Eraldo Mancin: l’uomo dei record

«Dal calcio ho avuto tanto e non ho chiesto più di tanto. L’unico rammarico è quello di non aver voluto fare l’allenatore a certi livelli»


Eraldo Mancin è uno dei sei giocatori della storia del calcio italiano ad aver vinto due scudetti consecutivi con squadre diverse, l’unico non con grossi club. Nato a Polesine Camerini, frazione della polesana Porto Tolle il 18 aprile 1945, da famiglia di agricoltori, è stato dal nonno convinto a proseguire in quel gioco del pallone che gli permetterà di avere una vita migliore rispetto a quello che poteva allora offrire la sua povera terra. Difensore del Venezia, in serie B, dopo un paio di stagioni approda alla Fiorentina (51 presenze, un solo gol) proprio sull’ultimo treno del mercato, ed è subito scudetto; il secondo della storia dei viola di mister Bruno Pesaola, detto “Il Petisso”.

Ma, un’incomprensione con il tecnico italo-argentino lo costringe a lasciare la città lambita dall’Arno per sbarcare a Cagliari. Ed anche qui, alé, ancora uno scudetto con i sardi guidati in attacco da Gigi Riva, Sergio Gori, Nenè e Da Angelo Domenghini. Sei le stagioni in Sardegna, per un totale di 114 maglie, a fronte di 4 reti, tre delle quali realizza in un sol colpo in un indimenticabile – per lui terzino fluidificante – Cagliari-Verona 4-1 (campionato 1970-71), mentre l’altra la firma ancora contro una veneta come lui, il Lanerossi Vicenza. Chiude la carriera nella Mestrina, non prima però di indossato per quattro edizioni la maglia del Pescara guidato anche dall’ex asso interista e milanista Angelillo (suo collaboratore un altro ex scudettato polesano, Saul Malatrasi, di Calto di Rovigo).

Quand’è che le è sembrato di toccare il cielo con un dito da calciatore?
“Quando ho debuttato in serie A, a “San Siro”, nel 1967, in Milan-Venezia: in quel momento si avverava un sogno che fin da piccolo cullavo”.

Com’è stata la sua infanzia?
“Un’infanzia normale, come tanti altri bambini, nulla di particolare. Venivo da una famiglia di agricoltori e fin da piccolo mi adattavo anch’io a dare una mano ai miei genitori, a papà Aldo e a mamma Clarice. Ero figlio unico e dopo 19 anni è nata una sorella. Sono stato quasi un figlio unico perché quando nacque mia sorella io giocavo in serie A nel Venezia di mister Segato, uno degli scudettati viola della stagione 1955-56, e non vivevo più dove ero nato, dove avevo trascorso l’adolescenza”.

Aveva mai pensato di vincere due scudetti di fila, per giunta con due maglie diverse e non con due grandi club?
“No, questo no sicuramente, tant’è vero che al primo anno della mia militanza a Firenze non eravamo partiti per vincere il campionato, ma, per fare invece un buon campionato. Ci siamo trovati a vincerlo e direi meritatamente”.

L’ha appagato di più lo scudetto viola o quello vinto con il Cagliari?
“Quello di Firenze perché io ho giocato 29 partite su 30 e l’unica che ho saltato è stato per squalifica. L’anno dopo, a causa di un diverbio avuto con l’allenatore Pesaola, sono stato ceduto al Cagliari e non è che l’abbia gradito tanto volentieri questo trasferimento, eh, perché a Firenze mi trovavo bene”.

Però, non è caduto dalla padella alle braci…
“Certo, ma, non è stato quello di Cagliari un anno discreto, niente di particolare; ero partito titolare, ma, non avendo quella volontà di far bene come avevo a Firenze – forse avevo mal digerito il trasferimento in Sardegna -, insomma, fatto sta che è stato un anno transitorio, ho giocato poche partite. Poi, l’anno dopo a Cagliari ho cominciato a stringere amicizie anche esterne al calcio, e devo dire che è stata la mia fortuna”.

