Quel Racing Club di Humberto Maschio

La prima e unica Copa Libertadores vinta dal Racing Club risale al 1967 e porta la firma del grande ex “Angelo dalla faccia sporca”.

Premessa d’obbligo per introdurre questa storica edizione: poco prima dell’inizio della Copa Libertadores edizione 1967 sorge un contrasto fra la Confederazione Sudamericana e la C.B.D. brasiliana. Il pomo della discordia è rappresentato dalla partecipazione, o meno, di due squadre per ogni federazione. I brasiliani, che vogliono la competizione aperta solo alle squadre “campioni” e non anche alle “vicecampioni” e che hanno disertato, per protesta, nel 1966, rientrano nella competizione, ma fedeli alla loro idea inviano solo una squadra, ossia il Cruzeiro di Belo Horizonte che, battendo nelle finalissime il Santos di Pelé, si è aggiudicata, e con pieno merito, la «Taça Brasil ’66».

Per la Libertadores ’67 tutti i pronostici sono invece per una riconferma del Penarol di Maspoli che si è imposto l’anno precedente: in Sudamerica, si sa bene, sono tutti cabalisti dei numeri e pare a tutti impossibile che non vincano i gialloneri. Questo perché, sino ad allora, nella Taca c’è stato il «bi-campeonato» del Penarol, poi quello del Santos, quindi quello dell’Independiente, poi ha vinto ancora una volta la squadra giallorossa: tutti aspettano quindi che gli «aurinegros» raggiungono ancora il «bicampeonato».

Ed invece vinceranno a sorpresa gli argentini del Racing di Avellaneda. La squadra biancoceleste — che curiosamente ha la stessa divisa del seleccionado argentino — ha vinto il campionato dell’A.F.A. 1966 con una marcia sicura e decisa e con ben cinque punti di vantaggio sul River Plate. La squadra è stata costruita molto bene: dopo aver venduto Pentrelli e Pastorizia è stato acquistato — con felice intuito — Mori (rivelazione dei «rojos» dell’Independiente nella Libertadores ’65) mentre è stato promosso titolare il portiere Cejas (100 kg di peso) al posto di Luis Carrizzo (da non confondersi col più celebre Amadeo) anch’egli «centenario» in peso.

Per la stagione 1967 e quindi per la Libertadores la squadra, che ha convinto tutti nella stagione passata, dovrebbe restare immutata ma il tecnico José Pizzuti, oriundo italiano taciturno, introverso, ex centrocampista «obrero» di Banfield, River, dello stesso Racing e del seleccionado, ritiene di avere in mano una carta che può essere vincente: fa pressioni a Humberto Maschio perché ritorni al più presto in Argentina e… ricominci l’attività, a quasi 36 anni (!), e nel «suo» Racing.

Maschio (ultimo indirizzo conosciuto: Fiorentina 1965/66) si lascia convincere, si allena intensamente per un clamoroso ritorno che però a Buenos Aires è atteso con grande scetticismo ed anche con velenosa ironia. E’ la piccola, caricatissima e tenace moglie bergamasca, che si è portato dall’Italia a spingerlo, a incitarlo, lui che ha un carattere piuttosto altalenante e che passa dall’euforia allo scoramento e viceversa in un baleno.

Humberto diventa il capolavoro di José Pizzuti: il tecnico che è stato un diligente, ma ruvido «obrero» del centrocampo, è incantato dal tocco, dai tagli, dalle foglie secche, dalle «cortadas», dagli allunghi imperiosi ed invitanti, soprattutto dalla grande «inspiraciòn» e dalla materia grigia calcistica che indubbiamente risiede dentro quella testa ormai scarsicrinita. Maschio perde la pancetta, riacquista il fiato necessario ed è pienamente recuperato: è promosso «regista-cervello» della squadra. E da regista, Maschio si prende una maglia con un numero che aveva sempre rifiutato quando era un «angelo dalla faccia sporca» nel seleccionado ’57 nel quale nessuno dei sette attaccanti a disposizione (e che, ricordiamo, erano Corbatta, Angelillo, Maschio, Sivori, Sanfilippo Cruz e Bourgoing) voleva assolutamente per la disperazione di don Guillermo Stabile: il numero 11!

