STEIN Jock: Il minatore che fece grande il Celtic

Un giorno qualcuno chiese: «How do vou spell Stein?» (come si scrive Stein?). «G.O.D.» (Dio) rispose un noto giocatore scozzese. Ce n’è abbastanza per essere incuriositi da questo minatore del Lanarkshire che ha fatto la storia del calcio scozzese da allenatore, dopo essere stato un mediocre giocatore. È infatti questo il destino che accomuna i più grandi tecnici scozzesi: un’anonima carriera sul campo seguita però da una strepitosa “vecchiaia” in panchina. Matt Busby e Bill Shankly possono essere accomunati a Stein per quanto riguarda la loro trafila da giocatori, ma soprattutto formano insieme al manager che fece grande il Celtic un trio di formidabili allenatori provenienti tutti dalla stessa zona: il Lanarkshire.

E proprio le origini di Stein hanno forgiato il suo carattere di uomo forte, equilibrato, integro, orgoglioso; un motivatore in grado di tirare fuori dai suoi uomini il meglio, un leader naturale che sapeva sempre farsi capire dai giocatori. La sua epopea al Celtic è indimenticabile per i successi ottenuti, per il calcio brillante e tutto volto all’attacco col quale plasmava la squadra. Per primo, Jock Stein riuscì a pilotare una formazione britannica sul tetto d’Europa. Era il 1967 e la finale di Coppa dei Campioni a Lisbona metteva di fronte il suo Celtic e la Grande Inter, ai suoi ultimi vagiti. Dopo un decennio di trionfi latini, finalmente i “maestri” poterono rialzare la testa grazie a questo autentico fuoriclasse della panchina.

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Ma la Coppa dei Campioni fu solo l’inevitabile tappa di un cammino decorato da vittorie di ogni genere. Lo straordinario minatore scozzese, infatti, lasciò solo le briciole ai colleghi mettendo insieme, in dodici stagioni con i Bhoys, numeri da brivido: dieci campionati (di cui nove consecutivi, record rimasto imbattuto fino al 1997 quando è stato eguagliato dai Rangers), otto Coppe di Scozia (più una vinta da allenatore del Dunfermline), sei Coppe di Lega e una Coppa dei Campioni.

La storia di Jock Stein comincia in un freddo pomeriggio autunnale, quando viene alla luce in un piccolo centro minerario del Lanarkshire. Bumbank, per la precisione. Da adolescente, impegnato a decine di metri di profondità per buona parte della giornata, Stein decise di godersi qualche ora di svago prendendo a calci un pallone nelle giovanili del Blantyre Victoria, una squadra dilettantistica. Esentato dal servizio militare in tempo di guerra, ottenne un contratto part- time negli Albion Rovers, formazione della sua regione natia, convincendo poi i dirigenti della squadra a fargli firmare un vero contratto.

Era un centromediano prestante fisicamente, dalla scarsa tecnica ma dotato di grande tempismo negli interventi e di un senso della posizione perfetto. Nel 1950, dopo otto stagioni con l’Albion Rovers, abbandonò la squadra e riparò in Galles, dove per una stagione trovò ingaggio nella compagine dilettantistica del Llanelli, rispondendo a un’inserzione apparsa su un quotidiano: «Cercasi giocatore di provata abilità. Paga commisurata alle capacità dell’atleta». Jock ottenne il lavoro, lo stipendio era buono, ma la squadra difficilmente gli avrebbe offerto opportunità ad alto livello. Invece arrivò la chiamata che gli avrebbe cambiato la vita.

A nemmeno ventinove anni Jock aveva già in mente di ritirarsi, quando il Celtic gli fece pervenire un’offerta che venne accettata e che portò alla firma del contratto, il 4 dicembre del 1951. Entrò in prima squadra per via degli infortuni che colpirono i titolari e nella stagione 1952-53 capitanò il Celtic nella conquista della Coronation Cup, un torneo creato dalla Federazione britannica per celebrare la salita al trono di Elisabetta II. Nella stagione successiva il Celtic centrò il “doublé” (campionato e Coppa di Scozia), che mancava da quarant’anni sulla sponda cattolica di Glasgow.

