VIOLA Dino: un sogno chiamato Roma

Toscano di nascita, romano e romanista d’adozione, Dino Viola contende a Franco Sensi il titolo di presidente più amato della storia della Roma.

I patron degli ultimi due scudetti infatti possono essere obiettivamente considerati un passo avanti a presidenti, pur importanti, come Italo Foschi, fondatore della Roma, Edgardo Bazzini, il patron del primo scudetto, e Renato Sacerdoti, alla guida del club per 13 anni.

La biografia di Dino Viola
Nato da genitori spezzini (Pietro e Maria Castelli) il 22 aprile 1915 ad Aulla, in provincia di Massa Carrara, Adino Viola (questo il suo nome all’anagrafe) è, con Nils Liedholm, l’artefice del secondo scudetto romanista, nel 1983. La sua passione per il giallorosso parte da lontano: «Andavo a Campo Testaccio partendo da via Labicana sui respingenti dei tram – racconta in un’intervista –. Ho giocato a Testaccio nei ragazzi giallorossi con mister Burgess. Poi il mio amico Silvio Piola mi portò alla Lazio per un provino, andò bene, non continuai solamente perché ero attratto dai colori della Roma».

Si schianta in aereo, ma sopravvive
Il 30 aprile 1942 sposa Flora da cui avrà i figli Riccardo (nato nel 1943), Ettore (nato nel 1947, prende il nome del fratello maggiore di Dino, nato nel 1894 e scomparso nel 1986, che fu medaglia d’oro al valor militare, deputato e senatore) e Federica. Dino è un giovane ufficiale dell’aeronautica di stanza a Pontedera e continua a seguire la Roma, che di lì a qualche settimana diventerà campione d’Italia per la prima volta.

I due neosposi il 7 giugno sono a Livorno, dopo una lunga passeggiata in bicicletta di oltre 40 chilometri, per vedere la partita tra i padroni di casa e la Roma allenata da Schaffer. I giallorossi vincono 2-0. Decidono le reti di Pantò, che colpisce anche una traversa, e Amadei. È la penultima giornata di campionato, la Roma ha un punto di vantaggio sul Torino e vince lo scudetto sette giorni più tardi, superando il Modena in casa. In quegli anni, impiegato nell’aeronautica come pilota collaudatore del bombardiere strategico quadrimotore P. 108 B della Piaggio, gli capita di atterrare in picchiata fracassando il muso del suo velivolo sulla pista e cavandosela, miracolosamente, soltanto con qualche ferita. Da lì in poi gli resterà un certo timore per i voli in aeroplano.

Per anni continua a seguire la Roma da appassionato: Luciano Tessari, portiere giallorosso negli anni Cinquanta e poi vice di Nils Liedholm, ci ha raccontato personalmente più volte di ricordare Dino Viola tifoso passare ore a discutere di calcio, in modo preciso e competente, con altri supporters a viale Tiziano, sede del club giallorosso dal 1955 al 1965.

Belle persone sorridenti: Viola, Falcao e Liedholm

Laureato in ingegneria meccanica industriale, il futuro patron giallorosso entra nel consiglio della Roma nel 1963, quando alla presidenza c’è Franco Marini Dettina. Vicepresidente al tempo di Alvaro Marchini, saluta al momento dell’insediamento di Gaetano Anzalone che, nel giugno 1971, non vuole nessuno della precedente e contestata gestione. Nel 1975 Dino Viola rientra come consigliere e racconta: «In realtà Anzalone mi aveva pregato di restare, ma risposi di no perché ritenevo concluso un ciclo». In questi anni matura la crescente ambizione di guidare la società giallorossa e si “allena” facendo il presidente del Palestrina, prendendo peraltro l’ex romanista Amos Cardarelli come allenatore.

Dino Viola diventa presidente e richiama Liedholm
Il sogno si avvera il 16 maggio 1979 quando Viola acquisisce il pacchetto di maggioranza della Roma insieme al socio e amico d’infanzia Antonio Cacciavillani, diventando presidente al posto di Anzalone. Freddo per natura, Viola è serio e diligente: entra in sede la mattina presto e ne esce la sera, se non a notte inoltrata. Imprenditore dinamico e lavoratore, non ha un attimo di pace. Per dedicarsi a tempo pieno ai giallorossi dà in gestione la sua azienda di macchinari di precisione per attrezzature militari che ha a Castelfranco Veneto sin dal 1948. Il giorno dopo l’insediamento, nel pomeriggio, gli squilla il telefono di casa, Dino risponde e dall’altra parte Liedholm, fresco campione d’Italia con il Milan: gli annuncia che vuole accettare la proposta di tornare a guidare la Roma, cosa di cui avevano parlato mesi prima. Lo svedese firma un contratto triennale e così inizia una splendida avventura. In quel ’79 torna Bruno Conti dal Genoa, il “bimbo” Carlo Ancelotti viene preso dal Parma (per 300 milioni più le comproprietà di Casaroli e Zaninelli), altri acquisti sono gli esperti Romeo Benetti e Maurizio “Ramon” Turone.

