Tristan da Cunha, il calcio ai confini del mondo

Sarebbe fantascientifico se un giorno potessimo vedere quest’incredibile isola affiliata a qualche federazione continentale, per affermare definitivamente il successo di questa piccolissima nazionale…


Nel 1506 il navigatore portoghese Tristão da Cunha avvistò un piccolo arcipelago di sole quattro isole, sperduto nel mezzo dell’Oceano Atlantico, quasi a metà tra il Sud America il Sudafrica. Difficilmente, data la scarsa conoscenza geografica dell’epoca, avrebbe potuto immaginare di aver appena scoperto le isole più remote dell’intero pianeta. L’arcipelago, ribattezzato successivamente con il nome di questo marinaio dagli inglesi, dista 2816 km dal Sudafrica, e addirittura 3360 dall’Argentina. In mezzo, il nulla, solo l’oceano, immenso e sterminato. Ma il nostro, caro Tristan da Cunha non avrebbe potuto nemmeno ipotizzare che, in quest’isola semideserta, sarebbe nata la nazionale di calcio più remota di tutte. Una nazionale che può solo scegliere tra una popolazione di soli 264 abitanti, addirittura meno delle piccole isole oceaniche. Una nazionale da guinness dei primati. Sembra incredibile, ma il calcio è arrivato fino lì, fino alle dimenticate isole di Tristan da Cunha.

Sotto il nome di Tristan da Cunha si intende sia il gruppo di isole che compone l’arcipelago, sia l’isola principale. Tutti gli abitanti sono concentrati su quest’isola, la maggior parte di essi nella capitale, Edinburgh of the Seven Seas. Il territorio è sotto la giurisdizione del Regno Unito, che fornisce medici, insegnanti e beni materiali. Curiosità: nell’isola sono presenti solamente 8 cognomi differenti, due dei quali di origine ligure, Lavarello e Repetto. Le attività più praticate sono la pesca di aragoste e l’agricoltura, anche se i maggiori introiti arrivano dall’esportazione di francobolli locali, ricercati dai collezionisti di tutto il mondo.

I primi sport importati sull’isola furono il cricket e il golf, il cui campo viene reputato uno dei peggiori del mondo. Ma è il calcio che ha fatto breccia nei cuori dei locali.I primi racconti riguardo al calcio risalgono ad un libro scritto nel 1926 da Rose Rogers, una missionaria anglicana, che ha vissuto sull’isola insieme al marito per circa tre anni. Ed è stato probabilmente lo stesso reverendo Rogers ad introdurre lo sport sull’isola. Le prime partite, giocate tra locali, non avevano un numero di calciatori per squadra ben definito, e si giocavano su campi destinati all’allevamento di bovini.

Ma intorno agli anni ’40, ci fu una svolta. Per la prima volta, gli abitanti di Tristan da Cunha dovevano affrontare una selezione di avversari stranieri. Si trattavano di pescatori sudafricani e statunitensi, che si opposero ad una selezione formata dagli abitanti dall’isola. Fu questa la prima occasione nella quale Tristan da Cunha selezionò una squadra accostabile ad una nazionale locale. Successivamente vennero affrontati anche avversari provenienti da paesi geograficamente irrangiungibili, come la Norvegia. Dei risultati di queste partite non si ha sfortunatamente traccia.Ma la mancanza di territori nelle circostanza rese difficile a Tristan da Cunha l’organizzazione di partite con avversari stranieri con una certa regolarità. Tutto questo fino al 2005, quando un abitante locale, Leon Glass, decise di formare una vera e propria squadra di calcio, che avrebbe dovuto opporsi ai visitatori di turno dell’isola, assicurando agli amanti di questo sport dell’isola di giocare con discreta continuità.

Leon Glass trovò uno sponsor per le magliette (colori ufficiali bianco e blu), la compagnia di pesca Ovenstone Agencies, e diede vita alla squadra locale, nonchè nazionale a tutti gli effetti del piccolo arcipelago, la Tristan da Cunha Football Club.I risultati della nazionale di Tristan da Cunha finora sono stati più che soddisfacenti: si sono registrate vittorie con larghi margini, come il 10-5 contro l’International Salvage XI nel 2008 (selezione formata da equipaggi di due navi diverse), o il 9-0 contro gli RFA Black Rovers.Sarebbe fantascientifico se un giorno potessimo vedere quest’incredibile isola affiliata a qualche federazione continentale, per affermare definitivamente il successo di questa piccolissima nazionale. Ma prima è bene che qualcuno, munito di gesso, tracci le linee d’area di rigore e di centrocampo sul campo locale (denominato American Fence pitch), almeno per avere un terreno inquadrabile in cui disputare le partite…

A cura di Christian Rizzitelli