Tango a Granada: la notte dei tre Maradona

Tre fratelli, un cognome leggendario e una notte magica in Andalusia. Quando Diego, Lalo e Hugo Maradona si ritrovarono insieme sul campo del Granada.

Nel calcio, spesso, la linea tra follia e genialità è sottilissima. Lo sapeva bene Alfonso Suarez, presidente del Granada CF nell’autunno del 1987, quando decise di scuotere il panorama calcistico spagnolo con un’idea che ai più sembrò folle. Il suo club era appena stato promosso dalla terza alla seconda divisione, un risultato già notevole per una squadra andalusa. Ma Suarez aveva fame di altro: voleva i riflettori, voleva che il nome di Granada risuonasse in tutta la Spagna e oltre.

In quegli anni, sul finire degli anni ’80, se volevi far parlare di te nel mondo del calcio c’era un solo nome magico da pronunciare: Maradona. Il Pibe de Oro era all’apice della sua carriera, fresco vincitore del Mondiale con l’Argentina e dominatore assoluto del calcio italiano con il Napoli. Il suo nome bastava a far tremare i difensori e a far sognare i tifosi.

Suarez non era tipo da mezze misure. Nel suo ufficio, guardando le foto del campione argentino, iniziò a tessere una tela ambiziosa. Se non poteva avere Diego, allora avrebbe preso qualcuno del suo sangue. Era un’idea audace, quasi temeraria per una squadra di Segunda División, ma Suarez sapeva che nel calcio i sogni più pazzi sono spesso quelli che si realizzano.

La sua visione andava oltre il semplice aspetto sportivo: voleva creare un evento, qualcosa che rimanesse nella storia del club e della città. E quello che accadde nei mesi successivi dimostrò che, a volte, anche i sogni più ambiziosi possono diventare realtà.

Un Maradona vale l’altro

Con Diego Maradona irraggiungibile sui campi della Serie A italiana, Alfonso Suarez spostò la sua attenzione su Lalo, il fratello di mezzo della dinastia Maradona. Era una mossa audace, ma calcolata: se non potevi avere il re, perché non puntare sul principe?

Raul “Lalo” Maradona, all’epoca ventenne, era una promessa ancora tutta da verificare. Aveva fatto capolino nel Boca Juniors, lo stesso club che aveva lanciato Diego nell’olimpo del calcio, e vantava alcune presenze nella nazionale argentina Under-17. Non aveva la possenza fisica del fratello più famoso, ma chi lo aveva visto giocare parlava di un mancino raffinato, di un talento grezzo che aspettava solo di essere sgrezzato.

C’era poi quella dichiarazione di Diego che aveva fatto il giro del mondo calcistico argentino: “Lalo è il migliore dei tre fratelli“. Parole pesanti, pronunciate dal più grande calciatore del momento. Forse era solo un modo per proteggere il fratello minore dalla pressione mediatica, ma quelle parole avevano creato un’aura di mistero e aspettativa intorno al giovane Lalo.

Per il Granada, l’operazione rappresentava un perfetto connubio tra ambizioni sportive e marketing. Il solo cognome “Maradona” sulla maglia del Granada avrebbe attirato l’attenzione dei media, riempito gli stadi e, si sperava, portato un po’ di quella magia che Diego dispensava ogni domenica sui campi di Napoli. Era un rischio calcolato, una scommessa che Suarez era pronto a fare per portare il suo club sotto i riflettori del calcio internazionale.

L’affare del secolo

Il trasferimento di Lalo Maradona al Granada fu avvolto da quel velo di mistero che solo le grandi operazioni di mercato sanno creare. Le cifre ballavano come in un tango argentino: si parlava di 25 milioni di pesetas versate nelle casse del Boca Juniors, ma alcune voci di corridoio sussurravano che la cifra reale potesse essere fino a tre volte superiore.

Ma il vero colpo di teatro fu la clausola che si dice fosse stata imposta direttamente da Diego: Lalo doveva avere garantito un posto da titolare. Non era solo una questione di minutaggio, era la protezione del fratello maggiore che si estendeva fino alla Spagna. In cambio, Diego aveva promesso qualcosa di straordinario: avrebbe indossato la maglia del Granada per un’amichevole.

Era un accordo che andava oltre il semplice trasferimento di un calciatore. Era un patto che mescolava calcio, spettacolo e legami familiari. Il Granada stava per diventare, anche se per una sola notte, il palcoscenico di un evento unico nel suo genere. Un affare che, al di là dei numeri e delle clausole, avrebbe scritto una pagina indimenticabile nella storia del club andaluso.

La notte dei tre Maradona

Novembre 1987, Granada si preparava a vivere una serata che sarebbe rimasta per sempre nella storia del calcio spagnolo. Il Los Carmenes stava per ospitare un evento unico: i tre fratelli Maradona insieme sul terreno di gioco. Diego, la stella del Napoli, Lalo, la nuova speranza del Granada, e Hugo, il più giovane, in prestito dall’Ascoli.

