mistero, nonostante la sua partecipazione sporadica alle competizioni europee per club e per nazionali.

L’Albania esordì per la prima volta alle competizioni europee nel 1962 e lo fece più per dispetto che per sport. Hoxha aveva rotto ideologicamente con l’Unione Sovietica nel 1960 e coglieva ogni occasione per sfidare i suoi ex alleati. I sovietici e gli albanesi erano state le uniche nazioni a escludersi finora dalle gare Uefa per club per motivi politici, quindi l’Albania che interrompeva improvvisamente il boicottaggio avrebbe lasciato i sovietici isolati.

Il Partizani Tirana inaugurò così il nuovo corso sfidando gli svedesi dell’IFK Norrkoping in Coppa dei Campioni. Gli albanesi vennero eliminati con un complessivo 3-1, ma almeno il ghiaccio era rotto.

Un mondo a parte

Coppa Campioni 1964/65: Partizani-Colonia 0-0

Ogni trasferta europea nella misteriosa Albania era comunque una vera e propria scommessa e l’imprevedibile era sempre dietro l’angolo. Nel primo turno della Coppa Campioni 1964/65 i tedeschi del Colonia si recarono a Tirana per giocare contro il Partizani. Si sfiorò un incidente diplomatico quando i padroni di casa si accorsero che i tedeschi dell’ovest avevano portato il proprio cibo e lo chef personale, e il dirigente del Colonia Julius Ukrainczyk alla fine raggiunse un compromesso che prevedeva che il cibo fosse permesso ma lo chef rimandato immediatamente indietro.

Altro “caso” l’anno successivo, quando i campioni scozzesi del Kilmarnock affrontarono il 17 Nëntori Tirana nel primo turno della Coppa dei Campioni 1965-66. L’allenatore degli scozzesi Malcolm McDonald voleva portare 16 giocatori in trasferta, ma vennero concessi solo 15 visti, senza alcuna spiegazione per l’esclusione del sedicesimo. L’ingresso aereo in Albania era consentito solo tramite voli charter speciali, che costrinsero la comitiva scozzese a fare scalo prima a Londra e poi a Roma. Oltretutto nessun volo poteva atterrare dopo il tramonto e, con la partenza ritardata in Italia, era incerto se gli scozzesi sarebbero arrivati ​​a Tirana prima del coprifuoco. Ci riuscirono, atterrando al crepuscolo tra le batterie antiaeree dell’aeroporto di Tirana.

Alcuni dei ricordi dell’esperienza della comitiva di Kilmarnock sono più interessanti dello 0-0 tra le squadre in campo. Quando i giocatori provarono a telefonare a casa per far sapere alle loro famiglie che erano arrivati ​​​​sani e salvi, si scoprì che le linee telefoniche erano attive solo un’ora al mattino e due ore al pomeriggio.

L’etichetta locale lasciava poi il medico del club perplesso. Ogni volta che correva in campo per soccorrere uno dei suoi giocatori infortunati, si ritrovava circondato da una folla di medici albanesi in camice bianco, tutti pronti ad aiutarlo. Il Kilmarnock si aggiudicò di misura la sfida casalinga e fu un sollievo: prima dell’introduzione della regola dei gol fuori casa, gli spareggi si giocavano in campo neutro e correva voce che l’Albania aveva suggerito di disputare una terza partita nella terra dei suoi principali alleati politici: la Cina!

Il problema dei forfait

Il calcio europeo per club, allora come oggi, si basava su alcuni principi fondamentali a cui le nazioni partecipanti dovevano attenersi: ogni paese doveva iscrivere il numero richiesto di squadre ogni stagione e i club dovevano affrontare chi veniva sorteggiato. Principi semplici e comprensibili, volti a preservare l’integrità delle competizioni e non ostili a nessuna nazione partecipante. Nessuna tranne l’Albania, ovviamente.

Il primo problema emerse nel 1966, quando il 17 Nentori si ritirò dalla Coppa dei Campioni dopo aver incontrato al primo turno i norvegesi del Valerenga. Si pensava che la Norvegia fosse una nazione sgradita all’Albania per la sua presunta sottomissione all’occupazione nazista nel 1940. Era solo una supposizione, una delle tante che sarebbero sorte negli anni in assenza di una spiegazione ufficiale della federazione albanese.

Mentre le difficoltà iniziali con i viaggi e le stranezze albanesi in generale erano considerate un prezzo accettabile da pagare, gli improvvisi ritiri delle squadre come questo compromettevano seriamente l’ideale delle competizioni europee per club. Qui la Uefa dovette tener conto di alcuni precedenti. Nel 1958 i campioni di Grecia dell’Olympiacos si erano ritirati dalla Coppa dei Campioni piuttosto che sfidare i turchi del Besiktas, mentre cinque anni dopo la nazionale greca fece lo stesso quando incontrò l’Albania – le due nazioni erano ancora tecnicamente in guerra – nei turni di qualificazione per Euro 1964. L’Uefa decise per un’atteggiamento “morbido”: Valerenga promosso al turno successivo e 17 Nentori blandamente rimproverato e invitato a non ripetersi.

