El Salvador 1982: storia di un gol

Perdendo 10 a 1 contro l’Ungheria, la sgangherata nazionale centramericana segnò per l’eternità il suo passaggio per la Coppa del Mondo ’82, che altrimenti si sarebbe perso negli abissi delle statistiche. Proveniva da un Paese in guerra, dove per poco non fu passata per le armi al suo rientro. Storia del meno noto tra i Pelé, delle notti brave del Magico e di una raffica di mitra


Tra il 1980 e il 1992 El Salvador viene dilaniato da una guerra civile che porterà ad oltre 100.000 morti. Il 15 giugno del 1982, nel momento più cruento del conflitto, però, i soldati delle forze armate governative e i guerriglieri del Fronte Farabundo Martì accordano una tregua di 90 minuti e la guerra si ferma davanti a una partita di calcio. Quella nazionale che tutti vollero vedere, la Selecta, era solo un manipolo di ragazzini con baffi da uomo e casacche bianco e blu, ma era anche l’unico simbolo di unità, in un paese spaccato dal conflitto.

Nello stadio di Elche, a un centinaio di chilometri da Valencia, El Salvador scende in campo contro l’Ungheria, nel primo dei tre match della fase eliminatoria del Mundial ’82: nel tentativo di giocare alla pari contro gli europei, la piccola nazionale caraibica perde 10 a 1, cadendo nella più grande goleada della storia del torneo.

Eppure quel gol, il primo e unico marcato dai salvadoregni in una Coppa del Mondo, viene festeggiato come o forse più di una vittoria, tanto in campo quanto in patria: è la prova che il popolo respira ancora, nonostante lo scempio della guerra.

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La comitiva salvadoregna a Spagna 1982

L’avventura mondiale dei salvadoregni era iniziata circa una settimana prima. Dopo due giorni e mezzo tra voli, scali e preghiere, i giocatori erano atterrati a Madrid, alla pari dei vari Zico, Maradona e Platini. La corriera che li avrebbe portati in ritiro, però, era verde bianco e rossa, perché la FIFA aspettava il blasonato Messico di Hugo Sanchez, e non quegli scarni sconosciuti privi di salario dall’inizio dell’anno, i cui biglietti aerei erano stati pagati con una colletta popolare: in pochi si erano accorti che proprio a San Salvador, nell’ultima battaglia delle qualificazioni, i messicani erano caduti per 1 a 0, rimanendo esclusi.

La squadra, poi, era stata ridotta, perché alcuni dirigenti potessero viaggiare con le loro donne e intraprendere un imperdibile tour per le capitali del Vecchio Mondo. La Selecta alloggiò in un complesso residenziale nella squallida periferia di Elche, in un centro di tiro a volo, in cui ogni mattina per ironia della sorte si sarebbero svegliati al suono tristemente familiare degli spari. Non tutti avevano gli scarpini da calcio, i palloni per gli allenamenti scarseggiavano e la divisa era una sola, cosa che rendeva il classico scambio di maglie coi rivali, un lusso.

Tra spezzoni di interviste attuali e immagini di repertorio della Tv spagnola, il documentario “Uno – La Historia de un Gol”, girato nel 2010 da Carlos Moreno e Gerardo Muysohnd e reperibile in internet, racconta l’odissea di quella nazionale, il cammino verso la qualificazione in un paese in guerra, l’emozione del debutto e l’amarezza della sconfitta: al 1 a 10 con l’Ungheria seguì un più che dignitoso 0-1 con il Belgio e un combattuto 0-2 con l’Argentina di Maradona.

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Il magiaro Nylasi tra Ventura e Rivas

Il peggio doveva ancora arrivare: al ritorno in patria i giocatori vennero paradossalmente umiliati pubblicamente, per non essere stati altro che l’ennesima cenerentola sbiadita, e la maggior parte di loro, ripudiati dai propri club, non ebbe altra scelta se non quella di abbandonare il futbol e dedicarsi a sopravvivere. Alcuni dirigenti proposero addirittura l’impiccagione nello stadio della capitale, mentre l’allora diciassettenne portiere Luis Guevara Mora, l’angelo custode delle qualificazioni, nonché bersaglio favorito della gogna popolare, uscì miracolosamente illeso da un attentato in cui gli crivellarono l’auto con mitra.

Un solo nome si salvò dall’oblio: Luis Alberto Gonzalez detto El Magico, la cui gambeta non era passata inosservata ai talent scout d’oltreoceano. All’offerta milionaria del Paris Saint Germain, questi preferì il calore della curva del Cadice, i colori dell’Andalusia e le chitarre del flamenco. Amante della notte, dell’alcol e delle donne, preferirà, per sua stessa ammissione, non prendere il calcio come un lavoro, rendendo vane le avances di Real, Barcellona e di diverse italiane, tra cui l’Atalanta: «Si mangia pesce fritto a Bergamo?», chiese al suo agente. «No Magico, al massimo qualche acciuga con la polenta». «Allora rimango qui». «Provavamo a imitarlo ma era impossibile, era unico, uno dei migliori della storia» dirà un giorno Diego Armando Maradona.

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Zapata e Rodriguez

Quasi trent’anni dopo quel 15 giugno 1982, l’ex difensore Carlos Humberto Recinos avrebbe confessato che solo sul 9 a 1 per l’Ungheria smise di credere nella possibile rimonta. Racconta il capitano José Huezo detto “l’Uccellino”, che una volta negli spogliatoi, i più giovani si affrettarono ad andare sotto la doccia, per dissimulare incontenibili lacrime di avvilimento. Abituati a ben altre battaglie, i ragazzi di El Salvador erano scesi in campo per vincere, e ogni azzardata discesa in terra avversaria era stata ricambiata da un contropiede spietato. Ogni maledetta discesa, meno una: quella in cui sul 5 a 0 per i magiari, Luis Ramirez Zapata detto Pelé, segnò il gol della bandiera, gridandolo come mai aveva fatto in vita sua: alcuni compagni lo rincorrevano per festeggiare, altri, imbarazzati da tanta euforia nel mezzo di una colossale sconfitta, per placarlo.

Oggi El Salvador è una delle zone più violente al mondo. Inferno di pandillas e maras sulla rotta del narcotraffico che unisce i paesi produttori sudamericani con gli Stati Uniti. «Ogni volta che cominciano i Mondiali mi ricordo delle cose belle che successero nell’82, di tutto quello che ho vissuto con i compagni della Selecta – ricorda l’ex portiere Luis Mora – di quell’unico gol segnato capace di dare allegria alla gente almeno per un momento, e di quei 10 gol subiti, che in fondo sono la traccia incancellabile della partecipazione di El Salvador ad un mondiale».

  • Testo di Paolo Galassi – http://pangeanews.net/