Bruno Pesaola – Intervista ottobre 1987

Dal Guerin Sportivo – Ottobre 1987

HA VINTO LO SCUDETTO CON LA FIORENTINA, LA COPPA ITALIA COL NAPOLI E COL BOLOGNA. OGGI VIVE QUASI DA DIMENTICATO. «TUTTI PENSANO Al PROPRI INTERESSI, È DIVENTATO UN MONDO DI LUPI»

NAPOLI. Come si scende ai livelli di gente dimenticata, cui il telefono non squilla più? Da via San Domenico, dove Napoli resta un prelievo di attrattive turistiche, la voce cantilenante di Bruno Pesaola tira fiondate sul calcio italiano. Ma ci sono pure i guizzi umoristici, la capacità di autocritica, i ricordi a raffica, la frantumazione sentimentale. i mutamenti del nostro contesto sociale in quasi trent’anni.

Abrogato per sempre o condannato all’attesa, Petisso è incapace di amministrare con prudenza energie e slanci. Mai stato interscambiabile. Impossibile omologarlo, confinandolo tra i personaggi stravaganti dell’Italia trapassata. Ecco l’accensione improvvisa dietro al fumo della sigaretta. «Per i festeggiamenti della Fiorentina che compiva i 60 anni non sono stato neppure invitato, forse era difficile accorgersi che sono vivo… Mancavamo soltanto io e il povero Fulvio Bernardini, pace all’anima sua…».

Se il football è tra l’altro un sistema di segni, un linguaggio, devo ammettere che è già andato in gol con un umorismo amaro. Pasolini diceva che ogni gol è una sovversione del codice, una ineluttabilità, la stupita irreversibilità d’un attimo. Pesaola dice che ha imparato a dribblare se stesso, a fare catenaccio su se stesso, lungo il rosario di giorni tutti eguali. Triangoliamo insieme con ampia facoltà di sintassi.

Detta il passaggio smarcante: «Quando andavo di moda, ho avuto forse la colpa di non sfruttare la riconoscenza che avevo intorno. Non sono stato agganciato a nessun carro, procedevo alla larga dai potenti bisognosi di adulatori, di ruffiani. Un tecnico sciolto, difficile da irreggimentare. Un tecnico appassionato, anche se badavo a sdrammatizzare i comportamenti in ogni momento. Oggi gli allenatori non ridono più; sono solenni, irascibili, allevati in serie. Oggi pure i calciatori, a parte qualche straordinaria eccezione, hanno estri azzerati, sembrano usciti dallo stesso computer».

Le idee non gli si sono asciugate. Pratica un calcio in prosa dall’osservatorio della città che lo ha adottato. Napoli e Petisso. Napoli sullo sfondo del signore brevilineo, sessantunenne. proprietario di ingombranti malinconie nella casa tropo vuota. Via libera allo «stop», senza sbavature, sugli affetti.

Riflette: «Ho mio figlio Roberto Diego che è dottore in spettacolo…. Eh, sì, gira da attore, da regista, ci vogliamo un gran bene, siamo rimasti noi due. Io non ho mai intralciato la sua vocazione. Adesso è impegnato con Gianni Morandi nello sceneggiato televisivo “Voglia di volare” e si è legato al Teatro Stabile di Sanremo. Certamente, lo vorrei più vicino… Però mi rendo conto che un padre non può essere egoista. E allora provo a distrarmi da spettatore al San Paolo, nei dintorni… Ma rare sono le partite emozionanti, le sequenze divertenti. Prevale il dio danaro, lo scatto verso i soldi: tanti, maledetti e subito… In giro le passioni sono soffocate. Troppi elementi estranei sono entrali nel giocattolo, anzi ne hanno preso possesso. Io non voglio cadere nel piagnisteo, cominciando a ripetere che ai miei tempi la musica era diversa, gradevolissima. Però qui si corre il rischio di rovinare il fenomeno di dimensioni mondiali, l’espressione di un aspetto importante della cultura popolare. Chi gestisce ha commesso errori spaventosi, le società hanno preso l’abitudine di fare il passo più lungo della gamba, gli sponsor hanno contribuito ad esasperare il professionismo, i direttori sportivi decidono, cancellano, lasciano rovine alle loro spalle. Sono addirittura loro a scegliere gli allenatori e naturalmente preferiscono i più malleabili. Una volta eravamo noi a cercare l’aiuto di qualche manager fidato. Se capovolto il sistema, si salvi chi può… Personalmente non ho mai lavorato dove c’era da sprecare. E mi chiamavano laddove bisognava confrontarsi con precise difficoltà finanziarie. Con Montanari, al Bologna, abbiamo dato 7-8 miliardi di capitale giocatori, regolarmente incassati dalle vendite di fine stagione. Eravamo mosche bianche. Acqua passata. Troppi addetti ai lavori hanno la memoria corta. Inevitabile che sia turbato da domande alle quali non so dare risposta. Da tanto non mi cercano, chissà cosa devo espiare… Sono in letargo a oltranza. L’ultima chiamata risale a quattro stagioni fa: esonerato Giacomini, presi il Napoli nei bassifondi e lo salvai, rincollando amorevolmente i cocci. Riemerso dal 30 novembre 1982 al 20 giugno 1983. Poi il silenzio, prescindendo da un breve tentativo col Campania, nel ruolo di direttore generale. Tentativo fallito in fretta: non c’erano strutture adeguate, non c’è la possibilità di avere due grandi squadre nella città del Golfo».

