NESTA Alessandro: l’eleganza al potere

Alessandro Nesta nasce a Roma il 19 marzo 1976. É originario del quartiere di Cinecittà e proviene da una famiglia storicamente laziale. Figlio di Giuseppe, ferroviere, e Maria Laura, casalinga, entrambi originari di Collevecchio (Rieti), un pomeriggio del 1984 il padre accompagna il fratello maggiore Fernando per iscriverlo alla scuola calcio. Alessandro scoppia a piangere, sentendosi escluso, papà Giuseppe allora è costretto a sborsare altre 30 mila lire per iscrivere anche il piccolo, 8 anni appena. Alessandro mostra subito doti non comuni, Francesco Rocca – collaboratore della Roma – lo segnala a Dino Viola, presidente giallorosso che mette sul tavolo 10 milioni di lire (un’enormità per quei tempi e quella età) per calamitare il talento appena sbocciato. Sembra fatta, ma papà Giuseppe – laziale da sempre – non riesce a darsi pace. “Mio figlio con la maglia della Roma? Piuttosto morto”.

Il figlio accetta la decisione del padre, dopo aver capito che di quei 10 milioni al genitore non sarebbe andato neppure un centesimo. Giuseppe Nesta telefona alla Lazio e chiede per il figlio un provino. Detto, fatto: campo di San Basilio, 300 bambini, Alex ha 9 anni appena, l’esame è superato al primo colpo. All’inizio Alessandro gioca in mezzo al campo e anche all’ala destra, perché ha ottimi piedi, come si dice in gergo. Il futuro è tutto suo, anche quando un’improvvisa accelerazione della crescita (22 centimetri in un anno) gli causa problemi alle ginocchia e alle anche. Sono gli anni di una maturazione lenta ma evidente, in cui si cementano le amicizie vere, come quelle con Grandoni e con Di Vaio. Sono anche gli anni dei sogni a occhi aperti.

Allenata da Mimmo Caso, un tecnico duro ed esigente, la “Primavera” della Lazio spopola ovunque: «Caso era molto malato», ricorda Alessandro, «ma arrivava al campo puntualissimo, attento ai particolari, spietato con se stesso e con gli altri. Fu Caso che ci insegnò a giocare a zona. Eravamo una bella squadra, dentro di noi sentivamo di essere forti, ma lui era un incubo. Ci trattava con distacco, mai un segno di confidenza. Noi in effetti eravamo un po troppo sicuri, a volte giocavamo in punta di bulloni. Con il suo atteggiamento severo, Caso ci fece maturare. Non per nulla quella squadra vinse molto».

Il 1993 è lanno in cui viene aggregato alla prima squadra e lesordio in Serie A avviene il 13 marzo 1994 in Udinese-Lazio (partita terminata 2-2), sotto la guida di Dino Zoff. É il 78′ di gioco quando Alessandro Nesta, non ancora diciottenne, rileva Pierluigi Casiraghi e inizia a scrivere la sua storia nella Prima squadra della Capitale. In quella stessa stagione vince lo Scudetto con la Primavera. É nella stagione 1994/95 che si affaccia con più continuità alla prima squadra: gioca 11 gare mettendosi in evidenza come difensore di classe.

La stagione successiva il numero di presenze cresce a 23 e lui diventa titolare inamovibile, guadagnandosi la chiamata di Arrigo Sacchi per gli Europei in Inghilterra del 1996. Viene considerato unanimemente il miglior difensore italiano e diventa uno dei leader assoluti della Lazio di Cragnotti e della Nazionale. Nella stagione 1997/98 arriva il primo trofeo: la Lazio vince la Coppa Italia battendo il Milan ed è proprio Nesta a mettere il suo sigillo vincente sulla finale di ritorno del 29 aprile 1998. Il 6 maggio dello stesso anno, arriva una grande delusione: la finale di Coppa UEFA persa a Parigi contro lInter del Fenomeno Ronaldo. Ad addolcire la pillola arriva la convocazione per i Mondiali di Francia, ma la sfortuna è ancora in agguato: Nesta gioca solo le prime due gare ma contro lAustria, un brutto contrasto con Toni Polster, gli procura un tremendo infortunio al ginocchio lo mette fuorigioco per sette mesi.

Nesta ritorna a calcare il campo di gioco soltanto a dicembre del 98, al termine di una lunga fase di rieducazione. Le sue condizioni fisiche non sono perfette, ma con le sue prestazioni, guida ugualmente la Lazio con la fascia di capitano alla rincorsa Scudetto che però sfuma in maniera incredibile all’ultima giornata (vincerà il Milan). Il 7 marzo 1999 arriva il suo primo gol in campionato, messo a segno contro la Salernitana. Al termine della stagione però cè spazio per una grande gioia: Nesta vince i primi due trofei internazionali della Lazio e della sua carriera, la Coppa delle Coppe 1998/99, vinta al Villa Park di Birmingham contro il Mallorca, e la Supercoppa Europea conquistata contro linvincibile Manchester United a Montecarlo. La vera soddisfazione per Nesta e per i tifosi biancocelesti arriva lanno successivo, nella stagione 1999/2000, quando la Lazio conquista sia il campionato che la Coppa Italia. Nel 2000 vince anche la seconda Supercoppa Italiana ai danni dell’Inter.

