Sileno Passalacqua: un dribbling lungo una vita

Dribblava e la quota ottimale di finte dipendeva dal gusto del momento. Teneva i difensori al guinzaglio, un po’ li sfotteva. E se dalla curva gli gettavano addosso una mela per spregio, la raccattava e se l’addentava, col prevedibile contorno di offesa sommossa popolare. Quelli di Borgo a Buggiano, nel Pistoiese, i pomi non li buttano, li mangiano.

Il profilo di Sileno Passalacqua calciatore ha i contorni classici degli anni ‘60 che scollinano sui 70: notevoli baffi e strapazzi sull’out destro, una corona di capelli alla Hendrix e il fisico non sottomesso alla palestra. Un tipo molto atipico, eppure solidissimo nel costruirsi un presente di lavoro dopo i tanti lustri di pallone, dalla presenza fiorentina in A nel 67-68 agli otto campionati con la Reggiana fra B e C, dalle tre stagioni di B alla Ternana fino al ritorno in massima serie col Perugia 80-81 e via tramontando.

Soubrettina in scena, concreto e umile svoltato l’ultimo angolo di carriera.

«Dopo Perugia sono sceso di categoria, a novembre dell’81 mi ha preso l’Alessandria in C1. Tempo sette-otto partite e ho litigato con Ballacci, l’allenatore, uno strano. Eravamo a Empoli e io stavo a bordo campo in attesa di subentrare. Quando uno di loro ha fatto un gol bellissimo mi è venuto spontaneo battere le mani. Sono entrato e ho dato l’assist per il pareggio. Il martedì al Moccagatta negli spogliatoi Ballacci ha cominciato a offendere: “Qui fra noi c’è un poco di buono”. Poco di buono? Gli ho chiesto: “Mister, faccia il nome”. E lui: “Sì, proprio te”. L’ho sfiorato appena con un dito e quello si è accasciato sul banchine dei massaggi».

Una ditata assassina, come Di Canio con l’arbitro Alcock.

«Neanche. Me ne sono andato a Montevarchi, di lì alla Lucchese, sempre in C2, e nell’84 ero in Seconda Categoria a Borgo a Buggiano. C’era stata una proposta e l’ho accettata: “Vengo se mi trovate un lavoro. Ma lo sapete, vero, che non ho mai lavorato?”» .

Sembra strano per un satanello che ha riempito le cronache.

«E per primo in Italia ha fatto il colpo del cucchiaio. Il vero cucchiaio che si impenna e cala a filo di traversa».

Su rigore?

«Sicuro».

Un Ternana-Genoa, nel 78. Molte prove in allenamento, primi avvisi al centravanti Giovanni De Rosa che il momento dell’esecuzione davanti al pubblico era vicino. Reazione: “Ma te sei matto”. Si fa?

«Nella finale degli Europei Europei del 76 erano andati ai rigori e Panenka, un cecoslovacco, aveva segnato col cucchiaio il gol decisivo alla Germania Ovest. Si poteva fare. A Terni vincevamo 1 a 0, partita abbastanza tranquilla. Vado sul dischetto col destro. Ricordo la palla che ci mette un quarto d’ora a entrare e Girardi, il portiere, che la guarda seduto. Una parabola molto alta, non a mezza altezza, una scavata incredibile: quello è il cucchiaio. Se ne parlò relativamente, era successo al “Liberati” di Terni mica al Bernabeu. Adesso non li fai i pallonetti, altrimenti menano. Era così, in casa facevo il frullino e in trasferta qualche calcetto volava, specie nei sottopassi. In campo mi palleggiavano, uno spingeva, l’altro colpiva. E me lo meritavo anche. Mi piaceva tenere palla, irridere l’avversario. Era carattere, non voglia di prendere in giro. Un piacere».

Altre storie. Di pressione fisica, non psicologica.

«Per un giocatore del Duemila è un problema vivere. Escluso l’aspetto economico, naturalmente».

E la faccenda della mela:

«Ero alla Reggiana, in C, nel 76-77, si giocava al Mirabello contro la Pistoiese. Il primo tempo mi marca Brio e patisce, non ce la fa a tenermi, tanto che dopo l’intervallo mi prende Stefano Di Chiara. Io giocavo al solito modo e dalla curva della Pistoiese cominciano a tirarmi delle mele: ne raccatto una e dò un morso. Ritorno a Pistoia. Perdiamo 3 a 1. A fine partita viene un signore mi allunga una cassettina da dieci mele “Tieni, mangia queste”. Lo ringraziai e portai a casa».

Sileno. Nella mitologia greca era il nome di certe creature in forma umana che nei boschi avevano fama di Satiri, ma venivano immaginati con orecchie, coda e zoccoli da cavallo. Impertinenza e corsa, spesso le due cose insieme: il conto torna abbastanza.

«Come ruolo ero tornante di destra, alla Bruno Conti, alla Roccotelli dell’Ascoli. Giocavo sulla rapidità e il movimento, nello scatto breve ero tremendo. Partendo dall’ala entravo in area e conquistavo rigori, crossavo bene. Ho fatto anche la mezza punta. Con Ulivieri, in B alla Ternana 78-79 e in A nel Perugia, ero prima punta, senza compiti precisi però. Sono stato un dribblomane, inutile girarci intorno. Se ero in giornata storta, stando sulla fascia creavo meno problemi alla squadra… Sai cosa scrisse di me Pizzul sull’intrepido? “Col suo dribbling può mettere in difficoltà qualsiasi avversario”».

Se n’era accorto pure Dino Incerti, detto Penia, osservatore di Montecatini, spiando una partita del Pescia.