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GIOCATORE

Caro Petisso, uomo solo. Artista cui manca il copione preferito da recitare, la mossa furba da effettuare per dare scacco matto alla panchina nemica. Commediante a riposo forzato. Mimo indimenticabile della nostra giovinezza. Mago chiuso sottochiave, incapace di vendersi, di farsi vedere con questo e con quello, di raccomandare la bontà del proprio prodotto, di rovesciare in faccia all’indifferenza dei contemporanei i successi archiviati, perché il calcio è diventato un dare per avere; uno sfruttarsi a vicenda. perché nel calcio funzionano le mistificazioni, le bugie, le pubbliche relazioni, «mentre a me è sempre piaciuto correre da indipendente, decidere con la testa e con il cuore, andare, riandare. Fiorentina, Bologna, Panathinaikos, Siracusa, tantissimo Napoli. Più di cinquecento domeniche amate, sofferte, bruciate attimo dopo attimo. Domeniche da cinquanta sigarette con dentro l’ineliminabile desiderio di vincere. Domeniche d’inferno o paradiso. Io non ho avuto il privilegiato soccorso di uno sponsor. Davo retta agli impulsi, ai brividi del sangue, alle inseparabili superstizioni…».

Caro Petisso, uomo solo. Arriva dall’Argentina nel 1947, piccola ala sinistra a disposizione della Roma. È appena nato il concorso Miss Italia: quella Lucia Bosè è uno stravedere di femmina. Un trattato di pace firmato a Parigi ha da poco definito i nuovi confini tra noi, la Jugoslavia, la Francia. Terracini è presidente dell’Assemblea Costituente, De Gasperi ha formato il quarto governo dal quale sono escluse le sinistre; Portella delle Ginestre è macabro teatro d’una strage contro militanti in festa, ed opera della banda Giuliano. Vai in dribbling, Petisso. I tifosi giallorossi memorizzano il passo doppio del mini-emigrante di Avellaneda insieme ai paragrafi della Costituzione pubblicata dalla Gazzetta Ufficiale. Lui, il virtuoso genio e sregolatezza, combatte la nostalgia di Baires e del River Plate, con notti bianche al tavolo del poker. Dentro una coppa di champagne distingue la casa dell’infanzia, le abitudini da cui è stato sradicato, i tanghi ballati nelle feste dei primi fidanza-menti. E intelligente, percettivo, compagnone. E pieno di curiosità esistenziali. E un prosatore da stadio, che d’incanto inventa versi folgoranti.

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ALLENATORE

Otto stagioni di ricami, prodezze, rovesci, mandolinate, Pesaola parla, propone, promette con il talento maschio del self-made-man che é tuttora il suo incubo e il suo orgoglio. Pesaola per i giornalisti è oro colato. Riesce immancabilmente a dare lo spunto per il titolo, nelle interviste. È immaginifico. Non può che diventare allenatore, nell’epoca di quel vecchio goliardo mitteleuropeo di Nereo Rocco. E difatti, chiusa la carriera calcistica col Genoa nel 1960-61, l’attesa è roba da ridere.

A Napoli non sfugge lo spessore umano dell’ex ala sinistra. Giusto tenerlo a battesimo nel nuovo mestiere che non è un mestiere e chissà cos’è. Pesaola può diventare il «pater familias». L’impegno che accetta è arduo: i partenopei stanno rischiando il degrado della Serie C, hanno una squadra che somiglia all’armata Brancaleone e sguazza in fondo alla classifica dei cadetti. Ci pensa il Petisso. Lo definiscono argutamente «l’ultima Madonna di Pompei». Amico di tutti, tutti gli sono amici. Confessore dei giocatori, fine psicologo, tatticista di fulminee intuizioni. Napoli lo innalza a carismatico capitano di avventura. Napoli canta: si resta in B e nella tornata successiva si piomba in A.