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Jock Stein con la maglia del Celtic

La sua carriera raggiunse il capolinea all’inizio della stagione 1955-56 quando durante un infuocato Old Firm – il derby contro i Rangers – si ruppe una caviglia. Nell’estate del 1957 il presidente Robert Kelly propose a Stein la panchina della squadra riserve e l’ex capitano dei Bhoys accettò. «Quando Big Jock divenne allenatore della formazione riserve» ricorda John Divers, attaccante del Celtic Anni 50 e 60, «faceva svolgere tutto l’allenamento con la palla. Questa era una cosa rivoluzionaria. Era alle prese con giocatori di talento, era sveglio tatticamente e sapeva motivare le persone. Duncan MacKay era un duro lavoratore di centrocampo, ma non una stella tra le riserve. Prima di andarsene, Big Jock lo aveva trasformato in un terzino destro d’attacco. A quei tempi i terzini che calciavano la palla in tribuna pensavano di aver fatto il loro lavoro. Con Stein non era così, dovevano essere dei pericoli per gli avversari anche in zona d’attacco. Jock, nel 1960, se ne andò, la stella di Duncan si offuscò e lentamente scivolò fuori dal gioco».

Il ritiro di Jimmy McGrory, l’allenatore della prima squadra, aveva fatto pensare a Stein che quel posto sarebbe stato suo. Invece la società scozzese non gli offrì l’incarico e nel 1960 Jock decise di fare le valigie e raggiungere Dunfermline, per la sua prima vera esperienza su una panchina di prima divisione. L’annata d’esordio fu subito trionfale e il Dunfermline vinse la Coppa di Scozia battendo in finale, ironia della sorte, proprio il Celtic. Quel trofeo targato Stein è tuttora l’unico conseguito dal Dunfermline. Il tecnico rimase per quattro anni all’East End Park finché, nell’estate del 1964, l’Hibernian gli offrì la panchina. A Edimburgo però Stein rimase solo pochi mesi, il tempo di vincere la Summer Cup, un torneo estivo. Il Celtic, infatti, si rese conto di aver commesso un grosso errore nel lasciarlo andare via quattro anni prima.

Lo scarso feeling fra il manager dei Bhoys, Sean Fallon, e la squadra convinse Robert Kelly a contattare Stein. Lo incontrò a pranzo, gli illustrò la sua proposta e il 31 gennaio del 1965 venne dato l’annuncio ufficiale: Jock Stein era il nuovo allenatore del Celtic, Sean Fallon diventava il suo vice. Dopo aver guidato l’Hibernian fino alle semifinali di Coppa di Scozia, il 9 marzo 1965 Jock Stein atterrò sulla panchina del Celtic Park. «E fantastico!» disse Billy McNeill il giorno dell’annuncio del ritorno di Stein «Abbiate pazienza e vedrete che le cose cambieranno da ora in avanti!».

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Il grande Billy aveva ragione, cambiò tutto come dal giorno alla notte. Dopo sole sei settimane il Celtic vinse la Coppa di Scozia, il primo trofeo per i cattolici di Glasgow negli ultimi otto anni. Era appena cominciata un’era che avrebbe portato una valanga di successi nell’East End di Glasgow, con un unico comune denominatore: Jock Stein. Nei tredici anni in cui restò alla guida del club, trasformò il Celtic in una potenza europea, con un calcio sempre spregiudicato, proiettato all’attacco, veloce e creativo. «Il miglior posto per difendersi è l’area di rigore avversaria» diceva serio.