Il 23 settembre 1979, seconda giornata di campionato, Dino Viola assapora per la prima volta il gusto della vittoria da presidente giallorosso in Serie A, ma quel successo gli costa, in senso letterale, caro. La Roma si impone 3-2 sul campo del Pescara. Il patron però, prima della partita, al momento di lasciare l’albergo di Francavilla a Mare per recarsi allo stadio, scopre di essere stato derubato del suo portafogli. Al suo interno c’è qualche milione di lire, finito nelle mani di qualche ladruncolo. «La vittoria di Pescara, il primo posto in classifica e la passione dei tifosi hanno già cancellato tutto», dice Viola dopo la partita. Quella prima stagione si conclude con un discreto settimo posto e la vittoria in Coppa Italia, che esalta i tifosi dopo tanti anni di digiuno. La “Rometta” di Anzalone è ormai dimenticata.

Dino Viola, il Re dello Stadio Olimpico

Falcão e il titolo sfuggito per una “questione di centimetri”
È il 1980 ed è tempo di cercare un calciatore straniero: le frontiere del calcio italiano vengono riaperte dopo 14 anni di embargo. A primavera Viola insegue vanamente Salvatore Bagni del Perugia e fatica a trovare un campione fuori dall’Italia. Il presidente, in costante contatto con Liedholm, chiede nell’arco di pochi giorni Zbignew Boniek, Karl Heinz Rummenigge, Liam Brady e Ruud Krol. Poi trova un buon contatto per Arthur Zico, il migliore giocatore brasiliano del momento. Il “Galinho” è ben disposto a trasferirsi a Roma, ma il suo Flamengo chiede 4 miliardi di lire, troppi per la Roma. Così la sesta scelta, che si rivelerà indovinata, è Paulo Roberto Falcão, 27enne centrocampista dell’Internacional di Porto Alegre, che viene acquistato per un milione e mezzo di dollari.

Nasce così la Roma che, nel 1980-81, sfiora lo scudetto penalizzata dal gol ingiustamente annullato a Turone nello scontro diretto con la Juventus, poi campione d’Italia. Viola, con grande signorilità, parla di un campionato perso “per una questione di centimetri” e il presidente della Juve Giampiero Boniperti, al raduno arbitrale della stagione successiva, gli regala ironicamente un metro. Viola replica al patron bianconero: «Serve più a te che sei geometra (che non a me che sono ingegnere, n.d.a.)». La Roma comunque vince un’altra Coppa Italia mentre nel patron matura sempre più la voglia di combattere i poteri forti del nord, Juventus e Inter in testa.

Uno scudetto da sogno e la lotta al “palazzo”
L’appuntamento con la storia è soltanto rinviato al 1983 quando la Roma vince lo scudetto con una formazione formata da Tancredi, Nela, Vierchowod, Ancelotti, Falcão, Maldera, Conti, Prohaska, Pruzzo, Di Bartolomei e Iorio. Viola però è ambizioso e, nel giorno del trionfo, dice: «Questo scudetto è una tappa, una piccola tappa». Quella successiva è la Coppa dei Campioni, ma la sua Roma la perde proprio sul più bello, in finale all’Olimpico, contro il Liverpool ai rigori. È il 30 maggio 1984, una data che tutti i romanisti conoscono. Rimane come consolazione un’altra Coppa Italia poi si consuma l’addio a Liedholm e a capitan Di Bartolomei.

Dino Viola coinvolge sin dall’inizio nella gestione della Roma, come consiglieri del club, anche i figli Ettore (che diventa per qualche anno anche patron della Roma Barilla di calcetto) e Riccardo (editore, diventato nel 2013 presidente del Coni Lazio dopo 11 anni a capo del comitato provinciale di Roma).

Con Rudi Voeller

Sono gli anni in cui il presidente inventa “il violese”, un linguaggio un po’ sibillino con cui “dice e non dice” lanciando messaggi anche molto duri nei confronti dei suoi avversari nel “palazzo del potere”. Fa le sue battaglie senza paura: ingaggia Cerezo, nel 1983, fuori dai termini prestabiliti e ha la meglio a forza di carte bollate. Prende come allenatore lo svedese Eriksson, nel 1984, quando non si possono tesserare allenatori stranieri e, dopo mesi di braccio di ferro, ottiene che vada in panchina. Decide di licenziare il suo fuoriclasse Falcão, nel 1985, e vince la vertenza. Non gli riesce soltanto di costruire uno stadio tutto per la Roma, idea comunque in netto anticipo sui tempi.

