Ruud Krol: intervista marzo 1981

Rileggiamo questa intervista di Fabio Monti a Ruud Krol, pubblicata sulla Gazzetta dello Sport nel marzo del 1981. Ecco come il freddo olandese conquistò il cuore dei napoletani

Nell’inverno più difficile della sua tormentata storia, Napoli ritrova un idolo. Un campione da applaudire e da amare; un personaggio in cui riconoscersi e per il quale esaltarsi; un calciatore a cui voler bene. Il nuovo re di Napoli non viene dal Paraguay, come accadde per Sallustro, l’eroe degli anni Trenta, che pure aveva sangue italiano; non arriva dal Brasile, come Luis Vinicio, subito battezzato «O’ Lione», perché sapeva giocare anche con il cuore; non è argentino, come Omar Enrique Sivori, «l’angelo dalla faccia sporca», sbarcato a Napoli per vendicarsi anche dei torti subiti a Torino da Heriberto Herrera. Non è neppure un portiere, come Casari o Sentimenti, Bugatti o Zoff, personaggi ugualmente amati dal pubblico partenopeo.

Il nuovo re di Napoli ha sangue nordico, come Jeppson, «mister 105 milioni», acquistato dall’Atalanta durante la presidenza di Achille Lauro. Non è uno svedese, comunque, e, altro particolare curioso, non è nemmeno un centravanti, un ruolo che ha sempre esaltato la gente di fede partenopea perché inventa i gol per vincere. Il nuovo re di Napoli, insomma, esce da ogni schema tradizionale: ha la freddezza dei nordici, è olandese, ha capelli castani e occhi azzurri, una vita privata impenetrabile, al riparo da tutto.

Eccolo il nuovo re di Napoli: è Ruud Krol, ex libero dell’Ajax di Amsterdam e del Vancouver, perno insostituibile, almeno per ora, della nazionale olandese, dove ha resistito a tutto: alle vittorie e alle sconfitte, senza mai dover andare in esilio, senza bruciarsi. Per la gente che tifa Napoli è più semplicemente «Rudy». Per ricevere i primi applausi, gli sono bastate un paio d’ore; in tre mesi ha conquistato una città; in cinque è diventato un idolo.

Piace anche perché è diverso da tutti gli altri idoli (e Napoli ne ha avuti tanti), adottati dai tifosi partenopei. Se una volta si giocava il «9» sulla ruota di Napoli, adesso è venuto di moda puntare il «5». Un campione così fa comodo in una città che vive un momento drammatico. Serve a dimenticare tante cose, a tirare avanti, a voltare pagina. Ha fatto ritrovare alla gente un po’ di sorriso.

Nei bar sotto le volte della Galleria Umberto il coro dei tifosi è unanime: «E’ dal 1926 che aspettiamo di vincere uno scudetto. Cinquantacinque anni, in cui è successo di tutto. Se questo titolo arriverà, e prima o poi dovrà pure accadere, arriverà con Krol. E’ lui l’uomo della provvidenza».

Krol non si scompone, sentendo frasi di questo genere. Ha conquistato Napoli anche con la serietà. L’elogio più bello, più sincero, più genuino, glielo fa Attila Sailustro, oggi direttore del San Paolo, che tutte le mattine arriva nel suo ufficio alle sette e mezza: «Se l’allenatore comincia alle dieci, Krol è allo stadio alle nove. Un’ora prima, per essere sempre già pronto. Si scalda, si prepara per conto suo. Un giocatore così scrupoloso, un professionista che, pur avendo vinto moltissimo, pensa sempre e solo al calcio è una novità per Napoli».

Krol e Napoli, dunque. Gli inizi non sono stati facili. Juliano lo aveva acquistato, ma lui non arrivava. Questione di permessi, di visti, di passaporto. Poi l’esordio, ad Ascoli. Tre gol sul groppone e qualche polemica. Lui se ne stava un po’ distaccato dalla gente e dalla squadra. Viveva in un albergo extra lusso, l’Excelsior, ma nessuno poteva parlare con lui. Era in un mare di silenzio.

Adesso quante cose sono cambiate! L’abbraccio fra Krol e Napoli è stato magnifico. Ora l’olandese ha messo su casa. Vive in via Orazio, in un appartamento sulla collina di Posillipo, dove sta anche il portiere del Napoli Castellini, il suo più grande amico. A Napoli, c’è anche la sua famiglia: la moglie Ivonne, che è bella, bionda, è più giovane di lui e gli prepara ottimi piatti (pollo e minestre soprattutto, in tutte le maniere) e la figlia Mabelle, che ha 9 anni e frequenta la scuola americana.

