Numerologia (e grandi interpreti) nella storia del calcio

Il numero di maglia è alle spalle, invisibile per chi lo porta, e con il tempo è stato «interiorizzato» dal calciatore, diventando la sua anima nascosta


L’importanza dei numeri, nella storia dell’uomo, è enorme. Non a caso, in passato i matematici furono spesso anche grandi filosofi e musicisti. Da quando i numeri sono comparsi sulle maglie dei giocatori (1939), anche nel calcio si fa numerologia. Un tempo i numeri erano importanti solo per una specifica individuazione dei ruoli, secondo le disposizioni tattiche. Con il passare degli anni, accanto alle specializzazioni, sono fioriti i simboli. Per cui sono diventati famosi alcuni numeri, ad esempio il 3, il 9 o il 10, solo perché appartenuti a grandi campioni.

E se il numero di maglia è alle spalle, e dovrebbe quindi avere importanza solo per il pubblico, invisibile per chi lo porta, con il tempo è stato «interiorizzato» dal calciatore, diventando la sua anima nascosta.

Come si diceva, fino al 1939 i numeri non esistevano sulle maglie dei giocatori. Ecco perché nel post riportiamo solo calciatori venuti alla ribalta dopo quella data e fino alla stagione 1995-96, l’anno dell’addio alle squadre in campo con le maglie anonime e numerate dall’1 all’11. Da allora spazio a cognomi sulle spalle e numeri in libertà dall’1 al 99, che ogni giocatore sceglie per sé e conserva per tutta la stagione.

Tralasciando volutamente il numero 1, quella che segue è una carrellata di campioni che hanno legato le loro gesta al numero di maglia indossata. Oggi si ricordano più facilmente anche grazie alla costanza con cui rivestivano «quella» maglia.


2

Da Ballarin a Djalma Santos, da Burgnich a Vogts, da Rocca a Gentile, a Bergomi. Il 2 è il numero del classico terzino nel significato antico del termine. E, come tale, a poche eccezioni, non è mai stato nobilitato da giocatori dotati di grande tecnica. Il 2 è uno dei due marcatori fissi, per cui indossano questa maglia personaggi legati al ruolo dello stopper.


3

E’ considerato il numero perfetto. È molto gradito da tedeschi e inglesi. E stata la maglia preferita del classico Cervato e di Nilton Santos ai Mondiali del ’58. Chi l’ha personalizzata e forse anche «lanciata» come maglia ambita nel grande universo pallonaro è stato però Giacinto Facchetti. Da allora è la maglia che caratterizza il terzino d’attacco, l’uomo che sfreccia sulla corsia laterale sinistra inserendosi dalle retrovie. Fino al giugno del ’74 è stato Facchetti il «dominatore» della 3. In occasione del Mondiale di Germania, presero il testimone Breitner e Krol. Cosi, fino al mondiale d’Argentina (1978), dove irruppe Antonio Cabrini dando nuovo vigore e importanza a quella maglia e a quel numero fortunato.


4

E’ stata in passato la maglia di Annovazzi e Chiappella con connotati più tipici di «costruttori» di gioco. Negli Anni 60, con l’avvento del fiorentino Bertini, dell’interista Bedin e dell’inglese Stiles, la 4 cominciò a essere identificata nella figura del mediano combattente, un mediano forte nella costituzione psicofisica e dalla grinta infinita, il classico cursore a tutto campo, anima invisibile, della squadra. Lo Juventino Beppe Furino è stato il 4 per eccellenza degli Anni 70. Lele Oriali ha «santificato» questo numero con la conquista del titolo mondiale in Spagna e poi ha ceduto scettro e gloria a Salvatore Bagni, letteralmente trasformato nel rendimento da quando Rino Marchesi gli pose questo numero sulle spalle.


5

Con l’avvento del «sistema» che soppiantò il «metodo», la maglia numero 5 diventò quella del terzino centrale e quindi fu indossata da difensori puri forti sull’uomo e soprattutto capaci di grandi «stacchi aerei» e efficaci acrobazie. Tutti ricordano la favolosa «rovesciata» di Carletto Parola (Anni 40-50). Negli Anni 60 la maglia numero 5 divenne sinonimo di stopper con Salvadore, Losi (basso di statura ma dal potente stacco), Maldini (che sarebbe poi diventato «libero»), Guarneri. E poi, a seguire. Rosato, Bellugi, fino a Collovati e Ferri. La maglia numero 5, la celebre «camisa 5», rimane famosa anche soprattutto grazie ai brasiliani che usano ancora oggi destinarla al «regista» della squadra. In Italia è diventata celebre la 5 di Falcao.


6

Questo numero prese quota con Castigliano, mitico play-maker del grande Torino. Negli Anni 50 fu nobilitata da Armando Segato e, prima di essere identificata col ruolo di libero, fu indossata da due ottimi mediani: Rino Marchesi e Giovanni Trapattoni. Armando Picchi fu il primo grande libero a vestire il 6, seguito in ordine di fama e tempo da Cera e Facchetti quando lasciò la sua 3. Gaetano Scirea è stato per anni il 6 eccellenza.