«Lavorava per la Torres, ci aveva già portato Comunardo Niccolai e ci portò anche me, nel ‘65. Sette partite in C a sedici anni non sono male. E l’anno seguente venti. In viola ci sono arrivato nel ‘67 per via di un torneo estivo ad Altopascio con Inter, Milan e Fiorentina».

Stagione 67-68. Sileno gioca il mercoledì nella De Martino e la domenica nella Primavera.

«I nostri spogliatoi comunicavano con quelli della prima squadra. Mi conoscevano, ero il piccolino, amico di tutti. Un pomeriggio di marzo mi stavo cambiando e si avvicina Amarildo: “Ragazzino, metti le scarpe per me”. Erano nuove e voleva che gliele formassi. Risposta mia: “Col cazzo che mi rovino i piedi per te”. Mi chiamò Pandolfini, il responsabile del settore giovanile e mi fece una partaccia: “Io ti rimando a casa”. Invece la domenica ero in campo ed esordivo in A contro il Napoli».

È l’anno pre-scudetto. Beppe Chiappella è stato sostituito alla dodicesima giornata dal vice Andrea Bassi. Stadio Comunale. La Fiorentina schiera davanti Passalacqua, Merlo, Maraschi, De Sisti e Chiarugi, risponde il Napoli con Cané, juliano, Altafini, Sivori e Orlando.

«Si vinse 3 a 0 e diedi l’assist per un gol di Maraschi. Tutto qua».

Le riserve avevano vita grama, il tredicesimo sarebbe stato varato l’anno successivo

«…e così lo zoppo restava in campo all’ala sinistra. Nel 68-69 sono stato in prestito alla Reggiana e ho patito la pubalgia, l’unica cosa notevole del 69-70, quando mi girarono al Perugia in B e facevo il militare, è stata la doppia frattura del setto nasale. Grosso, sarà un destino ma è un altro portiere del Genoa, uscì, lo anticipai e mi beccai il pugno. Avevo preso la traversa, al momento non me n’ero accorto perché ero svenuto».

Nel 70 lo cedono definitivamente alla Reggiana. E ritrova Lamberto Boranga di Foligno. In arte portiere, nella vita un’ottima sagoma. Testimoni d’epoca sostengono di averlo visto scendere alle due di notte da una Mini in vestaglia e pigiama, entrare in un bar, ordinare un panino e ribattere agli astanti stupiti: “Che c’è? Avevo fame”.

«Abbiamo vissuto insieme a Villa Granata. Più vecchio di me, ma era un bambinone. Si doveva laureare in Biologia e gli ho scritto io la tesi a mano. Una persona stupenda. Pensa che d’inverno in partita gli portavano la tazzina di caffè, lui si accostava al palo e sorseggiava. A Palermo abbiamo perso a tre minuti dalla fine perché gli è venuto di stoppare di petto un tiro da trentacinque metri: era sulla riga di porta, la palla gli è rimbalzata davanti e l’hanno infilato sulla ribattuta».

Un evento pizzicato dalla follia, uno tra tanti. Del resto, cosa c’è di banale in una squadra che giocava con la maglia granata, i calzoncini blu e i calzettoni neri? E avete mai letto sul Panini, alla voce peso, un “kg. 67,5”? Per il jolly Passalacqua hanno fatto un’eccezione.

«Ci divertivamo. Era permesso tutto, restando professionisti, ovviamente. A Reggio sono ancora un loro beniamino, nel 75 li ho salvati dalla C. Allo spareggio con l’Alessandria, a San Siro, mio gol decisivo: ho preso palla trenta metri dentro la mia metà campo e ho finito in porta. Li ho lasciati per Terni nel 77, uno scambio fra me e Crivelli, e l’anno dopo alla Ternana è venuto Ulivieri, il miglior allenatore che abbia mai avuto, spontaneo, sincero. Bastava non essere troppo furbi, non prenderlo per il culo. Dava il massimo della fiducia e voleva essere contraccambiato, in seguito mi è mancato come punto di riferimento. Con lui nel 78-79 in B ho fatto nove gol. Il 79-80 Renzo è andato al Vicenza e io sono retrocesso con la Ternana, ci siamo rincontrati per sua volontà nel dicembre ‘80 a Perugia, in A».

Anno disgraziato, post calcioscommesse: Rossi, Della Martira e Zecchini squalificati, cinque punti di penalizzazione. Ulivieri, in rotta di collisione con alcuni giocatori, è esonerato a febbraio

«e io che ero il suo uomo giocai nove partite e basta. Poca serie A. Vuol dire che mi sono meritato questo. Certo, un paio di campionati in più avrei potuto farli. Mi è andata egregiamente così, ci sono quelli che giocano ad alti livelli e quando smettono non arrivano a comprarsi la bicicletta. È un fatto di testa».

Una lezione di misura. Se dal pulpito parla un Sileno, è bisvalida.

«A Terni mi ero messo un brillantino all’orecchio, mi era venuta l’idea perché lo portava un tennista paraguaiano, Victor Pecci. A Giulianova, lo stesso campionato della mela, mi hanno mirato con un mozzicone di sigaretta. Io non fumo ma l’ho tirato su e ho fatto un tiro. Secondo te, oggi quante giornate mi darebbero?».

Testo di Sergio Aloi – 2002

Stagione ClubPres (Reti)
1965-1967 Torres27 (0)
1967-1968 Fiorentina1 (0)
1968-1969 Reggiana9 (0)
1969-1970 Perugia12 (2)
1970-1977 Reggiana215 (23)
1977-1980 Ternana88 (18)
1980-1981 Perugia9 (0)
1981 Alessandria6 (1)
1981-1982 Montevarchi26 (5)
1982-1983 Lucchese34 (2)
1983-1984 Viareggio24 (1)
1984-1988 Borgo a Buggiano? (?)