Si sposta per Napoli con la sua Citroen con targa olandese, color arancione. La gente lo riconosce, gli sorride, lo saluta, magari lo applaude, ma nessuno lo assedia. E anche questa è una novità rispetto al passato. Per lui continua ad esserci soprattutto ammirazione. I tifosi si sentono ancora in soggezione. Come avvenne nel primo campionato di Jeppson.

Eppure l’entusiasmo è grande. Nessuno vuol tormentare Kroi, però il tifo si fa sempre più insistente. Il giorno della partita la città si mette in marcia ancor prima di mezzogiorno verso lo stadio San Paolo e da varie parti si sente un unico coro: «Ru-dy, Ru-dy», che si alza in mezzo a tante bandiere azzurre. Ed è lo stesso coro che rompe i timpani quando si percorre il tunnel di Mergellina che porta allo stadio, dove diventa difficile respirare, per via dei gas di scarico, dove le macchine entrano pulite ed escono nere di fuliggine, ma dove nessuno resiste all’idea di tenere i finestrini aperti.

L’invocazione si fa addirittura ossessionante allo stadio: basta che Krol tocchi il pallone e lo rilanci, con la sua consueta abilità (un lancio di cinquanta metri, proprio sui piedi del compagno), perché il San Paolo si trasformi in una bolgia, in cui il coro «Ru-dy Ru-dy» ricorda il frastuono provocato da un aereo, al momento del decollo. Un trattamento simile, assicura chi segue il Napoli da tanti anni, non è mai stato riservato a nessuno. Un fragore così insistente e così ripetuto non lo ebbe neppure Omar Sivori, il quale, peraltro, vide il suo nome legato ad un celebre dolce, il «buondì Sivori» o ad un’affermata industria di materassi.

Ma l’attaccamento di tutta una città a Krol si manifesta anche a partita conclusa. La gente lascia le gradinate del San Paolo, ma rimane ancora un paio d’ore fuori dallo stadio. Aspetta il pullman del Napoli e come questo sbuca dalla salita del sottopassaggio, ecco riprendere il coro «Ru-dy, Ru-dy». Un coro destinato a continuare fino a tarda sera, scandito dai ragazzi con le bandiere del Napoli e che tornano a casa, usando la metropolitana.

Krol non ha rimpianti per la quiete che lo circondava ad Amsterdam e neppure per la calma ovattata di Vancouver, dove aveva una bella casa, che forse lascerà a giugno. Dice:
«Sono grato alla gente di Napoli, perché con la sua simpatia, con il suo affetto, mi ha fatto rinascere. Qui, in questa città che è davvero unica al mondo (e io di posti ne ho visti tanti) ho ritrovato la gioia di vivere e di giocare. Scendere in campo è tornato ad essere per me un divertimento. Il calcio in Olanda è in crisi. Pensate: ottantamila spettatori appena, in una giornata di campionato su tutti i campi olandesi. Qui, invece, ottantamila spettatori solo per vedere il Napoli. Ventimila tifosi in trasferta, come è accaduto per Roma-Napoli, sono cose che in Olanda non si sono mai viste, neppure per i derby fra Ajax e Fejenoord, che accendono una fiera rivalità fra le squadre di due città diverse in tutto, Amsterdam e Rotterdam. E’ stata anche la violenza a rovinar tutto. In Canada invece, era soltanto calcio accademico. E’ chiaro: gli inizi sono difficili per tutti; non è mai facile esportare uno sport, in un Paese che ha altri gusti. Però qui è tutta un’altra cosa. Altre soddisfazioni. A Napoli è tutto meraviglioso. Soprattutto la gente».

E chi tifa Napoli adesso aspetta il miracolo. Non è lo scudetto, ma un gol; di Krol, naturalmente: «Se segnasse lui — dicono in sede i dirigenti della società — succederebbe la fine del mondo. Verrebbero giù le tribune del San Paolo». E c’è chi dice che, per un evento tanto importante, si troverà il modo di dedicare una canzone a Krol, come avvenne anni fa per Sivori, per il quale furono adattati i famosi versi: «Vide…O mar quanto è ddoce».

Adesso gli allenamenti si sono trasformati in una festa. La gente lascia in pace Krol per le strade di Napoli, è rispettosa della sua vita privata e non vuole disturbarlo, perché è un campione che vuol tenersi stretto, ma al San Paolo opera un mini-assedio. Non ci sono i cinquemila che andavano a vedere Sivori e Altafini. Ma i tempi sono cambiati. Il manipolo dei fedelissimi è comunque nutrito. Basta un suo autografo, per andare a casa contenti. La gente non chiede di più. E Krol, nonostante qualcuno del Napoli voglia chiamare carabinieri o «113», esce sorridendo e accetta di mischiarsi alla gente. E’ convinto che anche questo faccia parte del suo lavoro. C’è chi lo applaude, chi lo chiama per nome, chi lo abbraccia. E lui ripete sorridendo: «Napoletani tutti grandi amici».

