Ferruccio Valcareggi: «Adesso parlo io»

Intervista rilasciata al Guerin Sportivo nel luglio del 1975. Il taciturno ex CT della Nazionale, prossimo sulla panchina del Verona, vuota il sacco…


MILANO – Dalla Nazionale al Verona. Ma Ferruccio Valcareggi era ormai stufo di giocare a tennis a Firenze o al Lido di Camaiore. Ed è stato lieto di tornare in trincea. Garonzi l’ha chiamato a Milano per suggerire acquisti e vendite, ma Valcareggi ha snobbato a bella posta gli alberghi tradizionali del calcio mercato, l’Hilton e il Gallia. Ha preferito il Michelangelo.
«Gli allenatori devono limitarsi ai giudizi tecnici. Il rapporto economico non mi interessa. All’Hilton ci devono andare solo i dirigenti».

— E i mediatori…
«Ma io non direi che i mediatori sono la rovina del calcio italiano come sostiene Campana. A cercare i mediatori sono proprio i dirigenti che non conoscono bene la situazione oppure non hanno il tempo per seguire determinate trattative. Devono quindi affidarsi a persone di fiducia».

— Lei ha accettato il Verona perché aveva voglia di tornare a lavorare. Ma dica la verità: è vero che ha sperato di essere richiamato alla guida della Nazionale?
«Avevo letto con piacere certe notizie e mi avevano fatto nascere pure una speranza. Per me sarebbe stata una bella rivincita. Ma in Italia, dopo sette anni, si cambia il Presidente della Repubblica. E’ giusto cambiare anche il commissario tecnico della Nazionale».

— Ma tornando da Monaco il capocomitiva Carraro aveva detto che lei non aveva colpe specifiche e che le Federcalcio era propensa a rispettare il contratto.
«Le colpe tecniche sono esclusivamente mie, perché ci tengo a smentire certe chiacchiere. La formazione l’ho sempre fatta io, sono sempre stato io a prendere le decisioni».

— Eppure a Stoccarda si diceva che Italo Allodi…
«Allodi è un mio caro amico e l’altra settimana, quando non sapevo lontanamente del Verona (perché con Garonzi è stato tutto improvviso, è bastato un colpo di telefono) è venuto a trovarmi in Versilia per sapere se avrei accettato di entrare nel Settore Tecnico Federale di cui sta programmando la ristrutturazione».

— Lei respinse l’offerta?
«Non si trattava di una offerta ufficiale, ma di un primo contatto. Gli dissi che ne avremmo riparlato a settembre ma che, in linea di massima sarei stato lieto di mettere al servizio del settore tecnico la mia esperienza internazionale».

— Non le sarebbe parsa una diminuzione?
«Per chi è stato Presidente della Repubblica, qualunque cosa faccia poi è una diminuzione. Essere senatori o ministri non è come essere il Capo dello Stato».

— Ma è vero che in precedenza aveva rifiutato altre società?
«Ho avuto dei contatti con diverse società, anche grandi, poi questi presidenti hanno fatto altre scelte. Il Corriere dello Sport ha fatto una campagna per portarmi alla Lazio e io ero stato interpellato anche da Lovati. Ne ho riparlato proprio qui a Milano con Lenzini. Ma non potevo accettare la Lazio: sono troppo amico di Maestrelli».

— E con l’Inter come è andata?
«All’Inter avrei dovuto andare già l’anno scorso. I giornali hanno scritto che non mi misi d’accordo per i soldi. E’ vero che avevo fatto una mia offerta che teneva conto anche dello stipendio che avrei perso dalla Federazione. Però la società mi avrebbe fatto una controfferta e ci saremmo messi sicuramente d’accordo. Invece non siamo nemmeno arrivati a discutere di quattrini».