Si candida alle elezioni politiche subito dopo la vittoria dello scudetto, diventando senatore per la Dc dal 1983 al 1987, ma ci tiene a precisare che l’ha fatto perché chiestogli da amici e non per sfruttare la notorietà sportiva. Franco Evangelisti, ex presidente della Roma e a lungo deputato e senatore Dc, è il suo grande sponsor mentre Giulio Andreotti è suo amico nonché storico tifoso romanista. All’epoca Viola gira su una Bmw e qualcuno nota subito che la lettera sulla targa è una W, come viva o vittoria.

Il caso Vautrot e la stretta di mano a Totti
La sua Roma sfiora ancora lo scudetto nel 1986, con la scalata al titolo fermata dal già retrocesso Lecce, e rivince la Coppa Italia. Arriva gente come Boniek e Manfredonia (che spacca la Curva Sud) e scoppia il caso Vautrot. Lo accusano di essere partecipe di un tentativo di corruzione dell’arbitro di Roma-Dundee United di Coppa dei Campioni, ma lui riesce a dimostrare che, a fronte del reale passaggio di soldi (100 milioni), aveva informato per tempo la Federcalcio. Così la Roma si salva dall’esclusione dalle coppe europee mentre Viola va comunque incontro a una squalifica di 4 anni da parte dell’Uefa. In sede penale il presidente giallorosso viene invece risarcito come soggetto truffato dai due intermediari che gli avevano proposto la combine.

L’ultimo regalo che fa alla Roma è l’acquisto di Aldair dal Benfica, nell’estate del 1990, prima di dover fronteggiare il caso doping di Peruzzi e Carnevale (squalificati per un anno) e scontrarsi ancora con i poteri forti e occulti del calcio italiano. Fa in tempo anche a conoscere un 14enne talento che milita nel settore giovanile giallorosso, durante la festa di Natale di tutti i dipendenti della Roma, a Trigoria. Quel giovane è Francesco Totti, cui Dino Viola stringe la mano dicendo «mi dicono che sei bravo, continua così».

L’eredità
Scopre che la sua vita è appesa a un filo il 27 dicembre 1990. È a Cortina per le vacanze natalizie e si sottopone a una visita medica: da qualche tempo non si sente bene, ha poco appetito. Scopre il male, ma chiede la massima riservatezza e il giorno successivo viene operato a Pieve di Cadore per l’asportazione di parte del fegato e del colon. Viola resta in ospedale una decina di giorni, migliora lentamente e se ne torna nella sua amata casa romana il 10 gennaio, ma quattro giorni più tardi deve rientrare d’urgenza in clinica e muore sabato 19 gennaio 1991, dopo un nuovo intervento chirurgico. All’indomani la Roma ospita il Pisa: all’Olimpico c’è un’atmosfera surreale, triste, appesantita dalla tensione internazionale per la Guerra nel Golfo scoppiata tre giorni prima in Iraq. I giallorossi, commossi e svuotati, perdono 2-0. Il presidente viene sepolto al cimitero del Verano, dove andrà a fargli compagnia anche la vedova Flora, scomparsa il 10 maggio 2009 a 86 anni.

«Ho avuto solo due amori, la Roma e mia moglie», è una delle celebri frasi di Dino Viola e proprio la consorte Flora gli subentra alla presidenza in attesa di vendere la società a Giuseppe Ciarrapico. Le parole della signora Viola, qualche giorno dopo il lutto, rendono l’idea di quale fosse il legame tra il suo Dino e i colori giallorossi. «Io gelosa della Roma? Una volta soltanto, nel ’76 – racconta Flora al Corriere dello Sport – ci trovavamo a Chianciano e, pochi lo sanno, mio marito rischiò la vita. Fu ricoverato d’urgenza per un’ulcera perforata. Al risveglio dell’operazione mi disse: “Flora, mi sarebbe dispiaciuto morire. Non ho ancora fatto nulla per la Roma”. Io ci rimasi malissimo. Poi capii. Il calcio era la sua grande passione».

Piazzale Dino Viola
Il 19 gennaio 1995, il Comune di Roma onora la memoria del presidente intitolandogli una piazza della città. Il luogo scelto, e non poteva essere altrimenti, è il piazzale che si trova davanti uno degli ingressi del centro sportivo della società, il “Fulvio Bernardini”. Da quel giorno, esiste Piazzale Dino Viola.

  • testo di Adriano Stabile