Quando Rocco batteva il Milan

Nereo Rocco è stato l’allenatore più amato, se non dagli italiani, di sicuro dai tifosi di Padova e Milan. Ma prima di conquistare il cuore dei rossoneri, il Paron aveva dato dispiaceri non indifferenti alla brigata milanista.

Chiamato d’urgenza nel marzo del 1954 per salvare i patavini in pericolo di retrocessione in serie C, Paron Nereo assolse bene l’impegno tanto da gettare le basi per la promozione della stagione successiva (42 punti in 34 partite) e da compiere, quattro anni dopo, il capolavoro: terzo posto alle spalle di Juve e Fiorentina. Via lui, il Padova visse una sola stagione tra le grandi, poi precipitò. Sarebbero occorsi 32 anni per riportare la squadra in serie A.

Da Padova a Milano dove — dopo un inizio difficile (voleva andarsene, lo trattenne Andrea Rizzoli) — Rocco ha vinto tutto quello che c’era da vincere in un’epoca in cui il trio nerazzurro Moratti-Allodi-Herrera disponeva di mezzi maggiori.

Continuando a recitare la parte del «poareto», ben riuscita a Padova, Rocco arricchì la storia del Milan con due scudetti, due coppe Italia, due coppe coppa, due coppe dei campioni, una coppa intercontinentale.

Ma prima di conquistare il cuore dei tifosi rossoneri, Rocco aveva dato dispiaceri non indifferenti alla brigata milanista. Lo squadrone dei Liedholm e degli Schiaffino, dei Maldini e degli Altafini giocò sei volte all’Appiani: in quattro occasioni chinò la testa. Quattro “legnate” che lasciarono il segno e folgorarono Viani. Mastro Gipo ebbe un’intuizione felice: soltanto Nereo, l’allenatore dei «poareti», poteva essere il contraltare di Helenio, il mago dei ricchi. E così Rocco partì alla conquista della Milano rossonera.

Scagnellato, Blason, Rosa e Brighenti (l’ultimo dei quattro a lasciarci, nell’ottobre 2022) sono state le colonne di quel Padova dei miracoli. Ecco come raccontavano quelle epiche vicende, quando Rocco batteva il Milan, con estratti da interviste rilasciate nell’ottobre 1994 alla Gazzetta dello Sport, in occasione del ritorno del Padova in serie A.


«Sono stati anni felici quelli trascorsi con Rocco — esordiva Scagnellato —. Diceva che eravamo i “poareti” del calcio ma esagerava per costringerci a dare di più. Gli piaceva recitare la parte del piangina. A Padova si dice “piangere il morto per fregare il vivo”, ma qualche volta i fregati eravamo noi. Ricordo un gol irregolare di Schiaffino a Milano e un altro, non so più nemmeno segnato da chi, a Bologna. Rocco però si riteneva un allenatore fortunato e alla fine i conti tornavano sempre».

«Nereo — ricordava Blason — era un grande psicologo anche se non aveva speso tempo sui libri. Talvolta sorprendeva anche me, che ero il più vecchio della compagnia e amico di famiglia. Quando nacque mio figlio Aldo, Rocco allenava la Triestina. Al battesimo portò tutta la squadra. Mi commossi».

Ma l’impatto con il burbero e benefico Paron non fu facile per tutti. Sentite Rosa, l’argentino che poi mise su casa a Padova:

«All’inizio ho faticato. Rocco non gradiva la scuola sudamericana e io non ero un panzer di quelli che piacevano a lui. La spinta me l’hanno data i tifosi: ero diventato in fretta il loro beniamino. Rocco, bravo come nessuno a fiutare l’aria, non aveva il coraggio di mettermi fuori. Piano piano riuscii però a conquistarlo. Quando andò via fece di tutto (ma inutilmente) per portarmi con sé al Milan».