— Come mai?
«E’ passato tanto tempo, adesso posso raccontare la verità. Mi ero incontrato col presidente. Fraizzoli e il general manager Manni. Avevo con me l’amico Bitossi che non era ancora vicepresidente della Fiorentina. Esposi il mio programma e dissi che per prima cosa avrei voluto un centrocampista».

— Fraizzoli sapendo di dare un dispiacere a Mazzola…
«Io volevo portare all’Inter De Sisti per ricostituire il famoso centrocampo della Nazionale: Bertini, Mazzola e De Sisti. Mazzola voleva fare il regista e nell’Inter pretende di fare pure il padrino… Mazzola è un bravo ragazzo. In Nazionale ha sempre giocato come volevo io, con il sette o con l’otto. Aveva avuto una impennata a Roma nei campionati Europei, quando l’avevo lasciato fuori contro la Russia. Poi ci eravamo parlati e ci eravamo capiti grazie anche all’intervento di Burgnich. Con Mazzola mi sarei sicuramente trovato d’accordo. Ma si vede che nell’Inter qualcuno non riteneva utile spendere una certa cifra per De Sisti».

— Lei in Nazionale ha accettato di passare per un mediocre, pur di evitare le interviste e quindi le polemiche. Non pensa di aver offerto all’Italia una immagine falsa dell’uomo Valcareggi?
«Sin da ragazzo mi hanno insegnato che il silenzio è d’oro e con l’esperienza mi sono reso conto che meno si parla e meno si sbaglia. Ne ho fatto tesoro anche in Nazionale e, visti i risultati non me ne pento».

— E’ vero che era condizionato da Walter Mandelli?
«Mandelli è stato un grandissimo dirigente. Lo informavo id tutto, però le decisioni le prendevo io».

— Si è mai lasciato influenzare dai giornali?
«Mai, smettevo di leggerli quindici giorni prima della partita. Ho sempre accettato le critiche tecniche, le cattiverie mi hanno invece addolorato».

— Chi fu a non voler punire Chinaglia, dopo il gesto di Monaco?
«Un commissario deve sempre difendere i propri giocatori, perché è suo interesse averli tutti a disposizione. In Messico non c’era stato solo il caso Rivera, qualche altro si era comportato come lui… Ma, rimandandoli a casa non avremmo fatto i nostri interessi…».

— Dicevamo di Chinaglia…
«Chinaglia è impulsivo e al tempo stesso un timido. Non aveva nemmeno il coraggio di guardarmi negli occhi quando dovette chiedermi scusa. Non giustificai quel gesto, ma lo compresi. A un giocatore spiace essere sostituito. Chinaglia ammise di aver sbagliato, ma ripetè che non meritava di essere sostituito. Gli spiegai che i giudizi tecnici non erano di sua competenza».

— Quando Chinaglia fu sostituito stavamo vincendo due a uno…
«Ma a me interessava anche il quoziente reti. Se nel primo tempo contro Haiti avessimo vinto per tre a zero come meritavamo, ci saremmo qualificati. Haiti era tutta in difesa. Per le mischie mi serviva di più un giocatore rapido e veloce come Anastasi».

— Ha dichiarato che un giorno racconterà la verità sui sei minuti di Rivera contro il Brasile.
«E lei ripeta che un giorno lo racconterò, ma non si deve pensare a chissà quali retroscena. Si tratta di una ragione esclusivamente tecnica».

— Pensa che Rivera tornerà a giocare?
«Me lo auguro. Perché il Milan ha bisogno di Rivera e Rivera ha bisogno del Milan. Rivera è orgoglioso. Se torna a giocare, ringiovanisce di tre anni».

— Il mercato offre sempre meno. Non crede che sia giunto il momento di riaprire le frontiere?
«Quest’anno no, ma l’anno prossimo si potrebbe rivedere il provvedimento con la speranza che anche all’estero maturino i futuri campioni. Perché i vari Crujiff e Beckenbauer chi ce li ha se li tiene. E anche all’estero non è che ci sia molto».

