Totò for President

Il principe Antonio De Curtis è il barone Fontana, patron del Cerignola in “Gambe d’oro”, attualissima pellicola del 1958: bada solo ai soldi e vorrebbe vendere i due giocatori migliori a un industriale milanese. E naturalmente sedersi in panchina…

ENTUSIASTA fino all’ingenuità o incompetente senza limiti; autoritario con tratti duceschi o paternalista controproducente. Tradizionalmente, nel cinema italiano, il Presidente della squadra di calcio non riesce mai a essere un personaggio interamente positivo. Il filo narrativo che unisce le diverse figure che attraversano non poche pellicole si dipana lungo una precisa direzione, nella quale è predominante il problema dei problemi: il finanziamento della squadra. Mettere mano al portafoglio comporta, com’è ovvio, difficoltà a restare nei limiti del proprio ruolo. L’ingerenza del padrone è pertanto praticamente un assunto, del resto giustificato dalla progressiva crescita dell’esosità del mondo del pallone nelle sue varie componenti.

Anche il barone Luigi Fontana, interpretato da Totò in “Gambe d’oro”, commedia del 1958 diretta da Turi Vasile, si trova, quasi suo malgrado, a vivere un’esperienza molto più intensa di quel nulla che lui avrebbe voluto, perché l’uomo è tirchio assai e non tenta minimamente di nasconderlo, infilando una battuta dopo l’altra il meglio del suo repertorio comico.

Fontana è il numero uno del Cerignola, formazione pugliese con aspirazioni di promozione in Serie C, assolutamente non condivise da lui, che minaccia le dimissioni perché salire di categoria significherebbe aumentare le spese. La società è di proprietà del Comune e il conflitto con il barone esplode ogni qualvolta c’è da pensare alla più piccola spesa. All’allenatore Armando, che reclama non senza ragioni la necessità di un rinnovamento del materiale perché le divise sono vecchie e la scarpe bucate, Totò risponde come neanche zio Paperone riuscirebbe, promettendo al termine di una vivace discussione di acquistare sì maglie nuove ma “pesanti” e di pensare a calzature di seconda mano: «Vuoi mettere la comodità di una scarpa consumata dall’uso, che ti accarezza come un guanto l’arto inferiore?».

In realtà, nella spilorceria di Fontana (inimmaginabili i premi partita), si può leggere la diffidenza, se non proprio il disprezzo, verso l’esercizio dell’attività sportiva in generale. Per lui, che possiede un’azienda vinicola nella quale è impiegata tutta la squadra, i calciatori sono dei fannulloni che sottraggono tempo al dovere, un’idea radicata che sfoga con la moglie: «Ma ti rendi conto che questi pallonari non hanno voglia di lavorare? Citamene uno, uno solo, che si sacrifichi, che si ammazzi, come mi sono ammazzato io da giovane! Uno solo!».

La sola eventualità che un giocatore possa entrargli in famiglia come genero, lo porta a un immediato licenziamento, con giusta causa a suo avviso, anche se poi cambierà opinione come in ogni buona favola che deve necessariamente prevedere il lieto fine, nella fattispecie matrimoniale. Ma prima sono fuoco e fiamme e quando la figlia Carla prova a protestare affermando che «Aldo non è un bandito», il padre risponde furente: «Peggio! Gioca al pallone e basta. Gioca al pallone!».

Con una tale mentalità, è appena normale che di fronte a un’offerta sostanziosa il Presidente non si faccia pregare più di tanto, anche se la provincia pugliese è una specie di mondo a parte, nell’orizzonte culturale di Fontana non è neppure contemplata la possibilità che il calcio possa essere economicamente più sostanzioso della gestione di un piccolo bilancio. Infatti, quando si presenta il manager di un’imprecisata grande società milanese di Serie A per acquistare due elementi del Cerignola, il barone non riesce neanche a capire bene l’esatto significato della parola utilizzata in Consiglio Comunale, dove si effettua la trattativa (altri tempi): «Comprare, comprare… Lei? parla di comprare. Ma che si vendono forse, eh? Io credevo che la schiavitù, anche da noi al Sud, fosse stata abolita da secoli e bisecoli!».

Il sussulto di moralità dura la presentazione dell’offerta. Venti milioni di lire determinano addirittura uno straordinario sdoppiamento del protagonista, che, spinto dalla forza attrattiva che hanno gli zeri scritti su un foglio, arriva a citare nientemeno che il suo “doppio”, pur di convincersi della giustezza della firma da apporre: «Come dice quello là: siamo uomini o caporali?».

L’effetto sulla squadra è pernicioso. L’allenatore si dimette, rifiutando anche una caduta di stile del Presidente, la cui inaspettata ricchezza lo porta a un sussulto di generosità e gli offre un assegno, prontamente strappato. L’unità tra i giocatori s’infrange, chi aspira alla massima ribalta non ha certo più intenzione di rischiare le gambe nei campetti polverosi. A poco serve l’autoinvestitura del barone, improvvisatosi allenatore, se non a stabilire con un discorso tattico un precedente al quale non sembrerà poi estranea la presentazione della famosa B-Zona da parte dell’Oronzo Canà interpretato da Lino Banfi.

La sterzata si rende urgente quando il Cerignola è chiamato ad affrontare la Nazionale. Un’amichevole che impone la riassunzione del mister e che riesce a produrre una clamorosa vittoria per 2-1, un “miracolo” bissato nel vero dal Pontedera sugli azzurri di Arrigo Sacchi. L’incredibile evento produce un clamoroso finale, con il Presidente impegnato in un’appassionata perorazione dove tutti sono felici e contenti perché rimangono nella cittadina meridionale, rifiutando i generosi contratti del nord: «Ma basta con i colpi di fortuna! Con le lotterie! Con i telequiz! Con i Totosporti! Con i Totototi! Essi dicono che la fortuna la vogliono guadagnare da sé! E poi insieme, o signori, non sono solo una squadra, ma un gruppo compatto di amici!».

Chissà se in qualche parte d’Italia esistono Presidenti così o se il cinema è nient’altro che una piacevole invenzione.

Testo di Paolo Rossi