Per Nesta c’è la fila: lo vogliono tutte le big italiane ed estere che bussano alla porta della Lazio con offerte esorbitanti, sempre respinte da Cragnotti. La stagione 2000/01 finisce con la Lazio al terzo posto e con l’insorgenza dei problemi economici per la società, che inizia a privarsi dei suoi assi per evitare il crollo finanziario. Nell’estate del 2002, Cragnotti è costretto a sacrificare la sua bandiera cedendolo al Milan calciatore al Milan dopo una lunghissima trattativa. Nesta lascia la Lazio con uno stipendio arretrato di 2 milioni di euro, che poi, per la metà, viene convertito in azioni del club biancoceleste per appianare in parte la voragine del bilancio laziale.

É l’ultimo atto d’amore di un campione immenso. Il 31 agosto quando la sua cessione diventa ufficiale, a Roma si scatena un vero e proprio putiferio: i tifosi biancocelesti danno vita a violenti scontri con la polizia in occasione di un’amichevole con la Juventus. Alessandro lascia Roma dopo 9 stagioni in maglia biancoceleste in cui ha vinto 6 trofei: “Il mio sogno era quello di giocare per sempre con la Lazio, ma non c’è stata la possibilità. La Lazio doveva venderci per fare cassa, ma farmi passare addirittura per uno che voleva andare via non è stato proprio carino e mi ha ferito“.

I dieci anni che seguono sono storia ben nota. Nesta, dirà in seguito, non immagina di essere arrivato in una squadra così forte: al primo colpo conquista la Champions League, segnando su rigore, nella notte di Manchester, dopo gli errori di Seedorf, Zalayeta, Kaladze e Montero. Un altro gol, quasi altrettanto importante, arriva nel 2007, quando il Milan torna sul tetto del mondo dopo diciassette anni, ed è quello che riporta i rossoneri in vantaggio sul Boca Juniors dopo il pareggio di Palacio. Dieci le reti in totale con il Diavolo, tante quante quelle di Tassotti, per chi da bambino giocava in attacco e aveva come idolo Paolo Rossi; 326 le presenze in rossonero, più di Shevchenko, Dida, Inzaghi e Massaro, per un prestigioso 23° posto nella classifica all time rossonera. Ma i numeri dicono poco, in fondo, e poco diceva lui.

Non un aizzatore di folle o un lanciatore di proclami, mai retorico, timido ma in grado di intervenire al momento giusto, quando la gravità della situazione lo richiede, che sia per scagliarsi contro il Vaticano ai tempi della Lazio, chiedendo di spegnere Radio Vaticana ai tempi della controversia sulle emissioni, per invitare la nazionale ad assumersi le sue responsabilità dopo l’eliminazione all’Europeo 2004 (finiamola di cercare sempre un Byron Moreno che giustifichi le nostre colpe) o per strigliare la squadra, con piglio da capitano, al termine di un Atalanta-Milan pareggiato nel finale (la società vieterà agli altri giocatori di presentarsi ai microfoni). Non è un caso che, tra tanti senatori ormai lontani da Milano, sia uno dei pochi a non aver accusato nessuno, scegliendo di andarsene “per rispetto della società, che altrimenti prima o poi ci deve cacciare via”.

Dei tanti anni a Milano, passati giocando alla Playstation con il compagno di stanza e amico Pirlo, è giusto ricordare non solo quelli dell’era Ancelotti, l’allenatore più importante nella carriera del nostro (che, comunque, non dimentica Zeman, “il più bravo a insegnare calcio”), ma anche gli ultimi, dove dimostra di sapersi rialzare dai continui guai fisici. L’infortunio alla spalla della stagione 2006-2007, curato nell’esilio dorato di Miami, non gli impedisce di tornare in tempo per vincere la Champions League ad Atene; quindi un nuovo soggiorno in Florida, questa volta per un guaio alla schiena procuratosi prendendo in braccio il figlio, ed il ritorno in campo per l’ultima giornata di campionato della stagione 2008-2009, quando entra al posto di Favalli e corre “come un pinguino” per un quarto d’ora. Smentendo Lotito, che gli aveva dato del “cotto”, si riprende e, con un Thiago Silva al suo fianco, torna a splendere: la doppietta messa a segno negli ultimi dieci minuti contro il Chievo, l’unica in carriera, evita una sconfitta in un momento molto difficile del Milan di Leonardo.

In quei mesi qualcuno lo vorrebbe di nuovo in nazionale, abbandonata dopo il mondiale 2006 e dopo i tanti infortuni subiti con la maglia azzurra, ma lui declina l’offerta. Prima di scegliere il Canada, dove ritrova Di Vaio, amico e compagno di squadra già a otto anni sotto la guida di Volfango Patarca, fa in tempo a vincere un secondo scudetto da protagonista e a dimostrare, all’età di 36 anni, di poter uscire a testa alta dalle sfide con il Barcellona di Messi. Calciatore romano più vincente di sempre, tra i 125 migliori giocatori viventi secondo la Fifa, miglior difensore di quel che volete voi: o, semplicemente, Alessandro Nesta.