Rispetto a Rosa, Brighenti ebbe un inserimento più agevole:

«Sono stati tre campionati indimenticabili ma quante sgridate all’inizio. Rocco non ammetteva che, al primo intervento, cadessi senza reagire. Mi chiamava “carbonella” per farmi capire che, giocando così, non facevo fuoco, non ero utile. Noi — mi ripeteva — non abbiamo protezioni, dobbiamo arrangiarci, guai se non ribattiamo colpo su colpo. Imparai… Nessuno, a Padova, ha segnato quanto me. Con l’aiuto di un formidabile staff medico, Rocco ha ricostruito giocatori che sembravano destinati a scomparire».

Il Paron non fu soltanto uno psicologo un pò naif, ma anche il “papà” del catenaccio e secondo alcuni l’affossatore del bel calcio…

«Mettiamo le cose in chiaro — affermava deciso Scagnellato — i suoi concetti erano semplici: difesa bloccata e attacco veloce, libero di sbizzarrirsi e divertire con i gol. Abbiamo avuto Hamrin, Brighenti, Mariani, Perani, Milani, Rosa: tutta gente che farebbe la felicità di chi oggi gioca a zona o a uomo per i piani alti della classifica. Non fu certo un caso se a Wembley nel ’59 l’Italia pareggiò 2-2 con Brighenti e Mariani, gli attaccanti rigenerati da Nereo».

«Proprio cosi — garantiva Brighenti — noi là davanti avevamo ampia libertà. Rocco adattava gli schemi agli uomini, quindi centrocampo bloccato per proteggere una difesa piuttosto lenta».

Anche Blason, stringatissimo, si dichiarava d’accordo: «Giocavamo coperti, è vero, ma si sono fatte troppe “ciacole” sul nostro catenaccio come se l’obiettivo fosse soltanto quello di distruggere. Eppure i nostri attaccanti segnavano gol importanti».

Nel discorso tattico si inseriva a buon diritto Rosa, gran costruttore di gioco: «Rocco non usava la lavagna, non studiava astruserie. Il calcio è geometria, bisogna soltanto saper creare gli spazi. Affrontavamo le grandi in tutta tranquillità perché non avevamo nulla da perdere. Qualche minuto prima della partita scendeva negli spogliatoi il presidente Polazzi: “Ragazzi, ricordatevi che sono uomini come voi, con due piedi, due mani e due… ci siamo capiti, no? E ora mi raccomando: rispettate i suggerimenti del vostro allenatore”. Capitava che Rocco non ci dicesse niente».

La forza di quel Padova, si è scritto mille volte, nasceva nello spogliatoio. Era proprio così? Scagnellato non aveva dubbi: «Rocco aveva confidenza con tutti, sapeva prendere ognuno per il verso giusto, ma certi timori li spartiva con pochi. Anzitutto con Blason e Pin poi con Celio, Mari e il sottoscritto. A Nereo non sfuggiva nulla di quanto accadeva all’interno. Lo spogliatoio era l’anima del Padova».

Blason confermava: «Ognuno poteva dire la sua anche se l’ultima parola era naturalmente quella di Nereo».

«Eravamo davvero molto uniti — aggiungeva Brighenti — Rocco era un collante meraviglioso».

Anche Rosa, dopo i suoi inizi difficili, ammetteva: «Il Paron sapeva scherzare e sgridare al momento giusto. Quando accadeva qualcosa che non gli andava a genio se la prendeva sempre con Boscolo che era l’ultimo arrivato. Noi ridevamo perché Rocco era molto affezionato al ragazzo, che aveva voluto a tutti i costi con sé. Nereo invece non diceva niente a Moro, altrimenti quello lì avrebbe messo il muso e non avrebbe aperto bocca per un anno intero. Il cocco era Blason, ma Ivano non ne ha mai approfittato».

Il fenomeno Padova (marzo 1954-giugno 1961: gestione Rocco) era diventato tale anche per i successi ottenuti a spese delle grandi, Milan in testa. Ma come vivevano i panzer quelle difficili domeniche?

