Vladimiro Caminiti &…: Mondiali 1930

L’incredibile storia del primo Mondiale di Calcio, Uruguay 1930, raccontata dal grande Vladimiro Caminiti


PERÒ si giocava meglio di oggi, dicono i vecchi. In quanto vecchi, non li sta ad ascoltare nessuno. Si parlano da soli, sono sempre più smemorati. E chissà quanto è vecchio Luisito Monti, il quale balza al proscenio proprio a Montevideo, in occasione del primo Mundial. Chi scrive l’ha conosciuto ben bene, trasformato in un grifagno vecchione rettangolare dagli occhi di un freddo cristallo. Ridacchiava infido senza denti accanto ad un frugolino biondo. Succedeva all’Hindu Club di Buenos Aires in altri giorni. I giorni si ammonticchiano ai giorni, bisogna sollevarne una montagna per riportarci al primo Mondiale. 1930, 13 luglio – 30 luglio.

Squadre partecipanti: Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Francia, Belgio, Jugoslavia, Romania, Uruguay, USA, Perù, Messico, Paraguay. Appena tredici formazioni. L’Europa rappresentata soltanto da quattro Paesi. «La Gazzetta dello sport» ignorò l’avvenimento e la notizia della partita di finalissima che assegnava il primo Campionato del mondo di calcio venne isolata sotto un occhiello calcio, su una colonna, con questo titolino ineffabile: «L’Uruguay vince il campionato di Montevideo sconfiggendo per 4 a 2 l’Argentina».

EUROPA. Ma trasferiamoci seduta stante a Montevideo in Uruguay per l’inaugurazione del primo Campionato del Mondo di calcio, ideato e voluto da Jules Rimet, presidente della FIFA, soprannominato «il topo bianco». A Montevideo, è inverno. Fiocca la neve. È il primo grosso problema per gli organizzatori, che hanno predisposto per lo svolgimento della manifestazione tre stadi. Nei due periferici della capitale si disputeranno le partite introduttive; quelle di semifinale e finale si svolgeranno invece nel nuovo Stadio del Centenario. Grande favorito è l’Uruguay.

Nel 1930, il calcio è più vasto e ricco e sfaccettato delle tredici formazioni che lo rappresentano a Montevideo. Nella vecchia Europa si gioca il gran calcio. L’Italia è stata l’ultima ad allinearsi. In Cecoslovacchia, Franz Delut, eminente critico, scriveva nel 1924 che «le squadre italiane starnazzano tutte come galline dietro il pallone». Intendeva dire la fulgida verità di un egoismo frontale e viperino che ci esaltava con tipi come Zizi Cevenini, dallo sperticato talento, ma riguardava tutti, tutti a correre dietro il pallone per conquistarlo e cominciare a dribblare. Ben altra cosa, negli anni venti, era il calcio austriaco, ungherese boemo, danubiano in genere.

A migliorare il nostro calcio dovevano essere proprio i danubiani, innanzitutto gli allenatori: si pensi a Carl Sturmer, centr’half austriaco, che veniva ad allenare Reggiana e Torino; a Hermann Fellsner, anche lui austriaco; a Jeno Karoly, che allenò Savona e Juventus ed adorava Verdi; a Ging e Feldmann; a Payer; a Banas; a Weisz; a Feher. E altri. L’Italia era già la mecca, come lo sarebbe stato di più nel secondo dolente dopoguerra. Ma non si può negare che fecero scuola anche il centromediano ungherese Jozsef Viola (1896-1949) che aveva ambizioni di giornalismo; o la «gazzella» Ferenc Hirzer con la Juventus che andava a cominciare la sua leggenda. Il gioco nostro venne influenzato dalla tecnica danubiana, cominciando dallo stop e proseguendo con lo spirito di gruppo, cioè di squadra, anche se risultava assai problematico farlo capire ai nostri passionali prototipi. Nel 1930, insomma, eravamo indietro e lo saremmo rimasti ancora a lungo.

Argentina-Cile: Manuel Ferreira e Guillermo Subiabre

SUDAMERICA. Montevideo è definita una città garibaldina in ragione del fatto che ci ha dimorato l’eroe dei due mondi. A Montevideo, nelle Calle 25 de Mayo, c’è ancora la casa di Garibaldi, monumento nazionale. Montevideo si può ritenere in certo modo una città italiana. E certamente è una citta fascinosa, con i suoi eleganti quartieri, i suoi vividi palazzi ottocenteschi, le ville tra gli oleandri e i pini.