— Come vede il futuro del calcio italiano?
«Penso che l’Italia abbia ancora la possibilità di qualificarsi per la Coppa Europa. Tutto dipenderà dal risultato di Olanda-Polonia. L’Italia ha un calendario in discesa. Finlandia, Polonia e Olanda. E l’Olanda in casa è battibile».

— Lei crede nell’Olanda?
«Dico che il firmamento calcistico olandese non ha più molte stelle».

— E la Polonia?
«Non è mai stata una super-squadra. Accanto ai giocatori ordinati e di buon livello, aveva qualche fuoriclasse. Con la decadenza dei tre fuoriclasse Deyna, Lato e Gadocha, è cominciata anche la decadenza della Polonia».

— E della Germania?
«Ha i suoi problemi anche la Germania come l’Inghilterra. E’ stata campione del mondo, ma ora a Malta ha vinto per uno a zero e con questo risultato, vincevano le squadre italiane di quarta serie. Adesso tutte le nazioni, anche le più piccole come Lussemburgo e Cipro, sono in grado di mettere insieme ventidue giocatori di un certo valore. C’è stato un livellamento generale».

— Ma l’Olanda si è imposta all’attenzione anche per il collettivo. Adesso tutti vogliono il calcio totale.
«Però si torna indietro di cinque, sei anni. Io non mi sono mai preoccupato di tamponare il gioco avversario, ho sempre badato a imporre il nostro gioco. E’ appunto cinque anni fa dicevo che con il libero fisso e l’ala tattica si concedeva almeno un uomo in più agli avversari. Come libero è sempre stato utilizzato un ex difensore, invece bisognerebbe trasformare in libero un centrocampista o un laterale di spinta. Per questo optai per la soluzione-Cera.

— Fabbri le ha rimproverato di essere andato ai mondiali senza conoscere Houseman…
«Io questo Houseman lo avevo visto anche in Argentina, ma lo avevano sempre impiegato per venti minuti, massimo un tempo. Sapevo che era un peperino e avevo previsto la variante Bonetti, se Capello si fosse trovato a disagio per via della posizione».

— Forse Fabbri ha sempre il dente avvelenato per la Corea, da lei paragonata alle comiche di Ridolini…
«E’ una leggenda, io non ho mai parlato di Ridolini. Dissi solo che i coreani sembravano tutti uguali e che potevano anche averne cambiati dieci su undici nel secondo tempo (se ne riconosceva uno per via della ginocchiera). Sostengo ancora che se giocassimo dieci volte contro la Corea, vinceremmo sempre. E non era una questione di formazione. Se anche Fabbri l’avesse estratta a sorte dai bussolotti, avrebbe vinto lo stesso».

— Lei come C.T. si è fatto criticare perché è stato troppo conservatore.
«Dal Messico a Stoccarda avrò cambiato venti giocatori. Ma mi sono fatto la fama di conservatore perché ho lasciato Mazzola e Rivera. Per me erano ancora validi e ho ritenuto opportuno utilizzarli».

— Ritiene che Bearzot sia maturo per guidare la Nazionale?
«Certo. Perché ormai conosce il calcio di tutto il mondo. Abbiamo ancora fasci di relazioni».

— E che consigli gli dà.
«Gli ricordo quello che facevo io. Bisogna puntare su una difesa bloccata, così per gli avversari diventa difficile passare. Per risolvere il problema del gol, gli auguro di trovare un nuovo Riva e magari anche un nuovo Domenghini, perché non bisogna dimenticare il lavoro prezioso del gregario».

— E con il Verona, che programma ha?
«Garonzi mi ha chiesto di farlo rimanere in serie A il più a lungo possibile».

— Sarà più facile guidare il Verona o la Nazionale?
«Glielo saprò dire l’anno prossimo!».

  • Intervista di Elio Domeniconi – Guerin Sportivo, luglio 1975