«Dove non arrivava Rocco — sorrideva Scagnellato — arrivava l’Appiani. Lo stadio era davvero il nostro uomo in più. Caricava noi, frastornava avversari e arbitro. Allora non c’era la tv, potevamo mollare qualche pizziccotto e farla franca. Le vittorie con il Milan furono però sempre limpide come il 4-1 dell’ottobre del 1960. Tre gol di Milani, una festa che nemmeno l’autorete di Blason rovinò. In quel Milan c’erano Liedholm, Maldini, Rivera, Galli, Altafini…».

«Ricordo — aggiungeva Blason — soprattutto le partite difficili e quelle con il Milan erano difficilissime. Pranzavamo in trattoria, da Cavalca, e andavamo allo stadio a piedi. Rocco mi prendeva sottobraccio e mi chiedeva che cosa pensassi. “Nereo, tutto quello che viene oggi è buono, ma stai tranquillo che non ti faremo fare brutta figura”. Lo accontentavamo quasi sempre».

«Suonare il Milan — ridacchiava Brighenti — aveva un significato particolare per Rocco soprattutto negli ultimi tempi padovani. Ci teneva a fare bella figura con Viani, un amico importante che era già diventato padrone di almeno mezza Milano calcistica. Le vittorie lanciarono Nereo nel grande calcio: dalla nazionale olimpica al Milan».

Rosa, il gran maestro di regia, legava invece il suo nome a un successo che lo vide andare in gol: «Era il novembre del 1959. Battemmo il Milan in quattro minuti. Segnai io alla mezz’ora, replicò Tortul pochi istanti dopo. Davanti ai nostri tifosi eravamo grandi. “Poareti” erano gli altri…».

I quattro successi del Paron sul Milan

14/10/56: Padova-Milan 2-0
Reti: 57′ Moro, 85’ Coppola
PADOVA: Pin, Blason, Scagnellato, Zanon, Sarti, S. Moro, Rosa, Pison, Bonistalli, Chiumento, Coppola – All.: Rocco
MILAN: Soldan, C. Maldini, Zagatti, Fontana, Zannier, Beraldo, Bredesen, Bagnoli, C. Galli, Schiaffino, Bean – All.: Viani
Arbitro: Stoltz (Austria)
06/04/58: Padova-Milan 3-2
Reti: 17′ e 18′ Brighenti, 55′ Grillo, 75′ rig. Moro, 90′ A. Mariani
PADOVA: Pin, Blason, Scagnellato, Chiumento, Azzini, Moro, Hamrin, Rosa, Brighenti, Mari, Turatti – All.: Rocco
MILAN: Buffon, Zagatti, Beraldo, Bergamaschi, C. Maldini, L. Radice II, A. Mariani, Liedholm I, Grillo, Fontana, Danova – All.: Viani
Arbitro: Maurelli
15/11/59: Padova-Milan 2-0
Reti: 29′ Brighenti, 33′ Tortul
PADOVA: Pin, Cervato, Scagnellato, Gasperi, Zannier, Mari, Perani, Rosa, Brighenti, Tortul, Celio I – All.: Rocco
MILAN: Ghezzi, Fontana, Trebbi, Liedholm I, C. Maldini, Occhetta, P. Ferrario, Altafini, C. Galli, Grillo, Bean – All.: Bonizzoni – DT: Viani
Arbitro: Lo Bello
02/10/60: Padova-Milan 4-1
Reti: 19′ Milani, 70′ Tortul, 74′ aut. Salvadore I, 76′ aut. Blason, 81′ Milani
PADOVA: Pin, Blason, Cervato, Barbolini, Azzini, Scagnellato, Tortul, Rosa, Milani, Celio I, Agnoletto – All.: Rocco
MILAN: Ghezzi, C. Maldini, Trebbi, Liedholm I, Salvadore I, David, Rivera, C. Galli, Altafini, Ronzon IV, Barison – All.: Todeschini – DT: Viani
Arbitro: Lo Bello

Fonti: Gazzetta dello Sport; magliarossonera.it per i tabellini