Nel 1930, celebrava la festa del centenario dell’indipendenza con la nascita dello Stadio che si sarebbe proprio inaugurato con Uruguay-Perù del 18 luglio, arbitro il celebre John Langenus (1891-1952): dirigeva le partite in abito da golf, era altissimo, uno storico insigne con l’hobby della tecnica del calcio. Uruguay e Argentina sono nemiche e sorelle, si odiano cordialmente. La sapienza del calcio bonarense, che è di palleggi sfrenati e rapinosi, con un concetto del calcio melodiosamente egoista, tutto per il bello, il bello prima del gol, si scontra con il sapiente calcio rasoterra dell’Uruguay che ritiene preminente il successo allo stesso piacere balistico. Uruguay e Argentina si contendono il titolo olimpico nel 1928 in due partite accanitissime, la prima il 10 giugno non risolve nulla; si gioca la «bella» il 13 giugno nello stadio di Amsterdam semivuoto, in un gelido mattino con un pallidissimo sole, una lama crepuscolare, sul prato verdissimo.

Agli ordini dell’arbitro Job Mutters, le squadre si schierano, specialmente l’Uruguay, molto rinnovate rispetto al 10 giugno. Questa volta fatalmente prevale il concetto del gioco di squadra dell’Uruguay. Nel primo tempo, gol di Figueroa e Monti; nella ripresa gol della vittoria di Scarone. Sempre, nella partita combattutissima ed ardente, i prodigi del portiere Mazzali, di nome Andrès ventottenne, che para tutto. Ed insieme a lui Josè Nasazzi , solidissimo e potentissimo difensore e condottiero, un uragano di iniziative. Lo chiamano «el terrible». Nell’Argentina, si distingue l’ala mancina Orsi, piccolo e coraggioso, un dribbling inafferrabile come una manciata di coriandoli gettata nel vento. Ha una diabolica finta in corsa. Un tiro tagliato e potente. Soprattutto, sa attaccare da ogni zona di campo. La Juventus va ad acquistarlo con un ingaggio principesco di 8.000 lire mensili, anticipandogli 100 mila lire ed una «Topolino». Bisogna che gli oriundi siano considerati italiani a tutti gli effetti. Arpinati, in nome del Duce, guida la battaglia e la vince.

L’arbitro belga Langenus

ARBITRI. Il primo Campionato del Mondo di calcio si inizia a Montevideo il 13 luglio 1930, con Francia-Messico. Arbitro l’uruguaiano Lombardi, il match si conclude 4 a 1 per i gallici. Il primo gol della storia è di Lucien Laurent, mezzala sinistra dei francesi. Carmelo Silva ha ricostruito con la sua proverbiale disegnata il momento e dato questa patente «Laurent ha avuto il pallone dal capitano Alex Villaplane che nel 1945 sarà fucilato con l’accusa di collaborazione a favore dei tedeschi. La partita termina 4 a 1 per i francesi e Laurent, incredibilmente, la conclude tra i pali, a sostituire il suo portiere Thepot, un impiegato alle dogane».

I due stadi impegnati nella fase introduttiva sono il Parque Central ed il Pocitos, stadi periferici di Montevideo. E non si può certo dire che si affollano per tutte le partite. Ad esempio, poca gente sulle scalee al Pocitos per ArgentinaFrancia, arbitro il brasiliano Rego, che ne combina di tutti i colori. Questa dell’arbitro che assurge a protagonista è una storia del tempo moderno. Nasce al Pocitos nel meriggio del 15 luglio, tre giorni avanti all’inaugurazione dello Stadio del Centenario. Il Pocitos ha soltanto due tribunette scoperte, è uno stadio alquanto scalcagnato. Poche migliaia di spettatori irridono ad Argentina e Francia, facendo un tifo ribaldo per i francesi in odio agli argentini. Rego è un ometto che si aiuta a vivere con un paio di baffetti nerissimi. Si sente il fiato degli spettatori quasi addosso, forse ha paura, molte sue decisioni sono strampalate, assurde. Il pubblico la prende a ridere.

