Il fallimento della Bulgaria a Mexico 70

Traditori e nemici del popolo: questa la sorte che toccò ai giocatori e allo staff tecnico della Bulgaria al loro rientro a Sofia dopo il deludente Mondiale messicano.

Nonostante il lancio di frutta e verdura marcia sia un’onta per una squadra nazionale che torna da un mondiale disastroso, ci sono accoglienze peggiori. Il trattamento “ortofrutticolo” ad esempio fu riservato all’Italia del 1966 all’aeroporto di Genova, dove una folla furiosa insultò e bombardò con ortaggi vari i propri “beniamini” accusati di essere pigri, avidi e presuntuosi dopo la pessima prestazione in Inghilterra.

Ma nessuno osò definire quelle stelle “cadenti” come traditori o nemici del regime, né tantomeno si avviò una campagna di persecuzione contro di loro. Questa fu invece la sorte che toccò ai giocatori e allo staff tecnico della Bulgaria al loro rientro a Sofia dopo il deludente Mondiale messicano del 1970.

La squadra olimpica bulgara che aveva conquistato l’argento solo due anni prima a Città del Messico aveva fatto sperare il Partito Comunista Bulgaro (BCP) in una buona performance della squadra nazionale ai Mondiali del 1970. Ma il calcio olimpico era una farsa, dominato dalle nazioni dell’Est grazie a una generosa interpretazione del dilettantismo, e non era affatto un indicatore sulle reali possibilità di successo in una Coppa del Mondo.

Ottobre 1969, qualificazioni mondiali: Olanda-Bulgaria 1-1. I tecnici Kessler (sinistra) e Bozhkov

La Bulgaria poteva vantare un pizzico di ottimismo grazie a una rosa dignitosa impreziosita da alcuni elementi di spicco. Il portiere Simeonov, il difensore Shalamanov, l’attaccante Yakimov e il ribelle Georgi Asparuhov erano tutti calciatori stimati in Europa. Ma a ben guardare molti di loro avevano già deluso nel fallimentare mondiale del 1966, e Yakimov e Asparuhov erano addirittura reduci dal flop del 1962.

Il mondiale del 1970 si aprì per la Bulgaria con la sfida contro il Perù, una squadra sconosciuta e sottovalutata. Dopo aver dominato per gran parte della gara e portato il risultato sul 2-0 (reti di Dermendzhiev e Bonev), i bulgari si fecero rimontare e battere 3-2 dai sudamericani, che avrebbero poi continuato a stupire nel corso del torneo.

Anche nella sfida successiva, la Bulgaria passò per prima in vantaggio con Nikodimov, ma la Germania Ovest non si lasciò intimorire e ribaltò il punteggio con un sonoro 5-2. L’ultima speranza era il Marocco, ma neanche in questo caso i bulgari riuscirono a mantenere il vantaggio e si accontentarono di un triste pareggio per 1-1.

Perù-Bulgaria 3-2

Un solo punto e l’addio al mondiale in un girone che sembrava assolutamente alla loro portata fu giudicato un risultato disastroso. Le critiche non si fecero attendere, a partire dalla campagna diffamatoria dei media statali contro la spedizione. I primi a pagare furono il presidente della Federcalcio bulgara (BFF), Nedyalko Donski, e ovviamente il ct Stefan Bozhkov. Entrambi vennero destituiti dalle loro cariche per “mancanza di responsabilità patriottica”, come riportò l’agenzia di stampa bulgara BTA. L’organo stampa ufficiale, Rabotnichesko Delo, li accusò di aver preparato male il torneo e di aver ignorato le caratteristiche degli avversari. Inoltre, aggiunse che il calcio bulgaro era in uno stato deprecabile.

A firmare le sentenza fu Georgi Georgiev, vicepresidente del Consiglio centrale dell’Unione per la cultura fisica e lo sport della Bulgaria , che si autoproclamò presidente ad interim della BFF. Forse non fu un caso che tra i benefici del ruolo ci fosse un ampio appartamento a Sofia con un efficiente riscaldamento centralizzato, una rarità nella Bulgaria di quei tempi…

Germania Ovest-Bulgaria 5-2: i capitano Gaganelow e Seeler

L’Unione sportiva annunciò con toni vaghi e diplomatici il licenziamento dell’allenatore della nazionale Stefan Bozhkov, accusato di non aver preparato adeguatamente i giocatori per il Mondiale in Messico. Il Consiglio espresse pubblicamente il suo disappunto e analizzò con severità ogni partita, evidenziando soprattutto la scarsa resistenza fisica che faceva crollare la squadra nel finale dei match: la Bulgaria non segnò mai un gol dopo il 49esimo minuto e ne subì sette su nove nella ripresa.