7

Il più importante dei numeri cabalistici. È il numero sacro per tutte le religioni. Nel calcio è stato il numero di Biavati, di Muccinelli, di Stanley Matthews (fino a cinquant’anni in Serie A inglese con la bellezza di 886 partite, vinse il pallone d’oro a trentotto anni!), di Ghiggia. Ha caratterizzato per più di un decennio (dalla fine degli Anni 50 all’inizio degli Anni 70) famose ali veloci e funamboliche quali Julinho, Garrincha, Hamrin, Amando, e Keegan. Nella nazionale italiana c’è una storia molto travagliata che gravita intorno alla maglia numero 7. Rivera e Mazzola la odiavano e spesso la rifiutavano, giudicando probabilmente quel numero non consono al loro prestigio. Il sopraggiungere del talento di Domenghini mise pace in quella diatriba e «Domingo» diede il via ad una tradizione di lusso di tornanti con quel numero. Causio, Bruno Conti, Donadoni hanno creato un fascino discreto intorno a quella maglia tanto bistrattata in precedenza.


8

E stata la maglia del grande Loik, di Boniperti, di Gren, del mitico Schiaffino, di Ocwirk, del favoloso Didì, del classico Dino Sani. Negli Anni 60, qui da noi, fu nobilitata da Giacomo Bulgarelli e «Totonno» Juliano, che diedero connotati di «regista» a quel numero, anche se pure Sandro Mazzola (mezzapunta) era affezionatissimo alla maglia. Marco Tardelli, alla fine degli Anni 70, diede connotati eclettici a quel numero, al punto da essere indossata a turno da centrocampisti, attaccanti e perfino terzini.


9

«Oh! Oh! Oh! Oh! Che centrattacco… Oh! Oh! Oh! Ma che cerbiatto…»: cantava così il Quartetto Cetra negli Anni 50 come per identificare il centravanti con un animale veloce e potente. La maglia numero 9 trova nel mitico Piola e nell’acrobatico Gabetto i suoi più illustri antenati. Con l’avvento di Nordahl, Jeppsson e Fontaine, è diventata la maglia dei centravanti «di sfondamento». Il gallese John Charles, con i suoi prepotenti gol di testa, ne fece un simbolo. In seguito è stata la storica maglia di Vinicio, Altafini, del «primo» Sormani e poi di Boninsegna, Gerd Muller e Chinaglia. Cinque eccezioni nella storia del 9. Ademir, numero 9 del Brasile 1950, «costruttore» di gioco nella «diagonal brasiliana»; il mitico Hidegkuti, splendido interprete di un ruolo nuovo per i primi Anni 50, il centravanti arretrato che fu, poi, magistralmente onorato da Raymond Kopa; Alfredo Di Stefano e Bobby Charlton. «Pietruzzu» Anastasi, caposcuola dei «centravanti di movimento», ha dato poi il via alla generazione dei Rossi, dei Giordano, a cui si opponevano i classici Savoldi, Graziani e Pruzzo, continuatori della scuola dei «nove di sfondamento». Sintesi di queste due scuole Alessandro Altobelli, agile e potente nello stesso tempo.


10

È la mitica maglia dei grandi calciatori. Quelli che «fanno la differenza». Dai fuoriclasse è definita la «maglia in più», quella che loro «devono» indossare anche indipendentemente da elenchi o convocazioni internazionali. Il primo giocatore italiano che ha indossato questa maglia in Nazionale è stato Peppino Meazza, nel 1939. Valentino Mazzola, quand’era ancora al Venezia, debuttò in Nazionale con la 10, il 5 aprile 1942 a Genova contro la Croazia. La 10 era la maglia di Puskas nella grande Ungheria degli Anni 50 e di Skoglund nell’Inter di Foni. Era anche la mitica maglia di Nils Liedholm ai tempi del famoso Gre-No-Li. Nomi importantissimi nella storia del calcio. Ma di fronte al primo «dieci per eccellenza» della storia, Pelé, ancora oggi tutte le generazioni viventi, da ogni parte del globo, si inchinano. Negli Anni 60 diedero ulteriore prestigio a questa maglia Amarildo, Eusebio e Van Himst. Nel nostro campionato hanno dato lustro al numero 10 Omar Sivori, Helmut Haller, Luisito Suarez e poi a seguire Rivera, De Sisti, Antognoni, Zico e infine i fantastici Platini, Maradona e Baggio.


11

Anche questa maglia appartiene alla leggenda del calcio. Cannonieri per eccellenza, dotati di grande fisico di corazziere e per tradizione grandi tiratori. Come per la 9, anche la 11 presenta eccezioni. Il tornante a sinistra (il cui primo esempio fu Zagalo, al Mondiale del ’58), adottato da alcune squadre a completamento di tattiche che prevedevano nel catenaccio e nel contropiede le metodiche basilari (vedi Mario Corso nella grande Inter); e la classica «ala sinistra», veloce e furba che si può identificare nelle caratteristiche di Gento, Juan Carlos Tacchi e più tardi nello jugoslavo Dzajic. Il primo calciatore che indossò questa maglia nella Nazionale italiana fu Colaussi. Paolo Barison fu colui che per primo diede un connotato precisamente fisico e tecnico al numero, quello che sarebbe stato di «rombo di tuono» Riva, di Pierino Prati, del «primo» Roberto Bettega e Paolo Pulici. A rappresentarlo validamente negli anni ottanta fu Aldo Serena.