Con la «camisa 11» però il «vecchio», che è stato subito ribattezzato «El Bocha», dovrà dirigere tutta l’orchestra biancoceleste ed in breve questo Racing viene detto, in onore di Pizzuti, «El equipo de José» e in onore di Maschio e del suo gioco corale «La Academia». In porta gioca Cejas; la linea dei terzini è formata, da destra, da capitan Martin, Perfumo, Basile e Diaz. Centrocampo: Rulli, Mori (il più giovane), Maschio (il più vecchio). Punte: Martinoli, Cardenas, J.J. Rodriguez o Raffo. Buono per tutte le sostituzioni il brasiliano Cardoso per l’attacco e l’uruguayano Chaby per la difesa.

Molto affiatata è la coppia centrale della difesa formata da Roberto Perfumo ed Alfio Basile, entrambi oriundi alessandrini ed entrambi titolari nel seleccionado argentino allora diretto da Minella, che, dopo i mondiali d’Inghilterra, ha sostituito Lorenzo. Indubbiamente la difesa del Racing è molto forte, oltre che nella coppia centrale, anche nei laterali Martin e Diaz e ottima nel portiere Augustin Cejas che in seguito passerà al Santos e che i brasiliani tenteranno di far naturalizzare, ma invano, in tutti i modi.

Il centrocampo è efficiente con Maschio direttore e le punte sono autentici «hombres gol»: Raffo, pur non utilizzato sempre, sarà il goleador della Taca con 14 reti messe a segno. Un 4-3-3 quindi per il Racing di Maschio e Pizzuti con una squadra corta, volpona, difficile da sorprendere e da far aprire. Un comparto difensivo che si rivela come uno dei più forti della storia del calcio argentino: diventa infatti un’impresa molto difficile minacciare da vicino la porta di Cejas. « Sicurissimi in difesa, davanti basta segnare un gol per vincere», dicono Pizzuti e Maschio e hanno ragione.

All’inizio della competizione i favori sono tutti per il Cruzeiro che, in quegli anni, sta vivendo un meraviglioso ciclo e che, come autentico squadrone, ha raggiunto il Santos di Pelè dimostrandosi una compagine di altissimo livello spettacolare sotto la guida di Ayrton Moreira e quindi del «paternalista» Orlando Fantoni. La formazione «mineira», nel suo girone di semifinale, deve vedersela con le due fortissime uruguayane Penarol e Nacional e deve cedere mentre arrivano alle finali gli uomini dello stesso Nacional.

E qui trovano, per la disputa della Taça, il Racing di Pizzuti e Maschio che, nel suo girone semifinale, ha fatto fuori i peruviani dell’Universitario ed i cileni del Colo Colo. Il doppio, scontro fra Racing e Nacional è tutto da vedere perché le due squadre vantano entrambe difese fortissime difficilmente superabili. Sia l’andata, ad Avellaneda, sia il ritorno al Centenario sono due eloquentissimi 0-0 dopo due battaglie asprissime e che portano «tricolores» uruguayani e «albicelestes» argentini a scontrarsi ancora in uno spareggio.

Il pronostico, dopo i due 0-0, è incertissimo: il Nacional col suo schieramento Domingues; Ubinas, Alvarez, Manicera, Mujica; Montero Castillo, Viera; Uruzmendi, Celio, Esparrago, Morales ha meno classe ma più «garra» dei rivali. Il Racing però, guidato da un marpione come Maschio, che proprio a Santiago, nel 1957 con il seleccionado, si era rivelato come «angelo dalla faccia sporca», riesce a segnare due reti (Cardoso e Raffo) contro una dei «tricolores» (Viera) e la Coppa prende la via di Buenos Aires.