CROY Jürgen: Incompreso

E’ stato un portiere che ha scritto la storia senza farsi notare. Forse il suo nome non ti dice nulla, ma se il destino lo avesse fatto nascere al di qua del Muro sarebbe stato sicuramente al posto di Sepp Maier nella finale mondiale del 1974.

Non ha mai ricevuto il giusto riconoscimento perché proveniva da un regime che non considerava i suoi campinoi come idoli. Al contrario di altre nazioni che avevano i loro idoli – Jashin per l’Unione Sovietica, Boniek per la Polonia, Puskas per l’Ungheria – la Germania Est non voleva figure simboliche. Pur avendo prodotto grandi individualità, la Repubblica Democratica Tedesca (DDR) privilegiava il collettivo e il gioco di squadra.

Croy difese i pali della nazionale della Germania Est per 14 anni, dal 1967 al 1981, imponendosi come uno dei migliori portieri del mondo negli anni ’70, al livello del suo omologo occidentale, il mitico Sepp Maier. Vinse tre volte il titolo di calciatore dell’anno della Germania Est (1972, 1976 e 1978) e nel 1989 venne eletto il miglior giocatore di tutti i tempi della DDR.

Con la maglia della nazionale visse i momenti più gloriosi, tra cui l’oro olimpico a Montreal nel 1976 e la storica vittoria sulla Germania Ovest ai Mondiali del 1974, dove Croy respinse gli epici attacchi di Gerd Müller, Franz Beckenbauer e compagni.

Chi lo ha visto giocare lo ricorda come un portiere dai riflessi fulminei, e soprattutto capace di rilanciare la palla con precisione: fu proprio da un suo rinvio che nacque l’azione di Jürgen Sparwasser, autore del gol che sconfisse la Germania Ovest nel derby della Guerra Fredda.

Come la maggior parte dei portieri, ero bravo sulla linea di porta”, ha raccontato un umile Croy alla rivista tedesca 11Freunde, “e non mi tiravo indietro quando dovevo uscire. Se avessi avuto dei grossi difetti, non sarei stato così a lungo in Nazionale”.
Queste scarne parole rivelano il carattere dell’uomo, e forse contribuiscono a spiegare il perché è rimasto quasi sconosciuto fuori dall’ex Germania Est. Croy è sempre stato ostinato e sicuro di sé, il tipo di uomo che si è prefissato degli obiettivi e li ha raggiunti, un uomo pienamente consapevole del proprio ruolo nel suo mondo. E quel suo mondo era Zwickau.

Croy fu un gigante in una piccola città: non solo la sua fama è limitata alla Germania Est, ma lui stesso non volle mai vivere, lavorare o giocare a calcio altrove che nella sua città natale, una località anonima vicino al confine con la Repubblica Ceca.

Indossò la maglia del Sachsenring Zwickau per 16 anni, poi allenò il club per altri quattro, prima di diventarne presidente e poi vicepresidente della federazione calcistica della Germania Est. In seguito si occupò di politica locale, attività che svolse fino al 2010.

La fedeltà di Croy a Zwickau gli impedì di avere il riconoscimento che meritava durante la sua carriera da giocatore. La politica calcistica della Germania Est prevedeva che i giocatori più forti venissero trasferiti in squadre attrezzate per le competizioni europee: Dynamo Berlino, Dynamo Dresda, Magdeburgo e Carl Zeiss Jena. Lo Zwickau, pur militando nella massima serie, era spesso relegato ai margini.

Croy era un portiere di talento, ma non ambiva a giocare per le grandi squadre della DDR. Il suo sogno era di difendere la porta del suo club del cuore, lo Zwickau, e di restare nella sua città natale. Così, cercò di convincere i dirigenti della federazione che sarebbe stato più utile in una squadra modesta, dove avrebbe dovuto parare più tiri (!).

Ma la sua scelta non piacque ai poteri forti. La Stasi, la temuta polizia segreta, aveva da sempre un occhio di riguardo per il calcio: il suo spietato capo, Erich Mielke, controllava i club della Dynamo di Berlino e di Dresda, e voleva usare il pallone per fare propaganda del regime all’estero, sostenendo che il successo dei club in Europa avrebbe “dimostrato ancora meglio la superiorità del nostro ordine socialista nel campo dello sport”.

