Christian Manfredini: quando i mussi volavano

C’è chi racconta le favole e chi invece ne scrive qualche riga. Le galoppate sulla fascia sinistra erano la sua penna, il soggetto una misconosciuta squadra di provincia, il Chievo. Da Verona alla Serie D, passando per Roma.

Manfredini, la prima cosa che viene in mente pensando a te è il “Chievo dei miracoli”, quello del 2001/2002: quali sono i ricordi più belli che ti legano ai “mussi volanti”?
“Non ne scelgo uno in particolare, è stata una splendida cavalcata sia in Serie A che in Serie B. In B siamo rimasti primi praticamente dall’inizio fino all’ultima giornata, in A siamo stati in cima alla classifica per due mesi e mezzo. L’ambiente Chievo è sano e tranquillo, ho avuto la possibilità di vivere in una città molto bella come Verona, che non ti addossa troppe pressioni e ti permette di affrontare con serenità i momenti difficili anche se, a dire il vero, in quel periodo tutto andava per il meglio. Nessuno avrebbe potuto immaginare che una squadra come la nostra potesse arrivare nelle prime posizioni, invece siamo finiti quinti. E stato un susseguirsi di emozioni, sono stati due anni meravigliosi”.

Inter 1 – Chievo 2, uno degli apici di quella stagione. Com’è espugnare S. Siro con una squadra di “matricole”?
“In quel periodo non era l’Inter migliore, ma era pur sempre l’Inter. A differenza di adesso, quando giocavi contro Inter o Milan a S. Siro era già 2 a 0 per loro, e quell’anno soltanto la Juventus e la Roma ci fecero faticare sia all’andata che al ritorno, con le altre abbiamo sempre ottenuto buoni risultati, quasi dominando ogni gara”.

Anche grazie ad un allenatore di qualità non comune come Delneri.
“Dico sempre, quando parlo del Chievo e del suo allenatore, che ci siamo trovati tutti nel posto giusto al momento giusto. Eravamo un gruppo di buoni giocatori e Delneri era un ottimo allenatore che ci portò idee nuove, però nessuno aveva ancora raggiunto la consacrazione. Avrò sempre uno splendido ricordo di lui, quando lo incontro lo saluto sempre con affetto”.

Quella stagione è stata la rampa di lancio per molti di voi. Nel 2002 ti chiama la Lazio, tu accetti.
“La consacrazione di giocatori come me, Perrotta, Corradi e Barone fu il premio per quello che avevamo dimostrato negli anni precedenti. Quando giochi a calcio, devi fare delle scelte: io decisi di andarmene perché il Chievo ti dà una visibilità certamente più ridotta di quella che ti offre un club come la Lazio. Sono convinto di aver fatto la scelta giusta, perché ho avuto la possibilità di confrontarmi con un ambiente diverso e giocatori di altro spessore: mentre al Chievo avrei potuto essere la stella o una delle stelle, alla Lazio erano tutti campioni. E stata un’esperienza importante, anche se avrei voluto terminare in modo diverso, più tranquillo, ma non è dipeso da me”.

Dopo 7 anni alla Lazio, nel 2009 Lotito ti mette fuori rosa. Quali sono stati i motivi?
“Si era creata una situazione strana. Essere esclusi per scelta tecnica è un’eventualità normale nella cartiera di un calciatore, ma io ed altri avevamo ancora contratti in essere per 2 o 3 anni e la società non volle né riconoscerceli né giungere a compromessi”.

In quegli anni hai avuto la possibilità di giocare in Champions: cosa significa per un giocatore come te, partito dalle serie inferiori, ascoltare la famosa “musichetta”?
“E una bellissima sensazione, ti vengono i brividi, senti tremare le gambe quando tocchi il pallone, quando entri in stadi come quelli di Madrid, Atene e Brema”.

A proposito di Brema: li hai segnato il tuo primo e unico goal in Champions League. Come ci si sente in un momento del genere?
“In quell’attimo pensi: “Finalmente ce l’ho fatta”, perché quando incominci a giocare l’aspirazione è quella di arrivare ai massimi livelli. E una gioia indescrivibile”.

Parliamo di figurine Panini: quando ti sei visto per la prima volta su un album?
“Ho conservato gelosamente ogni figurina che mi ritrae. La prima volta fu quando giocavo a Cosenza in B, venne un bambino a mostrarmi la mia “fìgu”: credimi, è stato bello”.

Dopo diversi anni ai vertici, hai deciso di andare a giocare nei Dilettanti: cosa cambia tra Serie A e D?
“La differenza più macroscopica è ravvisabile nell’organizzazione, che nelle serie maggiori è molto più razionale soprattutto perché circola più denaro, quello che non si trova nei campionati minori, dove spesso non hai a disposizione campi per allenarti nel modo migliore. È un po’ come tornare bambini, ci sono meno agi. Ti racconto un aneddoto: in 9 anni di Lazio, non mi sono mai tagliato le unghie dei piedi, perché avevamo a disposizione addetti alla pedicure. Comunque, ci si adatta ben volentieri”.

A proposito di giovanili, tu sei partito dalla Juventus: che ricordi hai?
“Un ricordo fantastico. All’epoca c’erano ancora l’avvocato Agnelli e Boniperti, era la vera Juve. Non ebbi la possibilità di esordire in prima squadra perché con Trapattoni i giovani non avevano molto spazio, nonostante fossimo, a mio parere, tra le squadre Primavera più forti che la Juventus abbia mai avuto”.

Christian José Manfredini Sisostri (Port-Bouët, 1º maggio 1975)

StagioneSquadraPres. (Reti)
1993-1994 Juventus0 (0)
1994-1995→  Pistoiese14 (1)
1995-1996→  Viterbese32 (3)
1996-1997→  Avezzano30 (2)
1997-1998→  Fermana26 (3)
1998-1999→  Cosenza32 (4)
1999-2000 Genoa25 (2)
2000-2002 Chievo64 (9)
2002-2003 Lazio3 (0)
2003→  Osasuna11 (1)
2003-2004→  Fiorentina10 (1)
2004→  Perugia12 (0)
2004-2011 Lazio98 (5)
2011-2012 Sambonifacese11 (0)
2012-2013 Agropoli2 (0)
2013-2014 Picciolan.d.