La scelta dell’avversario fu quanto meno curiosa: il Malmö di Roy Hodgson, squadra svedese fresca di tre titoli consecutivi in patria. Una scelta che aggiungeva un tocco di internazionalità a quella che si stava trasformando in una vera e propria festa di famiglia.

L’intera famiglia Maradona si trasferì temporaneamente a Granada per l’occasione. Don Diego e Doña Tota, i genitori, le sorelle, tutti volevano essere presenti per questo momento storico. L’aeroporto di Granada si trasformò in un teatro di festeggiamenti, con fuochi d’artificio che illuminavano il cielo andaluso e folle di tifosi in delirio che attendevano l’arrivo della famiglia più famosa del calcio mondiale.

La città intera sembrava essere stata contagiata dalla “Maradona-mania”. I giornali locali dedicarono intere pagine all’evento, con titoli che gridavano al miracolo: “La saga dei Maradona giocherà al completo a Granada“. Era più di una semplice partita amichevole: era un evento che trasformava Granada nel centro del mondo calcistico, anche se solo per una notte magica di novembre.

Una partita da sogno

Quella sera il Los Carmenes presentava uno spettacolo surreale. La distribuzione dei numeri di maglia raccontava già una storia: Diego, contrariamente alle sue abitudini, indossava il 9 e la fascia da capitano, lasciando la sua adorata 10 a Lalo, mentre Hugo si accontentava dell’8. Tre fratelli, tre numeri, un unico DNA calcistico che faceva vibrare lo stadio di emozione.

Il match iniziò con il Malmö che dimostrava di non voler fare solo da comparsa. La squadra svedese, ben organizzata da Hodgson, passò in vantaggio nel primo tempo. Ma il destino aveva in serbo un momento magico che i tifosi presenti non avrebbero mai dimenticato: Diego ricevette palla a centrocampo, la controllò di petto mentre Lalo scattava in profondità. Il passaggio del Pibe de Oro fu millimetrico, e il fratello minore non si fece pregare, insaccando con un tocco sotto che mandò in delirio lo stadio.

Gli svedesi tornarono in vantaggio nella ripresa, ma ancora una volta fu Diego a riportare equilibrio con una punizione magistrale, di quelle che lo avevano reso famoso in tutto il mondo. La palla si infilò proprio dove il portiere non poteva arrivare. Il gol della vittoria arrivò infine dai piedi di Manolo, e vedere Diego correre ad abbracciare il compagno di squadra del fratello fu un’immagine che racchiudeva tutto il senso di quella serata magica.

Il destino beffardo

Il calcio sa essere crudele, e la storia del Granada con Lalo Maradona ne è la perfetta dimostrazione. L’inizio sembrava promettente: la squadra inanellava vittorie su vittorie, cavalcando l’onda dell’entusiasmo portato dall’arrivo del fratello di Diego. I tifosi affollavano il Los Carmenes, sognando una promozione in Primera División.

Ma quella magica amichevole con i tre fratelli in campo segnò paradossalmente l’inizio della fine. Come se qualcuno avesse lanciato un maleficio, il Granada precipitò in una spirale negativa impressionante: nove sconfitte consecutive che spensero ogni entusiasmo. Gli spalti, prima gremiti, iniziarono a svuotarsi.

Lalo perse il posto da titolare, finendo ai margini della squadra. Le critiche non tardarono ad arrivare: “Buona tecnica ma poco impegno“, scriveva El Pais, dipingendo il ritratto di un talento incompiuto. La sua esclusione dall’undici titolare non cambiò le sorti della squadra, che continuò la sua discesa verso l’inferno.

A fine stagione, il verdetto fu impietoso: retrocessione in terza divisione. Il sogno si era trasformato in un incubo, e il nome Maradona non era bastato a evitare il disastro.

Cosa rimane di una notte magica

Il destino, quel regista capriccioso, dipinse tre strade differenti per i fratelli Maradona. Diego continuò a danzare sul filo della leggenda, incidendo il suo nome nell’Olimpo del calcio. Hugo trovò la sua dimensione sotto i ciliegi in fiore del Sol Levante, dove la J-League lo accolse come un maestro rispettato. Lalo, invece, divenne un viaggiatore senza meta, un nomade del pallone che attraversò continenti – dall’Argentina al Venezuela, dal Giappone al Canada – senza mai trovare davvero casa in nessuno di essi.

Ma quella notte di novembre al Los Carmenes rimane cristallizzata nella memoria collettiva del calcio spagnolo. Non per i gol, non per le giocate, ma per aver rappresentato qualcosa di unico: tre fratelli, uniti dal sangue e dal talento, che condividevano lo stesso campo con la stessa maglia.

E quando Hugo, dopo l’addio di Diego nel 2020, disse “Sul campo mio fratello faceva miracoli. Era un marziano“, dipinse involontariamente il quadro perfetto di quella serata: Granada fu il punto d’incontro tra cielo e terra, il palcoscenico dove l’ordinario e lo straordinario si fusero in un unico, irripetibile spettacolo calcistico.