La Stasi non ammetteva ostacoli. Mielke si era fatto una reputazione di manipolatore di arbitri e trasferimenti di giocatori riuscendo a far vincere il titolo alla sua amata Dynamo Berlino per 10 anni di fila tra il 1979 e il 1988, dopo che la Dynamo Dresda lo aveva fatto nei tre anni precedenti. Croy, però, era un osso duro.

Il portiere fu chiamato a un colloquio con il capo della federazione sportiva della Germania Est, Franz Rydz, che gli fece capire chiaramente che il suo destino non dipendeva solo da lui e che, se la federazione avesse voluto, avrebbe potuto mandarlo nell’esercito facendogli smettere di giocare a calcio. Ma Croy non si lasciò intimidire e alla fine la volontà del portiere prevalse. Rimase a Zwickau, lavorando in una fabbrica che produceva le famose auto Trabant e giocando per il team della sua città natale nei fine settimana.

Con Croy in squadra, lo Zwickau visse il periodo più glorioso della sua storia. Vinse la Coppa della Germania Est nel 1967 e nel 1975, con il portiere che parò un rigore alla leggenda della Dynamo Dresda Hans-Jürgen Dörner – forse l’unico giocatore al suo livello nella storia della Germania Est – prima di segnare lui stesso il rigore decisivo.

Lo Zwickau si qualificò per la Coppa delle Coppe e eliminò Panathinaikos, Fiorentina (Croy segnò ancora una volta su rigore il gol decisivo nella lotteria dei rigori) e Celtic, prima di arrendersi in semifinale all’Anderlecht. A quel punto non c’erano più dubbi: Croy era il miglior giocatore del paese, e la Stasi tornò a farsi sentire

Dopo una partita, uno di loro mi si avvicinò e mi disse di andare alla [Lokomotive] Lipsia o al Magdeburgo”, raccontò Croy nel 2015. “L’uomo mi disse che altrimenti avrei finito la mia carriera da dilettante in Turingia. Mi diede 10 minuti per decidere”.

La polizia segreta era abituata a imporre la sua volontà. Il telefono di Croy era intercettato e gli alberghi della squadra erano sorvegliati. Durante le trasferte con la nazionale, veniva spesso avvicinato da persone che gli proponevano di disertare, ma lui non voleva mettere a repentaglio la sicurezza della sua famiglia o abbandonare lo Zwickau. Gli fu anche chiesto di spiare i suoi compagni di squadra e di riferire alla Stasi, ma lui rifiutò sempre di collaborare.

La Stasi era incredula: Croy non si era piegato ai loro ordini, ma d’altra parte non aveva nessun motivo per accusarlo e quindi era impotente. Croy era un cittadino esemplare, un padre di famiglia e un idolo locale. Nemmeno la Stasi poteva mettergli le mani addosso.

Come calciatore della nazionale, sarei stato un bersaglio difficile da eliminare”, ha raccontato Croy. “In più, avevo il sostegno di tutto il club e di molti operai della città”.

Croy ha resistito, il Muro è caduto e lui ha vinto la sua partita più importante. Ha scritto due autobiografie ed è sempre stato una personalità influente nel calcio di Zwickau e dell’ex Germania Est. Conserva ancora le sue medaglie d’oro e di bronzo olimpiche, le sue due coppe della Germania Est e i suoi tre titoli di calciatore dell’anno.

Il suo attaccamento addirittura ossessivo alla sua città natale è la ragione principale per cui è poco conosciuto al di fuori della Sassonia, ma è anche ciò che lo ha formato come uomo. Poche persone con il suo talento avrebbero sacrificato tanto per giocare a un livello così modesto, ma come dice Croy, nella vita ci sono valori più alti del successo. Così ha dichiarato in una recente intervista:

“Non ho mai rimpianto la scelta di giocare per lo Zwickau. Mi sono sempre divertito con la mia squadra, ho avuto dei grandi compagni e un clima molto professionale. Alla mia famiglia piaceva stare a Zwickau. Non mi interessava guadagnare 400 marchi in più andando a giocare a Dresda o a Lipsia. Al tempo, sentivo che era più importante essere vicino ai tifosi. Ho sempre avuto un legame speciale con questi tifosi, che mi hanno dato tanto”.

Fonti: Michael Wood (thesetpieces.com) – Wikipedia