SERIE A 1932/33: JUVENTUS

La Juventus conquista il suo quinto scudetto, terzo consecutivo. Capocannoniere Felice Borel con 29 gol. Retrocedono Bari e Pro Patria. Contendono il tiolo ai bianconeri prima il Bologna, che cede alla distanza, poi la rinnovata Ambrosiana-Inter.

Breve storia del Campionato

Il nuovo presidente dell’Ambrosiana, Fernando Pozzani, soprannominato “il generale Po”, ha puntato in alto. Ha cambiato la divisa della squadra, eliminando gli scacchi bianco-neri che ricordavano la fusione con la Milanese, e ha ripristinato il nome originario, “AmbrosianaInter”, per accontentare i tifosi più fedeli. Ha anche rinnovato la rosa con un gruppo di campioni: il portiere Ceresoli, la mezzala argentina Demaria, l’ala uruguaiana Frione, l’attaccante azzurro Mihalic e lo sfondatore Levratto. Ma è il Napoli del paraguaiano Sallustro a partire alla grande, battendo la Juve alla terza giornata e conquistando il primo posto.

Dopo la sconfitta sotto il Vesuvio, però, la Juve inizia una serie di nove vittorie di fila. I bianconeri perdono a Firenze, ma hanno trovato la chiave del torneo e non lasceranno più la testa della classifica. Dietro di loro, si fanno strada l’Ambrosiana, che cresce dopo il rodaggio, e il Bologna, che cederà alla distanza. I bianconeri di Carcano conquistano il titolo con due turni di anticipo. In coda, alla Pro Patria, già retrocessa da tempo, si aggiunge all’ultimo momento il Bari, sconfitto proprio a Busto Arsizio.

I vincitori: Juventus

Per mantenere un ciclo vincente, bisogna rinnovarsi continuamente. La Juventus inizia la nuova stagione con una sola novità: un’ala minuta arrivata dal Brasile, il ventitreenne Pedro Sernagiotto, proveniente dalla Palestra Italia (poi Palmeiras), soprannominato “Freccia d’oro” per la sua velocità acrobatica, ma anche “Ministrinho” per la somiglianza con un famoso giocatore brasiliano, Giovendal Ministre. La linea d’attacco ha bisogno di sangue nuovo, visto che i bomber Munerati e Vecchina sono ormai anziani. Il piccolo Sernagiotto non delude, almeno quando i campi non sono pesanti, ma non è sufficiente a risolvere il problema del gol.

E l’inizio incerto del campionato mostra tutte le difficoltà offensive della Juve. Ma il 2 ottobre 1932 debutta a Napoli, al posto di Cesarini, il diciottenne centravanti della primavera, Felice Placido Borel, il cui fratello maggiore è anch’esso un calciatore di razza. Il suo soprannome sarà “Farfallino”, perché il fisico esile e la classe raffinata lo guidano nelle aree affollate con letale leggerezza. Si capisce subito che, nonostante i diciotto anni, il ragazzo non soffre la pressione. Alla settima giornata Carcano gli affida la maglia da titolare e la Juventus comincia a volare.

La squadra è un meccanismo perfetto che gira a pieno ritmo, con il solido Combi in porta, Rosetta e Caligaris a difendere la zona centrale, Varglien I e Bertolini a controllare le ali, il possente Monti a fare da regista davanti alla retroguardia, con i suoi spaventosi interventi difensivi e i suoi lanci maestosi verso l’avanti. Qui i protagonisti sono sempre la stessa coppia: Ferrari, il geniale direttore d’orchestra, e “MumoOrsi, il virtuoso dei gol incredibili. Sull’altra ala, a destra, si alternano lo scatenato Sernagiotto e il pungente Munerati, mentre l’altro interno è Cesarini con le sue imprevedibili magie o il più logico Varglien II nel periodo in cui l’argentino deve tornare in patria per problemi personali. Il centravanti, infine, è Borel II, con Vecchina come valida riserva.

La società non cambia. Il severo barone Mazzonis, attento alla gestione economica, il presidente Agnelli, suo ideale complemento, con qualche tendenza alla generosità (di tasca propria) nei momenti più emozionanti. L’affermazione di Borel II regala una Juventus dal gioco spettacolare e dai numeri impressionanti: 83 gol fatti, solo 23 presi, dieci in meno della seconda miglior difesa. Quella del Bologna.

