Triestina: l’Unione fa la forza

Ripercorrere tutte le fasi dell’esistenza di questa nobile compagine è un po’ come assistere a una lezione di storia in cui la protagonista non può che essere Trieste.

Ci sono i Tricolori che sventolano a festeggiare l’annessione della città all’Italia dopo oltre mezzo millennio di attese. Ci sono gli entusiasmi svaniti in fretta, offuscati dalle tenebre di un’altra guerra, forse ancor più spietata perché accompagnata dai timori di una nuova separazione dalla Patria amata.

Ci sono poi le poesie di Umberto Saba e le canzoni popolari a fare da sottofondo alle gesta della squadra nel periodo dell’occupazione straniera. Ma ci sono anche le contraddizioni del miracolo economico “mancato” degli anni ’50 e 60, in cui la città si trova esclusa dal benessere imperante a causa delle vicissitudini del secondo dopoguerra.

Infine, ci sono i Proclami di orgoglio di una Trieste che vuole ritornare ad essere protagonista, non solo nell’ambito della vita nazionale, ma anche nel calcio, con il tentativo costante di ricordare a tutti che le gloriose maglie rosso-alabardate sono ancora sinonimo di fierezza e passione, nonostante la nobiltà calcistica fatichi a palesarsi sotto i cieli triestini da ormai tanti, tantissimi anni.

RIPESCAGGIO A FUROR DI POPOLO

Triestina 1928/29

Per orientarci meglio in questo percorso e non rischiare di perdere il filo, occorre però mettere dei paletti. Il paletto “alfa”, quello da cui tutto comincia, potremmo farlo risalire al 18 dicembre 1918, quando l’Unione Sportiva Triestina (per i tifosi semplicemente “Unione”) vede la luce nei locali del Caffè Battisti, in Viale XX Settembre. Naturalmente, le casacche del neonato sodalizio non possono non fare riferimento al simbolo per eccellenza della città. E così, se il colore scelto è un azzeccato rosso-fuoco, ecco che all’altezza del cuore fa la sua degna comparsa l’alabarda bianca, quell’arma dalla forma di gabbiano che rappresenta il carattere battagliero e tenace del popolo triestino.

Le premesse sembrano dunque incoraggianti, ma i risultati? Beh, i risultati anche, se si pensa che, nel 1923-24, i giuliani vanno a vincere un importantissimo duello contro i cugini della Pro Gorizia che permette loro di iscriversi al campionato di Seconda Divisione della stagione successiva. È in pratica la… Serie B dell’epoca, dunque una vetrina prestigiosa, ma questa Triestina sempre più ambiziosa vuole e può fare di più.

L’occasione per il grande balzo verso la gloria si presenta nel 1928-29. È questo un campionato di fondamentale importanza per il destino del calcio italiano, trattandosi di una sorta di mega-qualificazione per la Serie A. Funziona così: le migliori 32 squadre d’Italia sono divise in due gironi da 16 ciascuno; le prime otto classificate di ogni raggruppamento andranno poi a comporre il quadro del nuovo campionato a girone unico, denominato appunto Serie A.

L’Unione sembra non sfruttare al meglio la situazione, incappando in un inutile nono posto finale, ma la Federazione, ritenendo che un campionato italiano non possa dirsi tale senza la nobile Triestina, decide di ripescare ugualmente gli alabardati tra gli applausi entusiasti dei patrioti.

ARRIVA ROCCO

Triestina 1947/48

D’altronde, una piazza come Trieste merita questi e altri onori. Basta solo vedere l’entusiasmo con cui la squadra si batte nei primi campionati: tanta sofferenza, d’accordo, ma anche la soddisfazione di concludere ogni stagione con il sorriso sulle labbra per le salvezze raggiunte. Non a caso, proprio negli anni ’30, comincia a brillare la stella di Nereo Rocco, un implacabile goleador al cui nome si legheranno alcune delle più importanti imprese della Triestina.

Ad esempio, quel sesto posto del 1936, un traguardo raggiunto anche attraverso la spinta di personaggi quali Gino Colaussi e Piero Pasinati, due simboli della Nazionale di Pozzo e futuri campioni del mondo a Parigi. Dopo un altro sesto posto, centrato proprio nel 1938, l’Unione conosce il brusco sentiero della decadenza: alcune tra le pedine più rappresentative vengono cedute e conservare un posto in Serie A diventa per forza di cose l’obiettivo primario.

Poi scoppia la Seconda Guerra Mondiale e il calcio passa ovviamente in secondo piano. Ora sono ben altre le battaglie a cui viene chiamata la città, e se da un lato c’è chi intona le note della struggente “Le campane di San Giusto” invocando la liberazione dal nemico, dall’altro ci sono i Titini e le loro fosse comuni, pronte ad inghiottire ogni sentimento tricolore. Trieste viene dichiarata “Territorio Libero”, anche se di libertà non è che se ne respiri poi molta, in quell’incerto dopoguerra. Per fortuna che almeno c’è l’Unione a scaldare i cuori degli sportivi con la sua storia e la sua gloriosa tradizione.

Le cose non vanno comunque sempre bene, anzi, nel 1947, la squadra finisce ultima e rischierebbe la retrocessione, se non fosse che la “solita” Federazione che in un impeto di amor patrio decide di ripescare nuovamente gli alabardati per le loro benemerenze sportive.