Poi comincia a firmare autografi. Ne firma una decina e c’è chi vorrebbe portarlo via. Ma Krol replica: «Non posso firmare solo pochi autografi. O tutti o nessuno». E va avanti, mentre c’è chi vuole la sua firma sopra una foto, chi gli dà un cappellino e chi, non trovando niente di meglio, gli dà persino un biglietto da mille lire. Krol firma, saluta, sale in macchina, se ne va, ancora fra gli applausi mentre c’è chi non perde l’occasione per scandire il suo nome.

Il segreto del successo del libero più bravo del mondo, sbarcato a Napoli quando ormai sembrava imprendibile, sta anche nella ostinazione con la quale ha deciso di imparare l’italiano. In questi mesi, Krol ha fatto progressi linguistici davvero consistenti. Rifiuta l’interprete. Ascolta le domande e risponde nella nostra lingua: «Se non fai questo sforzo — dice —, sei tagliato fuori. Non puoi mai capire il calore della gente, non potrai mai essere uno di loro». E tra un pò, forse, Krol comincerà ad imparare qualche parola di napoletano, anche se difficilmente toccherà i vertici di Canè il brasiliano dell’attacco dei tempi di Sivori e Altafini, che, assicurano, si esprimeva correttamente nella lingua di Eduardo, quasi fosse un «napoletano verace».

La prima lezione di dialetto l’ha avuto su una barca di pescatori, il giorno in cui ha deciso di andare con loro a tirar su le reti: «E’ stata una mattinata bellissima. Ho capito quanto sia favolosa questa gente. Mi hanno portato sulle loro barche e insieme siamo andati a vedere i frutti del loro lavoro. Tanto, tantissimo pesce. C’è già un gruppo di pescatori che mi ha invitato a visitare Ischia, Capri e le altre isole. Adesso non si può fare. C’è da pensare al campionato: ci sono gli allenamenti; non si può avere nessuna distrazione. Ma appena finisce il campionato andiamo tutti sul mare. Anche a Ischia. E questa volta porto mia moglie e mia figlia».

C’è anche un tifoso che ha chiesto a Krol le sue scarpe. Su questo punto, l’olandese è stato irremovibile. «Non si può fare. Le scarpe sono troppo importanti per me». In effetti ha una cura quasi maniacale delle sue scarpette. Non le affida nemmeno al magazziniere Salvatore De Paolis. In quarant’anni è il primo giocatore del Napoli che si sottrae a questa regola. Dopo ogni partita le ripulisce perfettamente; in settimana si preoccupa di cospargerle di un grasso speciale; il sabato, finalmente, le lucida. Ha sei paia di scarpe, tre per l’allenamento e tre per la partita. Uno per ogni terreno: molle, asciutto, troppo erboso.

Ma Krol, con il suo modo di essere, ha anche cambiato, in meglio, il pubblico di Napoli. La gente che va allo stadio ha paura di non essere degna del suo campione. Vuol dimostrarsi all’altezza della situazione.

A Napoli si dice che il segreto dell’eterna giovinezza di Krol (ha 32 anni, ma non pensa certo a ritirarsi), sempre più bravo, nonostante l’età, come il vino d’annata, sta in un’erba medica che riceve ogni settimana da una signora e che arriva dalla Russia.. E’ vero? Krol sorride. Non conferma, ma non nega. Tace. Forse ha ragione, certi segreti devono rimanere tali.

Ormai la gente vede in lui l’uomo che può dar corpo alla grande aspirazione di tutti, la conquista dello scudetto. Per questo lo chiama per nome. All’Olimpico, durante Roma-Napoli, tutta la curva gremita dai tifosi azzurri si mise ad invocarlo. Ma lui rimase sconcertato. Aveva equivocato. Quel coro «Ru-dy, Ru-dy» suonava alle sue orecchie come «Lu-pi, Lu-pi». E negli spogliatoi chiese perché mai i suoi tifosi avessero deciso di parteggiare per la Roma. Fu Vinazzani a spiegargli tutto: «Ma non senti che ripetono il tuo nome?» Una risposta che deve averlo commosso. «In quel momento ho capito che il mio posto è in questa città, in questa squadra, in questo angolo del mondo. Dicevano che io ero venuto a Napoli per soldi, che ormai ero un mercenario. Chi mi offriva di più, mi avrebbe potuto acquistare. Credo di aver dimostrato che non è così».

Ormai Krol non ha più nostalgia dell’Ajax, il vecchio club olandese nato il 18 maggio del ’900 in un caffè della Karverstaat, ad Amsterdam, la squadra che lo ha reso popolare in tutto il mondo. Lui si trova bene sotto il Vesuvio. E se Krol ha conquistato Napoli, Napoli ha conquistato Krol.