«Con l’aggiunta — precisa puntiglioso — di una Coppa Italia conquistata. Altro calcio, altri periodi, altri protagonisti. Ci sentiamo in piena commedia dell’arte e io recito nei panni dello scanzonato. In realtà sgobbo con fervore, a dispetto di ingannevoli apparenze. Così, la settimana è illuminata dai fuochi d’artificio di gustose polemiche. Liti tra galantuomini provvisti del bene dell’ironia. E al gran ballo dialettico, che aiuta le tirature dei giornali sportivi, partecipano tipi irripetibili. Quando avremo più un Helenio Herrera, un Viani, uno Scopigno? Sanno documentarsi con rigorosa applicazione, non restano seduti sugli allori, cercano novità con impennate d’estro. Adesso le forze tecniche, a parte qualche caso fortunato, si sono equilibrate in peggio. Adesso tutto quanto precede la partita non è divertimento, è Via Crucis… E si gioca generalmente peggio, e le polemiche lasciano ruggini durevoli. Noi fingevamo d’arrabbiarci e poi, scavalcato l’appuntamento che aveva determinato i duelli, andavamo a fraternizzare ai tavoli dei migliori ristoranti».

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RICORDI

Controllo alcune foto. Petisso coi capelli arruffati, le ciglia folte, la cravatta allentata, i rituali mozziconi di sigaretta ai piedi. «Non portavo sulla panca cerini o accendisigari o bricchetti. Utilizzavo la brace di quanto avevo appena fumato. Ormai mi sono calmato: non c’è più motivo di superare il livello di guardia del pacchetto quotidiano…».

Chi ha ancora bisogno di Bruno Pesaola? Esiste un «padrone del pallone» intenzionato a ripescarlo, prima del crepuscolo? Chi scrive vuole crederlo. Chi scrive riesce mentalmente ad allineare le sue medaglie al valore calcistico: uno scudetto e sei partite di Coppa dei Campioni alla guida della Fiorentina; due promozioni in A, due Coppe Italia, una Coppa delle Alpi, una semifinale di Coppa delle Coppe, un secondo posto in campionato da stratega del Napoli, ancora una Coppa Italia dal ponte di comando di un vecchio Bologna.

Significativi successi che avrebbero meritato di essere celebrati coi megafoni della vanità. Invece li ha dispersi in allegria e brontola: «Ho la coscienza a posto. Non ho nemici, ho spesso aiutato conoscenti bisognosi. Sono sostanzialmente un ingenuo. Lo psicologo Luigi De Maio, quando allenavo il Napoli di Sivori e Altafini, aggiungeva che so però rendere semplici le cose complesse, trasformando il pianto in sorriso, l’infelicità in gioia. A Napoli trovo manifestazioni di continua simpatia. E mi commuovo come quando al Centro Paradiso di Soccavo ricevetti la targa d’argento con una panchina incisa, per festeggiare la cinque centesima partita in Serie A. È stato bellissimo. Sono un argentino-napoletano che invecchia tifando Maradona. Gli azzurri di Bianchi saranno l’unica alternativa 1986-87 al solito strapotere juventino. Quando c’è in scena Diego ogni spettatore si convince di aver speso bene i propri denari».

Che altro possiamo rammentare nel riassunto di due ore? Ah, sì, c’è il Pesaola «fiorentino» che in Coppa dei Campioni passa addirittura a Kiev davanti agli occhi sbigottiti degli innamorati della Dinamo. E c’è il Pesaola «bolognese» che regala football raffinato, bilanci che quadrano. «Mi pareva normale fare esclusivamente gli interessi della società petroniana. Oggi la maggioranza dei colleghi si batte soprattutto per i propri interessi. Pazienza, sono sceso dalla giostra, il rischio era contemplato. Beato chi riesce a durare a divertirsi fino all’ultimo. Beato Boniperti che regge la Juve ineguagliabile senza logorarsi. Da giocatore ho battuto Giampiero tre volte, cominciando dal 6 dicembre 1959, data di inaugurazione del “San Paolo” : 2-1 reti di Vitali, Del Vecchio, e per i bianconeri segnò Cervato su rigore…».

Basta cosi. È quasi sera. Petisso tra poco si recherà a Via dei Mille prima della cena un po’ svogliato alla «Sacrestia». Calcio ingrato. Ha telefonato qualcuno?

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