Da una retrocessione sfiorata ad un incredibile secondo posto, il passo è più breve del previsto. Basta che in panchina si presenti il buon Nereo Rocco, con le sue idee di allenatore emergente, ed il gioco è fatto. Stagione 1947-’48. Il miracolo si materializza. In un campionato lungo e massacrante, con zero rigori all’attivo e con soli 15 giocatori impiegati, Rocco guida la Triestina alla piazza d’onore alle spalle del Grande Torino. L’ultimo sussulto prima di un triste declino.

DA TRIESTE IN GIÙ

Triestina 1970/71

Il matrimonio tra il grande Nereo e la Triestina non è comunque destinato a durare. Al termine della stagione 1949-50, infatti, il tecnico se ne va e per la squadra tutto si fa più complicato. A dire il vero, in quegli anni ’50, vestono la maglia rossoalabardata anche campioni del calibro di Cesare Maldini, Sergio Brighenti, il tedesco Kurt Zaro e il danese Erling Sørensen, ma tutto ciò non è sufficiente a una Triestina ormai rassegnata ad un ruolo non più da protagonista.

Arriviamo perciò al 1956-’57 e alla delusione di una retrocessione forse già matura da anni. Il guizzo dell’anno seguente, con la pronta risalita in A, parrebbe consegnare agli annali una squadra finalmente rigenerata, ma non è così. Alla fine del campionato 1958-’59, un nuovo precipizio si apre infatti sotto i piedi dei tifosi giuliani: l’Unione è ancora in B e stavolta non c’è nemmeno la Federazione a levare le castagne dal fuoco con qualche provvidenziale ripescaggio. Da quel momento ad oggi, solo rari sprazzi di luce illumineranno la “vera” Triestina. I Rocco, i Colaussi, i Pasinati, i Maldini saranno d’ora in avanti solo un malinconico ricordo.

L’andamento della squadra negli anni ’60 sembra andare di pari passo con la situazione socioeconomica della città. La forza propulsiva del boom economico non ha nemmeno sfiorato Trieste, anzi, per anni, quello splendido lembo di Italia affacciato sul mare sembra vivere in una condizione di avvilente ed immeritato isolamento. La Triestina soffre terribilmente e, nel 1971, retrocede per la prima volta addirittura in Serie D.

Il decennio che segue non andrebbe nemmeno ricordato, visti i tanti dispiaceri passati dalla società alabardata. È un calvario che ha fine solo nel 1982-83, quando gli uomini di Adriano Buffoni centrano una meritata prima piazza nel torneo di C1. Il simbolo di questo exploit è rappresentato dai 25 goal stagionali del cannoniere Totò De Falco: un record che aspetta ancora di essere battuto.

LA GRANDE ILLUSIONE

Triestina 1985/86

Rieccola, dunque, la nostra Triestina! Impegnata in un torneo all’altezza della sua fama come la Serie B e circondata da legittime ambizioni: chi mai potrà fermarla, in questi anni ’80 che sanno tanto di rinascita? La sfortuna. Solo una dannata sfortuna. Nel 1985-’86, la grande festa per il ritorno in Serie A atteso una trentina di anni è pronta ad esplodere. La squadra, trascinata da un centrocampista della classe di Francesco Romano, si classifica infatti quarta a pari merito con l’Empoli ed è chiamata ad uno spareggio da vincere a tutti i costi.

Succede però qualcosa. Qualcosa che con lo sport non ha nulla a che vedere. Si
chiama Totonero. I professionisti del malaffare tornano a gettare un’ombra sinistra sul calcio italiano, un’ombra che offusca anche la Triestina, giudicata colpevole di illecito ed esclusa dalla lotta per la promozione.

Con il morale a terra, i giuliani cercano di riscattarsi negli anni seguenti, ma evidentemente è destino che questa squadra debba ancora soffrire. L’esperienza di Franco Causio, le geometrie di Angelo Orlando, il buon senso dì mister Enzo Ferrari: come se niente fosse. Il 1987-’88 inghiotte tutti i sogni dei tifosi, e freddi venti di bora spingono l’Unione verso la Serie C.

INSEGUENDO UN SOGNO

30 giugno 1994. L’Italia di Sacchi, Roby Baggio e capitan Baresi raccoglie applausi dall’altra parte dell’oceano in quella magica avventura di Usa ’94. Da quest’altra parte dell’oceano, si consuma invece il dramma di una Triestina travolta dai debiti e dispersa in C1. Il fallimento societario è solo l’ultimo schiaffo che il destino riserva a questa prestigiosa compagine a cui resta solo la magrissima consolazione della vittoria in Coppa Italia di C.

Si riparte dunque dal Campionato Nazionale Dilettanti e da una nuova denominazione. “Nuova Unione Sportiva Triestina”, ma l’orgoglio, nonostante tutto, è sempre intatto. Si combatte nel pantano della C2 per sei lunghissime stagioni, poi, con la freschezza di un giovanissimo Marco Boriello, arriva il doppio saldo fino in serie B dove al termine della stagione 2002/03 arriva un incredibile quinto posto. Nei cadetti gli alabardati ci resteranno fino al 2010/11. Poi dopo addirittura due fallimenti e l’ennesima ricostituzione, arriva una certa stabilità con l’attuale serie C. E chissà che prima o poi non arrivi davvero quel momento atteso da più di sessant’anni: la serie A.

A Trieste lo splendido Stadio intitolato a Nereo Rocco aspetta in silenzio con i suoi tifosi che non hanno mai smesso di sperare.