La diplomazia “gentile” dell’ UEFA nei confronti dell’Albania però non sortì gli effetti sperati. Nella stagione seguente la Dinamo Tirana si ritirò in circostanze simili nel primo turno di Coppa dei Campioni contro i campioni della Germania Ovest dell’Eintracht Brunswick e ancora una volta fu difficile trovare una motivazione specifica, soprattutto considerando che la nazionale albanese aveva affrontato la Germania Ovest quello stesso anno nelle qualificazioni agli Europei. Qui un’Uefa, meno paziente e più esasperata, bandì la Dinamo dalle competizioni europee per un anno.

Per la stagione 1971-72 un numero record di tre squadre albanesi furono inizialmente iscritte nelle competizioni europee, ma questo passo apparentemente positivo verso una maggiore integrazione si dimostrò falso quando il Vllaznia Shkodër si ritirò improvvisamente dalla sfida di Coppa Uefa contro il Rapid Vienna. Sembrava una decisione del tutto arbitraria, visto che la Dinamo Tirana aveva già incontrato una squadra austriaca nella Coppa delle Coppe e questo confronto era andato avanti senza problemi. Allo stesso modo il Partizani Tirana aveva giocato contro il Wacker Innsbruck la stagione precedente senza complicazioni. Il divieto annuale, ormai standard, fu debitamente recapitato agli albanesi.

Il buio degli anni 70

Enver Hoxha, leader supremo dell’Albania dalla fine della seconda guerra mondiale, nel 1944, fino alla sua morte, avvenuta nel 1985

Se possibile, negli anni settanta la situazione peggiorò sensibilmente. Tra il 1973 e il 1978 il regime paranoico di Hoxha si chiuse in un isolamento quasi totale, lasciando nell’incertezza l’Europa sul destino calcistico delle squadre albanesi. Ogni anno si diffondevano voci di un’imminente ritorno e la Federazione stessa annunciava di voler iscrivere dei partecipanti per la stagione europea 1977-78. Ma la loro richiesta arrivava “casualmente” sempre una settimana dopo la scadenza Uefa.

Nel 1978, dopo aver passato cinque anni di deserto internazionale, le albanesi fecero finalmente il loro ritorno, senza però rinunciare al loro radicalismo politico. Quando il Vllaznia Scutari venne sorteggiato contro la Dynamo Mosca in Coppa delle Coppe, la Uefa sapeva già cosa sarebbe successo. Per l’Albania i revisionisti marxisti-leninisti dell’Unione Sovietica erano ancora più odiati degli imperialisti fascisti dell’Occidente. Non c’era alcuna possibilità che questa sfida venisse giocata.

All’inizio degli anni ’80 la frustrazione a livello europeo per l’intransigenza di Tirana raggiunse livelli elevati. A patto che le autorità albanesi avessero trovato un avversario abbastanza degno da affrontare, le strane regole e le difficoltà di viaggio rendevano la vita impossibile agli avversari.

La regola della barba

Settembre 1970: Cruijff e Haan in panchina nel match 17 Nentori-Ajax 2-2

La “regola della barba” ad esempio, che stupì l’Ajax nel 1970 quando incontrò il 17 Nentori in Coppa dei Campioni. L’agenzia di viaggi statale albanese informò gli olandesi prima della partita che i giocatori non sarebbero entrati nel paese se i loro capelli fossero stati più lunghi di 1,5 pollici o se avessero avuto la barba. Alle donne del gruppo in viaggio non era permesso indossare minigonne e gli orli dovevano essere almeno a 2,5 pollici dal ginocchio. Il presidente dell’Ajax, Jaap Van Praag, infuriato, chiese alla Uefa di espellere gli albanesi, ma alla fine la sfida si svolse ugualmente senza che gli olandesi dovessero cambiare il loro look…

Se già era difficile per i giocatori europei entrare in Albania, per i giornalisti era quasi una mission impossible. In un’epoca di sviluppo tecnologico e di crescente copertura televisiva delle partite europee, gli unici resoconti delle partite giocate a Tirana provenivano da giornalisti jugoslavi che seguivano la partita da una radiocronaca albanese in onde corte.

Il viaggio era una vera e propria odissea, tra voli interminabili, scali e severi controlli di frontiera. I club si portavano dietro provviste di cibo e acqua per sopravvivere in un paese dove la miseria era la regola. Quando il Linfield affrontò il 17 Nentori in una sfida di Coppa dei Campioni 1982/83, il segretario del club Derek Brooks vietò ai giocatori di portare telecamere, per timore che fossero scambiati per spie. La cronaca del viaggio albanese del Linfield sembrava una copia conforme di quella delle altre squadre europee negli ultimi 15 anni. Perché nel frattempo nulla era cambiato; il paese era un museo vivente dello stalinismo, intrappolato nella sua bolla ideologica.