Una tripletta memorabile, la sua, da terzino, contro il Verona, in un Cagliari-Verona 4-1 (stagione 1970-71), e un altro (ed ultimo) gol contro un’altra veneta come lei, il Lanerossi Vicenza…
“Sì, penso all’ultima o alla penultima di campionato. Due gol su azione, di destro e di sinistro, e poi ho risolto una mischia su corner a fine partita”.

Qual è stato l’avversario che l’ha fatto ammattire di più?
“Più di tutti, Amarildo: l’avevo incontrato per la prima volta a “San Siro”, lui con il Milan e io con il Venezia. Allora, si giocava a uomo, e a me fu assegnato il compito di marcare il brasiliano. Però, onestamente, non è che mi sia trovato molto bene, eh: era un fantasista, imprevedibile, difficile da marcare e, di conseguenza, più che volentieri facevo fallo. Tant’è vero che lui si era anche stancato e mi ha fatto delle cose che non è il caso di dirlo”.

Invece, il giocatore più forte assieme al quale ha giocato?
“Bé, sicuramente, Gigi Riva: un giocatore del genere, almeno a quell’epoca, non è che lo trovavi spesso in certe squadre. E Riva era sicuramente il miglior giocatore in circolazione”.

Non ha mai sognato di indossare la maglia azzurra?
“Mah, io avevo incominciato a giocare nell’Under 23, quando c’erano Valcareggi ed Helenio Herrera che allenavano anche la Nazionale Maggiore, ma, era stato l’anno in cui abbiamo disastrosamente perduto i Mondiali contro la Corea nel 1966. E, di conseguenza, tutte le Nazionali minori le avevano eliminate, salvando solo la Nazionale Maggiore. Quindi, in quel momento, uscii dal giro azzurro”.

Chi c’era, allora, come titolare nel suo ruolo nella Nazionale?
“Facchetti”.

Autoreti?
“Ne ho fatte più di qualche d’una: una a Venezia, giocando contro la Fiorentina; forse, per quello che l’anno dopo mi hanno preso i viola! E, poi, mi sembra di averne fatta una a Torino, contro la Juventus”.

Non ha mai sbagliato un calcio di rigore?
“Mah, io non ho mai tirato calci di rigore, di conseguenza, non ne ho mai sbagliati”.

Non ha un ricordo della sua Polesine Camerini?
“Ho una memoria, così, vaga, e vorrei non farla rivivere perché ho trascorso un’infanzia non delle migliori. Era un posto molto povero, che non offriva niente di particolare, di speciale, e l’unica parentesi bella che ho vissuto è stata quella del calcio. C’è stato mio nonno, il quale mi ha aiutato a giocare al calcio, e ho cominciato e continuato a giocare grazie a lui. Lui, forse, aveva il presentimento che io potessi fare strada, ed, alla fine, sono arrivato grazie a lui, ad Antonio. Come mio figlio”.

Non ha rimpianti dal punto di vista calcistico?
“No, perché ho avuto tanto e non ho chiesto più di tanto. L’unico rammarico è quello di non aver voluto fare l’allenatore a certi livelli, perché non volevo più andare in giro per l’Italia, visto che avevo iniziato a sedici anni a muovermi, ad andare via di casa da solo, e non è stato facile. Quindi, ho sofferto abbastanza da giovane e mi sono sempre ripromesso che un indomani, quando mi sistemo, mi sposo, ho i miei figli, non voglio più andare in giro. Avrei potuto magari tentare la carriera di allenatore, ma, onestamente, adesso come adesso, mi sta bene così, sono contento così”.

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LA SCHEDA

Eraldo Mancin (Porto Tolle, 18 aprile 1945)

StagioneClubPres (Reti)
1963-1965 Venezia43 (0)
1965-1966 Verona25 (1)
1966-1967 Venezia32 (0)
1967-1969 Fiorentina51 (1)
1969-1975 Cagliari114 (5)
1975-1979 Pescara74 (0)
1979-1980 Mestrina27 (0)