MAIER Sepp: matto come un gatto

Eccezionale fra i pali, il numero 1 del Bayern e della Germania dominò gli anni settanta del calcio mondiale. Tanti record e una continuità di rendimento impressionante.


Generalmente si parla di longevità quando si vive più a lungo della media della propria specie. Oltre all’aspetto tecnico, che come vedremo era di primo livello, l’esempio di indistruttibilità calcistica del tedesco Maier è solo il primo dei suoi tanti record da raccontare. Questo Atleta, portiere della nazionale tedesca e del Bayern di Monaco, fu capace di giocare col suo club, dal 1966 al 1979, la bellezza di 473 partite consecutive. In Germania un primato simile era stato ottenuto dall’attaccante del Colonia Wolfgang Overath, che si era fermato però a 409 incontri consecutivi.

Solo la sfortuna si mise di traverso; il cammino di questo fenomenale numero 1 si interruppe per un grave incidente stradale. Il 14 luglio del 1979, infatti, Maier venne estratto dalla sua macchina dopo un incredibile carambola; si ritrovò in ospedale con alcune costole incrinate, un braccio spezzato e una commozione cerebrale. Sei mesi dopo, il 12 gennaio 1980, fu costretto ad annunciare al mondo il suo ritiro definitivo dal calcio giocato dietro consiglio dei suoi medici. A nostro giudizio, senza quel tragico imprevisto avrebbe giocato, e da vincente assoluto, fino ai quarant’anni…

Sepp Maier nasce a Metten, in Baviera, il 28 febbraio 1944. Portiere lo è già nel fisico secco e lungo, che gli consente da bambino di primeggiare tra i compagni di giochi. La sua prima squadra è il TSV Haar, da dove a quattordici anni si trasferisce nelle giovanili del Bayern di Monaco. In quel vivaio si ritrova nel pieno di una fioritura di eccezionali talenti, con compagni come Beckenbauer e Gerd Müller. A diciotto anni debutta in prima squadra, diventando rapidamente titolare e partecipando alla irresistibile ascesa del club dalla serie cadetta ai vertici europei e mondiali. Col Bayern Monaco, club che non ha mai lasciato, Sepp stravince tutto, lasciando ai rivali solo le briciole. Innanzitutto quattro campionati tedeschi (1969, 1972, 1973, 1974) e quattro Coppe di Germania (1966, 1967, 1969, 1971); ma le performance migliori, quelle indelebili nella mente di tutti, sono state indiscutibilmente quelle in Coppa dei Campioni.

Maier alza al cielo il trofeo più importante d’Europa per tre volte di fila: nel 1974 (nella sudatissima doppia finale con l’Atletico Madrid, 1-1 e 4-0), nel 1975 (finale a Parigi, BayernLeeds 2-0, reti di Roth e Muller) e nel 1976 (1-0 al Saint Etienne, ancora Roth). Una tripletta che regala onori e gloria a tutti gli interpreti di quell’organico composto da calciatori e uomini eccezionali.

Personaggio divertente, sempre alla ricerca di uno scherzo o di un’occasione di risata, Sepp Maier fuori dal campo dava l’impressione di un amabile burlone. Ma sul terreno di gioco si trasformava; lo spirito di sacrificio, le ore e ore di allenamento per ogni singolo dettaglio e la voglia di migliorarsi erano i dettami fondamentali della sua vita professionale. La sua stazza (1.84 di altezza per 77 chili) non era di quelle che impressionavano gli avversari. Le uscite non erano propriamente la sua specialità, ma sulla linea di porta era fenomenale. Di certo il migliore, grazie ai suoi riflessi prodigiosi, al suo senso del piazzamento, ai suoi interventi rapidi e precisi e a una sicura presa di palla.

Per gran parte della sua carriera Sepp Maier ha la fortuna di condividere i successi con uno dei migliori difensori di tutti i tempi, quel Beckenbauer che al centro della difesa rappresente un’altra garanzia di estrema sicurezza. Questi due campioni, insieme al re dei bomber Gerd Muller, consentono alla nazionale della Germania Ovest di conquistare la storica doppietta Europei-Mondiali fra il 1972 e il 1974. In queste due ambite competizioni Maier si conferma un portiere tremendamente regolare, incapace di avere un passaggio a vuoto o un’amnesia.

L’Europeo del 1972, disputatosi in Belgio, si chiude con una finale a senso unico: Germania OvestUrss 3-0, con doppio Muller e Wimmer. Due anni dopo, nella storica Coppa del mondo giocata in casa, i tedeschi e Maier si rialzano dalla cocente sconfitta nel girone con la Germania Est (0-1) e triturano tutti gli avversari fino all’atto conclusivo con l’Olanda: 2-1 (per i tedeschi Breitner e Muller) e festa grande a Monaco di Baviera!

In Nazionale aveva fatto il suo esordio il 4 maggio 1966 in un’amichevole vinta 4-0 con l’lrlanda a Dublino, che gli vale l’inclusione nella lista dei 22 per i Mondiali inglesi, dove resta nell’ombra del titolare Tilkowski, di cui è destinato a superare di gran lunga il primato di presenze nella “Nationalmannschaft” per un portiere.

Col titolo mondiale la bacheca di Maier (che con la Germania Ovest giocò 96 volte fino al 1979) era davvero completa, anche perché dobbiamo aggiungere la Coppa delle Coppe del 1967 e l’Intercontinentale del 1976. Fu inoltre nominato tre volte miglior calciatore tedesco dell’anno (1975, 1977 e 1978); prima di lui nessun portiere aveva mai conquistato questo riconoscimento più di una volta. In nessuno di questi trionfi, tuttavia, questo ragazzo di Metten perse la sua vera natura: un professionista umile e sempre sorridente, disponibile con stampa e tifosi, cordiale e correttissimo con gli avversari. Nulla a che spartire con le tensioni e le mille polemiche che farciscono il football moderno. Ecco forse il motivo del suo progressivo allontanamento (sarebbe potuto diventare un ottimo allenatore) da questo mondo marcio: il non riconoscersi più nello sport più amato…

Quando nel 1988 gli chiedono perché ha deciso di accettare il ruolo di allenatore dei portieri nel club bavarese e rifiutato le panchine di altre squadre del massimo campionato tedesco, rispose: “Non scherziamo, un portiere l’allenatore non lo dovrebbe fare, soprattutto se sei stato uno bravo”. Alla richiesta di spiegazioni precisa: “Nella mia carriera ho sempre dovuto rispondere solo a me stesso. I portieri è meglio che facciano altro che allenare, vediamo il calcio in un modo distorto perché ci siamo sempre esaltati solo per la nostra bravura. Di tutto il resto ce ne siamo, bene o male, sempre fregati. Perché iniziare ora? I portieri restano portieri anche in panchina, non cambiano, rimangono cultori di loro stessi e non capiscono che l’occhio di un allenatore deve prima di tutto essere rivolto agli altri, a quanto avviene in campo, negli altri campi e al di fuori dal campo. Chi ha regalato spettacolo non capirà mai che in questo sport non conta il superfluo, ma la semplicità del gioco”.