VAN BASTEN – VERDEAL – VINICIO – VYCPALEK – VÖLLER
Tre scudetti, due Copppe dei Campioni, due Coppe Intercontinentali, oltre a tre Palloni d’Oro (proprio come Cruijff) arricchiscono il suo albo d’oro. Finché, nel dicembre 1993. giunto al culmine del rendimento, dopo alcuni mesi strepitosi (12 gol in 13 partite), il riacutizzarsi degli ormai cronici problemi alle caviglie lo costringono a volare in patria, dal fidato professor Martens. Il nuovo intervento chirurgico segna l’inizio di un calvario: trascorre più di due anni sempre alle dipendenze del Milan, costretto ad osservare i compagni da bordo campo, fra voci di un possibile rientro e di un definitivo ritiro. Solo nel 1995, dopo una impari lotta con le stampelle, Marco Van Basten si arrende, dando addio al calcio tra i rimpianti di tutti gli appassionati.
Poi, qualcosa si incrinò, il dissidio col connazionale Del Vecchio si allargò al resto dello spogliatoio, al punto da indurre Vinicio a meditare il ritorno in patria. Si fece però avanti il Bologna e l’attaccante sbarcò sotto le Due Torri, per un paio di stagioni senza infamia né lode, complicate dalla presenza dell’astro nascente Nielsen. Nel 1962, ormai trentenne ed apparentemente avviato al declino, fu ceduto al Vicenza, classico capolinea di vecchie glorie. L’aria di provincia giovò al mai sopito leone, che tornò a ruggire come ai tempi d’oro di Napoli. Al quarto anno in Veneto, a 34 anni suonati, fu capocannoniere del torneo, con 25 reti. Una stagione all’Inter, da panchinaro di lusso, poi il rientro a Vicenza, per una chiusura di carriera col botto, prima di diventare allenatore di discreto successo.
Dotato di un tocco grezzo, il boemo era però sostenuto da una notevole prestanza atletica, che faceva di lui un inesauribile rifornitore del reparto avanzato. Dopo quattro fertili tornei nella massima divisione, passò ormai trentunenne al Parma, in C. Assieme al ritrovato Korostelev, che ne aveva caldeggiato l’acquisto, formò il nerbo di un Parma capace di raggiungere in due stagioni la cadetteria. Solo nel 1958, a 37 anni suonati, il popolare “Cesto” lasciò il calcio giocato. Divenne allenatore di successo, conquistando due scudetti con la Juventus e lanciando in orbita il nipote, Zdenek Zeman.
Seppur pressato da richieste di altri club, Rudi decise di risalire la china coi compagni. La promozione fu immediata, Völler fu capocannoniere con ben 37 gol. Il Monaco cedette alle lusinghe del Werder Brema, dove il centravanti confermò le sue doti, che gli valsero un posto fisso in Nazionale. Mancava solo l’Italia, a quell’attaccante agile nel dribbling, abile nella manovra e spietato sotto rete, di testa e di piede. Solo nel 1987 accettò il trasferimento alla Roma. La sua prima stagione fu travagliata. Facile agli infortuni, fu costretto a giocare un campionato a spezzoni, avvelenato dalle polemiche sulle sue “fughe” per farsi curare dal fisioterapista di fiducia in Germania. Ma non era un bidone. Il vero Völler, centravanti completo, esplose nelle quattro stagioni successive, conquistando l’affetto dei tifosi. Poi, la conquista della Coppa del Mondo a Roma, nel 1990, contro l’Argentina di Maradona. Ceduto al Marsiglia, fa in tempo a vincere la Coppa dei Campioni del 1993 prima di chiudere nel 1996 con il Bayer Leverkusen.