ROCCA Francesco: tutto per la Roma

Nasce a S.Vito Romano nel 1954 dove inizia a dare i primi calci al pallone, giocando come ala sinistra. Poi il passaggio nelle giovanili del Genazzano dove viene adocchiato da Gaetano Anzalone, futuro presidente ma allepoca responsabile delle giovanili della Roma.
«Stavo per finire alla Juventus e l’affare andò a monte per un soffio. Ricordo, avevo 17 anni quando venne a vedermi Locatelli, osservatore della Juventus. Allora giocavo nella squadra del “Bettini Quadraro” come prestito del Genazzano dove ho cominciato a tirare i primi calci. Locatelli mi chiese se avessi gradito un trasferimento a Torino. Non ci pensai due volte a rispondere che ne sarei stato entusiasta. Ma nel frattempo la Roma aveva già acquistato il mio cartellino dal Genazzano per la cifra di 4 milioni»

E così Francesco arriva nella primavera della squadra giallorossa. Ha diciannove anni ed Herrera lo convoca come giovane panchinaro. Del resto è un terzino che piace al mago; è veloce ed offensivo, proprio le qualità che Herrera cerca. Così lo butta nella mischia a S.Siro il 25 marzo del 1973 contro il Milan. «Herrera mi notò durante una partita che la squadra Berretti della Roma disputò contro il Civitavecchia. Era venuto ad osservare le condizioni di Cordova, inserito per l’occasione nella nostra Berretti. Il sabato successivo alla vigilia di Roma-Varese sostenni il primo allenamento con la squadra titolare. Anche se non scesi in campo fu per me un gran giorno. Successivamente disputai quattro partite del torneo anglo-italiano. Finalmente il 25 aprile del 1973 esordii in serie A. A San Siro contro il Milan. Perdemmo per 3-1. Mi dissero che avevo giocato bene ma ciò non servì a consolarmi. Mi sarebbe piaciuto cominciare con un successo».

Quell’anno giocherà ancora due scampoli di partite ma la grande occasione arriverà lanno dopo.Agli osservatori Rocca appare subito come un giocatore di grande interesse. Molti, però, ritengono che il suo gioco esuberante, impostato prevalentemente sulla velocità, non sia adatto per un tipo di manovra ragionata. Sarebbe stato necessario un tecnico dotato di talento ma soprattutto di pazienza per plasmare e dare un tono più razionale alle grosse risorse di Rocca. Alla Roma arriva Nils Liedholm che vuole rivoluzionare la squadra con il gioco a zona, novità made in Holand. Francesco si adatta agli schemi dellallenatore e la sua velocità è la base del calcio che vuole Liedholm.

Il tecnico capisce anche la sua personalità e diventa un vero e proprio maestro di vita. E veloce ma sicuramente non potente ed ecco che sotto la guida del Barone Francesco acquista anche una forza che lo renderà protagonista. «Liedholm mi ha consentito di svilupparmi atleticamente, per la prima volta mi ha latto allenare con i pesi; siamo stati per ore intere a palleggiare, ad effettuare cross. Se sono migliorato tecnicamente lo devo esclusivamente a lui. Ero un mediano. Liedholm mi ha insegnato come si gioca nel ruolo di terzino-centrocampista, a marcare l’uomo e a spingermi avanti al momento giusto. Aveva ragione lui. Le mie doti in questo modo risaltano di più. Ora sono più calmo. Ho imparato a ragionare»

Il suo campionato è ottimo ed è ormai titolare a tutti gli effetti; il pubblico romano comincia ad amarlo e conia il soprannome di Kawasaki, come le potenti moto giapponesi in voga in quel periodo. Anche la nazionale di Bernardini si accorge di lui. Il debutto in azzurro in quella trasferta in Jugoslavia dove l’Italia rinasce dalle ceneri del mondiale tedesco. Bernardini vede in lui il terzino moderno, non semplice marcatore ma protagonista a tutto campo, pronto a fluire sulla fascia. Per Francesco è una soddisfazione incredibile, lui giallorosso in una nazionale che vede solo bianconeri e milanisti.

La Roma intanto diventa protagonista e nel campionato 1975/76 giunge terza, mai così bene dai tempi dello scudetto. La difesa è la meno battuta, solo con quindici reti. In nazionale è sua la maglia numero tre, giocando insieme o a Gentile o a Tardelli in un Italia di Bernadini ancora sperimentale, ma dove le uniche certezze sono solo Zoff e lui. Arriva anche la soddisfazione della rete in azzurro, nella partita contro la Selezione USA che schiera Pelè e Chianglia nel torneo del Bicentenario. E’ un’azione tipica di Francesco che ruba la palla a centro campo e fugge sulla fascia travolgendo i difensori americani e poi di forza infilza in rete.

I suoi problemi iniziano il 10 ottobre del 1976, nel corso di Cesena-Roma. Francesco, che ama molto il calcio inglese, è soddisfatto, perché per la prima volta, le mute indossate dalla Roma sono proprio, made in England. Dopo tre minuti di gioco, la palla termina oltre la linea dell’out, lui si affretta al recupero, ma da dietro, in scivolata, un avversario lo colpisce all’altezza della parte superiore del polpaccio. Non tanto l’intensità dell’urto, quanto il movimento anomalo fatto dall’articolazione, provocano una flessione ed una estensione quasi simultanee. Il terzino avverte un dolorino, ma non ci fa quasi caso, finisce la gara risultando fra i migliori in campo. La notte successiva però, non riesce a prendere sonno per il dolore. Il ginocchio si gonfia. Disgraziatamente, il 16 ottobre, è in programma una maledetta gara del girone di qualificazione al mondiale argentino, contro il Lussemburgo. La visita medica conferma che il ragazzo può giocare, resta tre giorni immobile, poi si sottopone ad un provino e scende in campo.