La sorpresa: Mario Pizziolo

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Cartolina della Fiorentina 1932/33

Nato a Castellammare di Stabia l’8 dicembre 1909, Pizziolo è uno dei pilastri della Fiorentina che si impone tra le grandi del torneo dopo aver conquistato la Serie A nel 1931. Il marchese Ridolfi, artefice della rinascita del club gigliato, lo aveva selezionato insieme ad altri talenti, creando la squadra per l’ascesa in A. Un centrosostegno (come si chiamava allora) di fine fattura tecnica, che al suo debutto nella massima serie aveva mostrato qualità notevoli, anche se una frattura al braccio lo aveva reso meno sicuro nei colpi di testa, suggerendone il passaggio a mediano destro.

Ma è in questa stagione, in cui la Fiorentina vuole confermarsi ai vertici, che Pizziolo si rivela come un splendido difensore dalle eccellenti doti. Il suo ritmo non è frenetico, ma gioca con la tranquillità garantita da una classe superiore. Intercetta con tempismo, senza dover usare la forza, e distribuisce come un interno. Non a caso Pozzo lo fa debuttare in Nazionale (1 gennaio 1933, ItaliaGermania 3-1 a Bologna) e lo schiererà da titolare ai Mondiali 1934, dove però il sfortunato giocatore subirà la rottura di una gamba nel corso della prima, durissima partita con la Spagna. La sua carriera, nel corso della quale otterrà due lauree, verrà interrotta nel 1936 dalla rottura di un menisco. Senza di lui, la Fiorentina crollerà. E morto nel 1990.

La delusione: il Bologna

La stagione si apre con il Bologna in gran forma. Dopo aver conquistato la Mitropa Cup, si presenta come “lo squadrone che tremare il mondo fa” e per sfidare il dominio juventino in campionato si rinforza con un nuovo talento dall’Uruguay, il ventisettenne Francesco Occhiuzzi, robusto difensore centrale, perfetto per sostituire il vecchio Baldi tra i connazionali Sansone e Fedullo. Il terzetto sudamericano funziona alla grande: nelle prime diciassette gare il Bologna subisce solo una battuta d’arresto a Genova, terminando l’andata a due punti dalla Juventus capolista.

Ma alla prima di ritorno la sfortuna colpisce Occhiuzzi che nel match interno col Padova si spezza una gamba. Per lui il campionato è finito. Rientra Baldi, ma non rende come prima. Il Bologna resiste per qualche domenica, poi inizia a cedere terreno. La panchina, già passata da Nagy a Lelovich e da questi a Della Valle, arriva nel finale all’ex arbitro Achille Gama. Ma non basta. I sogni scudetto si infrangono e anche il secondo posto, che avrebbe permesso di difendere il titolo in Mitropa Cup, va perso. Un “flop” dovuto soprattutto alla sfortuna.

Il caso: la fuga di Petrone

Un’umiliante sconfitta casalinga contro il Torino, il 19 febbraio 1933, costa cara alla stella viola “PeruchoPetrone, bomber nella stagione precedente. L’allenatore Felsner lo mette in panchina per tre partite, preferendogli Borel I, fratello maggiore del “Farfallino” juventino. Il 19 marzo, i tifosi chiedono a gran voce il ritorno in campo del loro idolo e Felsner acconsente, facendo giocare Petrone contro la Triestina. Ma l’uruguaiano sembra svogliato, forse ancora risentito per la punizione subita. Per dargli una scossa, l’allenatore gli intima di cambiare posizione con l’ala destra Prendato, che gli porta il messaggio. Petrone non accetta l’ordine di Felsner e lo manda a quel paese davanti a tutti.

La Fiorentina perde, il marchese Ridolfi, presidente della società, si confronta con l’allenatore e poi commina al giocatore una multa pesantissima, duemila lire. Petrone non dice nulla, fa le valigie, si procura un passaporto (l’originale è in mano alla segreteria) e il 23 marzo sale su un piroscafo a Genova diretto in Uruguay senza che nessuno lo sappia. Per qualche giorno la scomparsa di Petrone è un “mistero”, poi la stessa Fiorentina rende nota la fuga. Anche Felsner viene esonerato e sostituito da Rady; Borel I diventa titolare portando i viola al quinto posto, Petrone trova posto nel Nacional, conquistando il titolo 1933. Poi arriva la squalifica della Fifa, fino a tutto il 1934, che di fatto ne anticiperà il ritiro dal calcio.

