Corea del Sud 1954: il mito sportivo di un popolo

«Eravamo stanchi e affamati, molti di noi non avevano mai visto un campo in erba, non avevamo avuto il tempo di allenarci in modo accettabile; come se non bastasse, dovevamo giocare la prima partita ai Mondiali nella storia coreana contro la grande Ungheria. Eppure non avevamo paura, non ci sentivamo né inferiori né poveri. Il calcio è uguale per tutti».

Sono i ricordi dell’attaccante Chung Nam-Sik, scomparso nel 2005 ma rimasto per sempre uno degli “Eroi del “54”, come li chiamano qui.

Eroi? Di solito, una squadra che perde due partite subendo 16 gol senza segnarne alcuno non entra nella storia sportiva di un Paese dalla porta principale. Eppure, quando si parla della Corea del Sud ai Mondiali, la storia che fa venire gli occhi lucidi ai tifosi non è quella del sorprendente (seppur contestato) quarto posto ai Mondiali 2002, ma quella della doppia débàcle del lontano 1954.

È una storia che pochi conoscono, fuori dalla Corea; una storia di sacrifici accettati senza lamenti; la storia di chi non sa e non vuole arrendersi a nulla. Una storia che comincia pochi mesi dopo la fine di una guerra devastante, che ha messo il Paese in ginocchio.

Una fase dello spareggio tra Giappone e Corea del Sud

La Corea del Sud affronta le qualificazioni mondiali con una squadra composta, in buona parte, dai veterani delle Olimpiadi londinesi del ‘48. Per motivi di sicurezza, la Fifa impone di giocare entrambe le partite contro il Giappone in territorio nipponico. I coreani vincono 5-1 la prima e si accontentano del 2-2 nella seconda.

L’accoglienza al ritorno in patria è trionfale, anche se i festeggiamenti — vista l’estrema povertà del Paese — non sono certo di stile hollywoodiano. A questo punto, il problema è il viaggio per raggiungere la Svizzera. Un viaggio che la squadra vuole a tutti i costi, superando difficoltà apparentemente proibitive.

Nel 1954 non esistono voli di linea tra la Corea e alcun Paese estero. Bisogna affrontare una vera odissea, che comincia l’11 giugno (la partita d’esordio è fissata per il 16). I 22 membri della spedizione viaggiano in treno da Seul a Pusan; di qui, prendono la nave per la città giapponese di Shimonoseki, dalla quale, in treno, raggiungono Tokyo.

Purtroppo non ci sono aerei in grado di ospitare tutto il gruppo. La metà dei coreani parte con un volo dell’Air France; gli altri accettano l’ospitalità dell’aeronautica militare statunitense e salgono su un aereo che li porta a destinazione in 64 (!) ore.

Ungheria-Corea del Sud 9-0: l’ingresso delle squadre in campo

Il viaggio è massacrante: i sedili dell’aereo americano sono troppo alti per i piccoli coreani, che non riescono ad appoggiare bene i piedi e accusano problemi muscolari fin dall’arrivo in Svizzera, il giorno prima del terribile esordio contro gli ungheresi. L’unico “allenamento” ha luogo sul prato davanti all’hotel, dove diversi giocatori vedono per la prima volta un fondo erboso. Sono tutti malnutriti, doloranti, stremati; ma, come ricordava Chung, per nulla rassegnati.

Arriva il momento della partita. Dopo 20 minuti del primo tempo, alcuni coreani soffrono già di crampi. Però stringono i denti e all’intervallo lo svantaggio è di un solo gol. Nella ripresa, il crollo. Gli ungheresi dilagano e Hong DukYoung, il portiere, non può nulla:

«Puskas era incredibile. A un certo punto ha colpito la traversa e io ho pensato che avrebbe continuato a vibrare sino alla fine della partita. Tirava da ogni posizione, era impossibile fermarlo anche se giocava in modo abbastanza semplice».

Ismil Suat a rete in Tuchia-Corea Del Sud 7-0

Finisce 9-0 e contro la Turchia, nel match successivo, le cose non vanno molto meglio: 7-0. Eppure, quando tornano a casa, Hong e gli altri vengono salutati come eroi nazionali. Negli occhi della gente che applaude al loro passaggio ci sono ammirazione e gratitudine: quei calciatori hanno dimostrato al mondo che la Corea, malgrado tutto, esiste ancora.

Il resto è storia recente: dal 1986 i coreani si sono sempre qualificati alla fase finale di un Mondiale e il movimento calcistico ha ancora grandissimi margini di crescita. Ma qualunque risultato ottenga in futuro, i veri Eroi saranno sempre e solo loro. Quelli del ‘54.