Gioca molto male e i giornali sparano a zero su di lui. Dopo due giorni, torna al campo di allenamento del Tre Fontane, avverte dolore al ginocchio già prima di entrare in campo, ma dopo venti minuti, quando carica il peso del corpo sulla parte dolorante, i legamenti del ginocchio sinistro cedono. «Se mi fossi fermato in tempo, – dichiarò Rocca anni dopo – non mi sarebbe accaduto quello che mi è successo. Non avrei dovuto dare retta a chi mi disse di andare a giocare in Nazionale in quelle condizioni».

Inizia così una difficile fase di recupero, che lo riporta all’attività nel gennaio del 1977. Ancora alcuni mesi di preparazione e, nell’aprile dello stesso anno, fa nuovamente il suo ritorno in campo contro il Perugia. A luglio, però, mentre è con la squadra nel ritiro di Norcia, il ginocchio torna a gonfiarsi. Il 10 agosto, il 15 settembre e il 29 giugno 1978, affronta tre nuovi interventi chirurgici. Il calvario, lo priva di una convocazione mondiale che, solo pochi mesi prima, appariva assolutamente scontata.

Enzo Bearzot commenterà: «Chi, più di Francesco Rocca, sarebbe stato l’uomo ideale per la mia Nazionale? Un fisico da leone, un fiato da vendere, uno stantuffo che mi avrebbe permesso di marcare con durezza un uomo e di piantare una spina nel fianco di qualunque difesa. Lo perdiamo per via di un ginocchio a pezzi dopo che avevo deciso che lui era uno dei punti fermi della mia Nazionale». Quando il 22 ottobre 1978, Francesco riesce a riconquistare la maglia di titolare della Roma, si parla di miracolo della volontà. Lui passa il tempo chino sui sacchetti di sabbia per aumentare il tono muscolare.

Il 14 dicembre 1980, si gioca Fiorentina – Roma, con i nostri in piena lotta per il titolo. Liedholm gli dice di tenersi pronto, tocca di nuovo a lui. Per Rocca significa toccare il cielo con un dito, ma il giorno dopo il ginocchio torna a gonfiarsi, è il segno incontrovertibile che è giunta l’ora di dire basta. Il 29 agosto 1981, in una commovente amichevole contro il Porto Alegre, Francesco Rocca, il più grande cursore della storia della Roma, lascia per sempre i terreni di gioco. In un’atmosfera carica di emotività, dopo circa quindici minuti, su speciale autorizzazione della Lega, l’arbitro Ciulli sospende la gara per consentire al presidente Viola di consegnare una medaglia d’oro a Rocca mentre i compagni donano all’indimenticabile amico un Trofeo d’argento recante le loro firme incise e quella di Liedholm. Migliaia di voci rauche invocano il nome di Francesco che non riesce a trattenere le lacrime, come accade a tanti spettatori dell’Olimpico. Rocca saluta con le braccia alzate, la luce dei riflettori rende ancora più pallido il suo volto teso e commosso. Poi scompare nel sottopassaggio lasciando il posto a Spinosi.

Inizia la collaborazione con la Roma alla guida del NAGC. In questa veste rischia di firmare un colpo storico quando avalla un investimento di 10 milioni per l’acquisto di un bambino del Cinecittà, Alessandro Nesta. Diplomato ISEF, nel 1983, ottiene il patentino di prima categoria, e nel frattempo, una volta alla settimana, continua ad allenarsi con i suoi vecchi compagni. A maggio la Roma vince lo scudetto, Luciano Bertolani gli chiede di scrivere una prefazione al suo libro celebrativo, che Francesco inizia così: «Scusate se, forse un po’ a torto, considero anche miei i successi della Roma. Non voglio sembrare irriverente né togliere meriti a tutti quelli che hanno fatto grande la squadra, ma non riesco a parlare della Roma come se ormai fosse staccata da me(…) Come non pensare oggi che soltanto la sfortuna mi ha portato via la gioia più grande?».

Intanto, però, il suo rapporto con la dirigenza romanista va logorandosi, fino a quando Kawasaky svuota definitivamente il suo armadietto a Trigoria: «Sono un po’ introverso, la solitudine mi affascina, ho sempre risolto da solo i miei problemi nel bene e nel male. Non mi sono mai sentito perduto, ma quella volta si. Fu terribile». Una proposta di Artemio Franchi lo porta nello staff azzurro. Gli vengono affidate la Nazionale Under 15, quella Militare (con cui conquista due titoli di Campione del mondo nell’87 e nell’89) e l’Olimpica (Seul 88′). Quindi affiancherà, con vari incarichi, tutta la nomenclatura azzurra, da Maldini nell’Under 21 a Zoff nell’Olimpica, fino a Vicini, Sacchi (93-95), e ancora, dall’agosto del 1998, Zoff e Trapattoni, che lo definirà: «il mio braccio destro». Poi ancora le varie nazionali Under (15, 16, 19 e 20) con tante soddisfazioni sia di risultati che di giovani valorizzati ma il definitivo premio alle sue qualità, la Nazionale maggiore, non è ancora arrivato. Ma Francesco Rocca, come sempre, può attendere…