E poi c’erano i regolari forfait. Il 17 Nentori alla fine eliminò il Linfield ma si ritirò subito dal secondo turno quando la Dynamo Kiev fu sorteggiata come possibile avversaria. Il divieto annuale comportava ora anche una multa di 100 franchi svizzeri. Quando il Vllaznia Shkoder rinunciò alla partita contro l’Amburgo nel turno preliminare della Coppa dei Campioni 1983-84 – la sesta partita persa a tavolino in 17 anni – la determinazione delle altre nazioni affiliate alla Uefa si rafforzò: se le squadre albanesi volevano scegliere a piacimento i loro avversari, allora anche le altre avrebbero dovuto avere la possibilità di escludere del tutto gli albanesi.

La Uefa iniziò a valutare in sordina la possibilità di una squalifica più ampia dei club albanesi che avrebbe anche facilitato il bilanciamento dei partecipanti ed eliminato l’impopolare turno preliminare di Coppa dei Campioni. Alla fine, lo Stato emarginato si salvò per un soffio quando furono invece i club inglesi a essere banditi dopo l’Heysel nel 1985.

Il Partizani, campione d’Albania 1986/87

C’è un ultimo episodio in questa saga del malcostume albanese, anche se di natura diversa dai precedenti. Nel 1987 il Partizani Tirana si recò a Lisbona per la partita del primo turno di Coppa dei Campioni contro il Benfica. Poco prima dell’intervallo, il portiere del Partizani e capitano della nazionale Perlat Musta reagì con violenza a un fallo di Rui Aguas e colpì con un calcio allo stomaco l’attaccante. Fu espulso e la disciplina collettiva del Partizani crollò insieme a lui: nel secondo tempo altri tre suoi compagni di squadra furono espulsi per falli brutali e insulti all’arbitro.

La Uefa rispose con una severità insolita: la gara di ritorno fu cancellata, il Partizani fu escluso dall’Europa per le quattro stagioni successive e i giocatori colpevoli ricevettero pesanti squalifiche. Dopo aver dovuto tollerare con indulgenza il problema dell’Albania per un quarto di secolo, questa fu probabilmente una punizione davvero liberatoria per le autorità calcistiche europee.

Il mistero si svela

Una domanda però rimane: perché tanti forfait ingiustificati? Nonostante la mancanza di fonti ufficiali che ci consentano di ricostruire il processo decisionale nell’Albania comunista durante l’era di Hoxha, si possono individuare alcuni pattern che ci offrono delle ipotesi preliminari.

A quanto pare, al di là dei rari sorteggi contro squadre sovietiche, la politica ideologica pura non è sempre stata il fattore determinante per il ritiro delle loro formazioni. In nessuna stagione tra il 1962 e il 1985 – l’anno della morte di Enver Hoxha – i club albanesi riuscirono a sfruttare appieno i posti assegnato in Europa. Anzi, era insolito che ci fossero due club partecipanti in una sola stagione e ciò che colpisce – attenzione – è che mai, in nessun momento dell’intero periodo, due club albanesi hanno disputato partite all’estero contemporaneamente.

Il logo della Drejtoria e Sigurimit të Shtetit (“Direttorato per la sicurezza dello Stato”), nota comunemente come Sigurimi, la polizia segreta albanese nel periodo 1943-1991.

I viaggi all’estero erano proibiti per la maggior parte degli albanesi dopo il 1968 e le trasferte delle squadre di calcio erano sempre sorvegliate ferocemente dai membri della Sigurimi, la polizia segreta albanese.

Il rispetto dei sorteggi dipendeva quindi dalla logistica. Se una squadra albanese veniva estratta in casa all’andata e l’altra in trasferta, non ci sarebbero problemi. Ma se entrambe venivano estratte nella stessa fase, cercare di controllare due gruppi di viaggio con più di 20 persone ciascuno sarebbe considerato troppo pericoloso. Era più sicuro e più facile ritirare una delle due squadre.

Risolto l’enigma? Non lo sapremo mai: una metafora adatta per il calcio albanese di quest’epoca è una matrioska, dove più scavi, più misteri dentro i misteri trovi, senza che nulla sia mai esattamente come sembra a prima vista.

Epilogo

L’Albania, dopo il crollo del comunismo nel 1990, si trovò in una condizione analoga a quella di molti paesi ex comunisti: le riforme politiche ed economiche non riuscivano a rianimare un’economia in rovina (la crisi sfociò in una guerra civile nel 1997) e molti giovani furono costretti a emigrare, approfittando dell’apertura delle frontiere. Questa fase difficile, paradossalmente, fu importante per lo sviluppo del calcio albanese: molti giocatori abbandonarono il campionato locale di basso livello e si trasferirono all’estero (in particolare in Grecia e nei Balcani), contribuendo così a innalzare gradualmente il livello del calcio nazionale fino ad arrivare alla storica qualificazione dell’Albania all’Europeo 2016.

Fonti: Craig McCracken – theguardian.com