Stefan Bozhkov era una leggenda del calcio bulgaro, ex calciatore della nazionale e stimato da tutti, ma la sua carriera si bruciò in un attimo. Anche le porte dei club più prestigiosi si chiusero davanti a lui. Solo dopo 12 anni avrebbe trovato un’altra opportunità di guidare una squadra. Ma non fu il solo a pagare per il fiasco. I giocatori si videro sospesi i compensi pattuiti per la loro partecipazione al torneo e persero il loro status speciale di “giocatore della nazionale”. Questo significava rinunciare a una serie di privilegi, tra cui l’accesso a due negozi esclusivi di Sofia dove si potevano acquistare prodotti occidentali riservati all’élite del partito. Il comunicato ufficiale lasciò intendere che alcuni giocatori sarebbero stati esclusi dalle future convocazioni per “mancanza delle qualità necessarie” o addirittura per “attività antipartitiche”. Quest’ultima minaccia era rivolta all’attaccante Dimitar Yakimov, che aveva timidamente osato contestare la versione ufficiale e suggerito che le cause del fallimento fossero in realtà più profonde.

Yakimov aveva ragione: c’erano verità scomode sul calcio bulgaro in generale, e sulla spedizione del 1970 in particolare, che non coincidevano con la narrativa scelta dal partito al potere. La mancanza di attenzione alla resistenza e alla forma fisica era una caratteristica storica del gioco bulgaro. Questo dipendeva in parte dalla cultura calcistica, che privilegiava le doti tecniche alla potenza fisica, e in parte dalla stagnazione del campionato nazionale. Le continue e inutili riforme, fusioni e scissioni dei migliori club avevano indebolito il livello di competitività, così come determinante fu la riluttanza a introdurre una qualche forma di professionismo.

Inoltre, mentre paesi come la Jugoslavia avevano permesso ai loro migliori giocatori di trasferirsi all’estero verso la fine della loro carriera per migliorare la loro situazione economica, le autorità bulgare avevano impedito la cessione di Georgi Asparuhov al Benfica diverse stagioni prima, dimostrando che i trasferimenti lucrativi all’estero non erano un’opzione per le stelle bulgare. Ai giocatori mancava la motivazione per impegnarsi al massimo e di conseguenza per progredire nel loro gioco.

Bozhkov era da tempo insoddisfatto della scarsa intensità mostrata dalla sua squadra e aveva invano chiesto di abbreviare o almeno concludere prima il campionato per avere più tempo per prepararsi fisicamente al Messico. Un inverno rigido aveva causato molti rinvii delle partite nazionali e a marzo del 1970 si era creata una grave situazione di arretrato. Le squadre erano costrette a giocare più volte durante la settimana per recuperare le partite mancanti e questo ritmo frenetico aveva provocato una serie di infortuni ai giocatori chiave.

La federazione fu presa dal panico e decise di sospendere il campionato, ma ormai era troppo tardi. Asparuhov si era fatto male alla caviglia e questo avrebbe limitato le sue prestazioni in Messico – come era già successo quattro anni prima – mentre Shalamanov, Penev e Gaidarski erano tutti fuori forma per lo stesso motivo.

Il problema più grave fu tuttavia l’incapacità della squadra di adattarsi in anticipo alle condizioni climatiche e all’altitudine del Messico. Questa non fu una colpa dello sfortunato Bozkhov, il quale aveva chiesto di poter allenare la squadra in quelle condizioni, ma i fondi limitati gli permisero solo di portare la squadra a Belmeken nei Monti Rodopi. Quel luogo non aveva nulla a che vedere con l’alta quota e l’aria secca del Messico, anzi non era nemmeno all’estero: Belmeken è una località montana con aria umida a 140 km da Sofia.

Allenarsi lì non fu inutile, ma fu una preparazione insufficiente per la sfida ben diversa che li attendeva in Messico. Tenendo conto di questo contesto più ampio, si può capire perché i giocatori bulgari fossero così stanchi nel finale di partita rispetto agli avversari che si erano preparati meglio.

La reazione delle autorità bulgare alle complesse questioni che avevano compromesso la partecipazione alla Coppa del Mondo del 1970 fu quella tipica dei regimi comunisti oltrecortina. Tra l’incompetenza e i tentativi disperati dei funzionari del partito di accreditarsi meriti e scaricare le colpe sugli altri, il semplice fallimento sportivo non poteva essere accettato come tale. Dovevano esserci umiliazioni pubbliche ed esibizione di capri espiatori atti ad essere infangati con l’accusa di tradimento ideologico. Quando sei stato etichettato come nemico dello sport, diventi anche un nemico del popolo.

Non c’è da stupirsi se la Bulgaria non ha mai vinto un solo torneo internazionale sotto il regime comunista.