La partita ha un brutto andamento, per il semplice fatto che le due avversarie si temono abbastanza. La Francia cerca di affondare l’azione così come i sudamericani la rallentano. La partita vede il gioco meglio coordinato e più veloce dei francesi scontrarsi con i palleggi ed i virtuosismi «persecutori» dei sudamericani. Ogni giocatore sudamericano si sente in diritto di umiliare in dribbling il suo avversario. Ma non ce la fa sempre, allora battibecchi, insulti ed il piccolo Rego convocato sul posto si agita come un ossesso per riportare la calma in campo. La partita precipita all’inizio della ripresa. V’è un calcio piazzato sul limite, abbastanza centrale. I francesi si accingono a formare la barriera. Si consultano tra loro. Quel barilotto di Luisito Monti schiaccia l’occhio ad un compagno e senza rincorsa piazza un destro violentissimo tra i pali del portiere francese che rimane con un palmo di naso, poi si infuria, si precipita, seguito dai compagni, sull’arbitro, che fa finta di niente. «Rigular, rigular», e corre verso il centro del campo inseguito dalla frotta. Niente da fare. Gol accordato.

A cinque minuti dalla fine altro capolavoro di Rego. Manda tutti negli spogliatoi con il triplice fischio. Nel suo camerino, i guardalinee gli fanno notare l’errore. Non ci pensa due volte. Ripiomba in campo e fa richiamare le squadre che erano già sotto la doccia. Negli altri match del primo girone Cile-Messico 3-0 (il 16 luglio), Cile-Francia 1-0 (il 19), Argentina-Messico 6 a 3 (il 19), Argentina-Cile 3-1 (il 23). Vince il girone l’Argentina. Secondo, terzo e quarto girone vedono Jugoslavia-Brasile 2-1, Jugoslavia-Bolivia 4-0, Brasile-Bolivia 4-0, Romania-Perù 3-1, Usa-Belgio 3-0, Usa-Paraguay 3-0, Paraguay-Belgio 1-0. Il 18 luglio, festa dell’indipendenza uruguayana, è il giorno cruciale dei padroni di casa. Si inaugura lo Stadio del Centenario con Uruguay-Perù. La lotta è di palpitante incertezza. Ma tutti i salmi finiscono in gloria. L’Uruguay, piegato 1-0 il Perù, andrà a strappazzare la Romania (4 a 0). In semifinale, approdano Argentina, la sorprendente formazione degli Stati Uniti, la Jugoslavia e l’Uruguay. Le partite si disputano il 26 luglio (Argentina-Usa 6 a 1) ed il 27 luglio (Uruguay-Jugoslavia 6 a 1).

Il team della Romania

FINALISSIMA. I giorni volano, lo Stadio del Centenario svela agli attoniti visitatori la sua bellezza di linee monumentali. 30 luglio, la finalissima. Come sono questi profeti del gioco del calcio, il più ribaldo e fantasioso gioco inventato dagli umani? Sono santi, profeti, eroi, gli Andrade, Scarone, Monti, Varallo, Stabile eccetera? In Argentina non ha senso la squadra, ha senso la rabbia del singolo che va a cacciare la vittoria per regalare all’occasionale compagno la gioia voluttuosa del gol. Il calcio è godibile e vorticoso come un tango. L’Uruguay ha un concetto più evoluto, il calcio è anche ragionamento di gruppo, meglio la vittoria di ogni gloriosa sconfitta. Il momento del pallone in rete ripaga di tutto.

L’Uruguay ha nozione strategica del calcio. Il suo gol non è «corale» come quello danubiano, ma più geometrico e fiondante. L’Uruguay ama il gioco in verticale, la profondità. Il suo possesso di palla nelle triangolazioni rasoterra anticipa ulteriori conquiste. L’Argentina danza, l’Uruguay scatta. Lo stadio del Centenario è solenne e maestoso sotto il sudario del cielo. Si vanno a «matare» gli argentini. Le immense scalee concentriche rigurgitano di gente. Si calcola che gli spettatori sono almeno novantamila. Il clima attorno è turgido. I ventimila tifosi argentini sono stati scrupolosamente requisiti agli ingressi. Oplà. Dovunque, poliziotti a cavallo, soldati con le baionette inastate. Cosa è, una guerra? Langenus, proprio lui, l’amante del golf, ha preteso una assicurazione sulla vita per accettare di dirigere.