L’uomo più: Giovanni Ferrari

Prima che si affermasse il ruolo del centrocampista (il Metodo prevedeva solo difensori e cinque attaccanti), Giovanni Ferrari era il modello del grande regista del gioco. Nato ad Alessandria il 6 dicembre 1907, era un altro talento proveniente dal ricco settore giovanile della squadra locale, dove aveva debuttato in Serie A a sedici anni al fianco di Baloncieri. Nel 1925 una svista dei dirigenti “grigi” li portò ad accettare la proposta dell’Internaples, antenata del Napoli, che lo acquistò per 5 mila lire. L’anno successivo l’Alessandria lo riacquistò pagandone 12 mila! Fu Carcano a portarlo con sé alla Juve nel 1930 e a capire che quell’attaccante prolifico poteva diventare un grande animatore al servizio della squadra.

Si trasformò nel cervello della manovra, un campione di leggendaria regolarità, che nel 1933 realizzò una stagione da incorniciare, in cui si impose anche come colonna della Nazionale, con cui conquistò due titoli mondiali (nel 1938 il suo tandem con Meazza fu definito dai francesi «il duo più straordinario del mondo»). Dopo i cinque scudetti con la Juve, si trasferì all’Ambrosiana, dove vinse altri due titoli. Rifiutata l’Arsenal, nel 1940, ormai stanco, passò al Bologna dove vinse ancora il titolo. Terminò nella Juve. È scomparso nel 1982.

Il capocannoniere: Borel II

Felice Placido Borel II, un nome che porta con sé il destino di un campione. Il padre ha fatto parte della Juventus dei pionieri; il fratello, Aldo, è l’attaccante della Fiorentina; lui ha la classe dei grandi. Nato a Nizza Marittima il 5 aprile 1914, in una famiglia di agiati mercanti di tessuti, ha mosso i primi passi col pallone in una squadra studentesca, la Padus. Poi, siccome la Juventus non aveva formazioni giovanili, ha “tradito” i colori di famiglia per i Balon Boys del Torino, dove però lo ha notato il barone Mazzonis, che gli ha fatto firmare nel 1931 il primo contratto.

Alto (1,77), leggero come… una farfalla (62 kg), ha debuttato con una straordinaria esplosione di gol, arrivando in cima alla classifica dei cannonieri, con il record di media-gol: 29 reti in 28 partite, 1,035 a partita, meglio dell’argentino Angelillo che con 33 reti in 33 partite stabilirà nel ’58-59 il primato del dopoguerra. Vittorio Pozzo lo apprezza («Non ha tiro potente, indirizza il pallone con un colpo secco sempre là dove vuole che il pallone vada. Il portiere non ha tempo nè per muoversi nè per intuire») e lo farà diventare campione del mondo come riserva dell’inarrivabile Meazza.

Classifica Finale

SquadraPtiGVNP
Juventus54342545
Ambrosiana-Inter46341987
Bologna423415127
Napoli423418610
Roma393414119
Fiorentina393416711
Torino363414812
Genova 1893343413813
Triestina343414614
Lazio333412913
Milan3234111013
Pro Vercelli293413318
Palermo293411716
Padova283481214
Alessandria283410816
Casale24349619
Bari22348620
Pro Patria21348521
Campione d’Italia: JUVENTUS
Retrocesse in serie B: BARI e PRO PATRIA
Qualificate in Coppa Europa: JUVENTUS e AMBROSIANA

Marcatori

RetiGiocatore
29 golBorel F. (Juventus)
28 golSchiavio (Bologna)
22 golVojak (Napoli)
20 golMeazza (Ambrosiana)
19 golLevratto (Ambrosiana), Romani (Milan), Sallustro A. (Napoli)
17 golBusoni (Torino)
15 golCostantino (Roma), Esposto (Genova), Rossetti (Torino)
13 golDemaria A. (Ambrosiana)
12 golPetrone (Fiorentina), Volk (Roma)
11 golCeloria (Casale), Ferrari G. (Juventus), Piola (Pro Vercelli), Reguzzoni (Bologna)