Dopo aver centrato scudetto e Coppa di Scozia alla prima stagione completa, Stein guidò il Celtic a una storica tripletta, aggiungendo ai due trofei già incamerati l’anno prima anche la Coppa di Lega. Fu comunque il 1967-68 la stagione che diede più soddisfazione a Stein. Il Celtic, infatti, arrivò all’atto conclusivo della Coppa Campioni e a Lisbona sfidò la Grande Inter del “Mago” Herrera, che aveva già trionfato due volte in quella manifestazione. Era lo scontro fra due filosofie di gioco agli antipodi: tutti all’attacco era il credo di Stein, mentre Herrera professava un modulo più equilibrato, con un occhio di riguardo alla difesa. Il Celtic ribaltò l’immediato vantaggio dell’Inter, rete di Mazzola su rigore (Tommy Gemmell, terzino scozzese, anni dopo dichiarò: «Era la condizione ideale per loro, passare in vantaggio subito su rigore. All’epoca il motto degli italiani era: “dopo il gol tutti in difesa”»), grazie allo stesso Gemmell e a Steve Chalmers che firmarono il 2-1 finale.

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Il trionfo di Lisbona

Era il trionfo di una nuova mentalità, di un uomo come Jock Stein che era stato capace di emergere in un mondo che lo aveva virtualmente scaricato. «E questo il segreto: lavorare con la palla per tutto l’allenamento», raccontò Jimmy Johnstone, ala destra di quel Celtic. «Prima dell’arrivo di Stein» raccontò Gemmell «i dirigenti mi dissero che se avessi superato la metà campo mi avrebbero messo fuori squadra. Avevo sentito che Jock amava i terzini che spingevano lungo la fascia, così quando arrivò pensai che sarei stato nella mia condizione ideale. C ’era grande talento in squadra, ma avevamo bisogno di qualcuno che ci guidasse. Questo qualcuno era Jock. Chiedeva a tutti di fare ciò di cui erano capaci, lasciandoli liberi di esprimere le proprie qualità ricavava il meglio dai giocatori».

La vittoria in Coppa dei Campioni aveva aperto a Stein le porte della leggenda. Il suo grande amico Bill Shankly, allenatore del Liverpool, subito dopo la vittoriosa finale gli disse: «Jock, sei immortale». Il Celtic raggiunse la finale di Coppa Campioni anche nel 1970, perdendo contro il Feyenoord, mentre in patria continuava a mietere successi fino a centrare l’incredibile record di nove titoli nazionali consecutivi. Nella stagione 1975-76 Stein non poté allenare a causa di un grave incidente stradale in cui era rimasto coinvolto e che aveva fatto temere anche per la sua vita.

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Ritornato in panchina nell’annata successiva, rimase al Celtic fino al 1978 quando gli scozzesi persero la stella Kenny Dalglish, ingaggiato dal Liverpool. Il tecnico non se la sentì di avviare una ricostruzione e preferì lasciare il timone dei biancoverdi a Billy McNeill, dopo 13 anni di onorato servizio e ben 25 trofei. Nell’estate del 1978 accettò l’offerta di trasferirsi in Inghilterra per allenare il Leeds, ma la sua permanenza a Elland Road si protrasse solo per sette settimane. Fino a quando, cioè, Ally McLeod si dimise dalla carica di Ct della Scozia in seguito alla disfatta nel Mondiale d’Argentina.

In ottobre la rappresentativa degli altipiani aveva un nuovo allenatore. Il suo nome: troppo facile, Jock Stein. Guidò la Scozia al Mondiale di Spagna ‘82 e ottenne la qualificazione a quello successivo (Messico ‘86), al quale però lui non partecipò. Infatti al termine della partita decisiva nella corsa verso il Messico tra Scozia e Galles (1-1), nel cammino lungo il tunnel che portava agli spogliatoi del Ninian Park di Cardiff, Stein si senti male. Infarto. A nulla servirono i tentativi di rianimazione sul posto e la folle corsa all’ospedale più vicino. Probabilmente Stein avrebbe voluto che finisse così: su un campo di calcio, dopo il suo ennesimo trionfo.