EL FILTRADOR. Entrano in campo le squadre. Argentina: Botasso; Della Torre, Paternoster, Juan Evaristo, Monti, Suarez; Peucelle, Varallo, Stabile, Ferreira, Mario Evaristo. Uruguay: Ballesteros; Nazzasi, Mascheroni; Andrade, Fernandez, Gestido; Dorado, Scarone, Castro, Cea, Iriarte. Questo è un calcio da èpos, se n’è perso il profumo. Il calcio come un rito pedestre, i grandi marpioni argentini e uruguaiani si sfidano nei colpi più raffinati. Nel primo quarto d’ora sembra prevalere il genio di Andrade che ispira a Dorado un gol portentoso al dodicesimo minuto. La reazione argentina è tambureggiante e il «filtrador» Stabile con una delle sue irruzioni in palleggio pareggia. Qui il match si accende ulteriormente, senza scadere sul piano tecnico. È vero che le due squadre si equivalgono e, forse, da parte bonarense, c’è uno stile più seducente nei suoi solisti. Ma il calcio è pure strategia applicata.

Nella ripresa, Stabile ha un altro dei suoi spunti meravigliosi e porta in vantaggio l’Argentina. L’Uruguay replica nel boato ascendente della folla. I ventimila argentini spariscono nel vortice, compresi quelli in campo, inghiottiti dalla supremazia sentimentale dell’ambiente. L’Uruguay funziona come un mantice, la spinta è travolgente, al 10’ pareggia Cea, al 20’ Iriarte segna il gol della vittoria. I bonarensi tentano la disperata reazione, ma in contropiede va a castigarli Hector Castro, che si caratterizza per il fatto che questo quarto gol manca di una… mano, la sua sinistra. Hector, ex falegname, l’ha persa sotto una sega elettrica. La vittoria è più dolce, condita dalle lacrime di questo singolare campione. Uruguay 4, Argentina 2. All’Uruguay il primo titolo di campione del mondo del calcio. Tàca Rimet.

I capitani della Finalissima: l’uruguaiano Nasazzi e l’argentino Ferreira

URUGUAY. Nazzari, Andrade, Scarone, Cea, Urdinaran, Petrone, Guaita, Demaria, Mascheroni, saranno per noi italiani, nomi uruguayani preziosi. Alcuni verranno a giocare nelle nostre squadre, anche senza molta fortuna, come Scarone; altri con sfacciato opportunismo; o per la singolare caratteristica di essere, ad esempio Mascheroni, sì dei difensori, ma con un concetto tattico estremamente innovatore. Mascheroni, nell’Inter inventava gioco dalle retrovie. Si deve dire che l’Argentina aveva talenti che i nostri osservatori non si fecero scappare. Oltretutto, nelle due squadre v’erano tanto sangue italiano per via di nonni ed antenati sparsi. Guillermo Stabile segnò otto gol in quel Mundial. Lo doveva ingaggiare il Genoa. Mumo Orsi andò, invece, lo sapete, ancora prima, alla Juventus.

E quanto a Luisito Monti aveva qualità di piede, gran tiro e passaggi trancianti, ma anche un caratteraccio. Pianterà i tacchetti sulla pancia a Sindelar; spezza una gamba al bolognese Schiavio. Ma con lui, non si può negare, la Juventus di Edoardo Agnelli potenzia il suo schema tattico difensivo, avendo un uomo capace di abbinarsi a Giovanni Ferrari in quel «gioco all’italiana» che doveva patrocinare i cinque scudetti consecutivi. Ricordi lontani! E il Mundial? 13 luglio-30 luglio 1930, il Campionato mondiale di calcio è realtà. Disputate diciotto partite con settanta gol media partita 3,88. Cannoniere Stabile: 8 gol; poi 5 gol Cea e 4 Subriabre. Avevano arbitrato Langenus, Rego, Vallarino, Macias, Balway, Matteucci, Tejada, Warken. Jules Rimet gongola. Gli incassi sono stati splendidi. È nato l’affare del secolo.

  • di Vladimiro Caminiti – apparso sul Guerin Sportivo, 1986