Vujadin Boskov – Intervista marzo 1991

Alla vigilia della conquista del suo primo scudetto, Boskov si confessa in questa bella intervista di Renzo Parodi (Guerin Sportivo marzo 1991)


E’ un impagabile «ragazzo» di sessant’anni. Un esemplare da museo — ma non come vorrebbero i suoi detrattori — da tramandare ai posteri, quale esempio di bipede calcistico capace di sorridere nella cattiva sorte. Vujadin Boskov, nel mare burrascoso del pallone, galleggia da più di quarant’anni con perizia. Calciatore professionista dal ’49 al ’62. Nazionale jugoslavo per 58 volte. Due campionati del mondo (’54 e ’58), le Olimpiadi di Helsinki nel ’52.

Lo chiamano lo zingaro del calcio e non la prende come una mancanza di riguardo. Boskov era cittadino del mondo da molto tempo prima che crollassero muri e frontiere. Da calciatore ha chiuso in Svizzera, nello Young Fellows di Zurigo, dove ha cominciato ad allenare. È tornato in patria, a Novi Sad in Vojvodina, c’è rimasto dieci anni, trovando il tempo di dirigere anche la Nazionale jugoslava.

Poi s’è messo a girare l’Europa. Olanda (Den Haag e Feyenoord), Spagna (Real Saragozza e Gijon). Per tre anni è rimasto seduto sulla mitica panchina del Real Madrid, con le «merengues» ha vinto uno scudetto e due Coppe del Re. Nell’81 ha mancato la vittoria nella finale di Coppa dei Campioni col Liverpool di Souness e Dalglish. Una ferita mai rimarginata.

L’avventura italiana è iniziata nell’84, a Ascoli. Arrivato a novembre, non riuscì a salvare la squadra, ma la riportò l’anno dopo in Serie A. Nella Sampdoria è tornato nell’86. Tornato perché c’era venuto da calciatore, nel ’61, e fu poco più di una vacanza. Doveva rimediare. Ha vinto due Coppe Italia (’88 e ’89) e la Coppa delle Coppe nel ’90.

Qualche «penna» illustre (o presunta tale) lo ha messo nel mirino. E lo attacca a tutto spiano. Boskov fa spallucce («In Italia tutti possono dire loro opinione»). Da antico santone non si lascia fregare dal temperamento. Non accetta duelli. Semina sorrisi. Mischia simpatia e ascendente e spesso il sortilegio gli riesce. Sa come prendere i suoi ragazzi che sono puledri di razza, dunque capaci di inalberarsi, se strigliati contropelo. Il celebre clima-Sampdoria è anche merito suo, delle sue arti di fine diplomatico incline a sgonfiare i veleni dal pallone.

Eppure Boskov non ha rinunciato a se stesso. In un club che ha fatto quasi una religione della sua politica di basso profilo — mai polemiche, mai attacchi personali — Boskov si permette il lusso di spargere umorismo e a volte schizzar acido prussico. Qualche volta va oltre le righe — quando accostò calcisticamente il suo cane a Perdomo — ma paga dazio e si salva l’anima. Alla soglia dei sessanta (li farà il 9 maggio) Boskov è chiamato alla prova suprema: vincere uno scudetto con la società più fresca di storia tra le grandi. Lui ci crede. Si gode il mare di Pieve e rimanda le battute di caccia alla starna nella campagna di Bled, dove ha un’altra splendida dimora.

L’idea della pensione? La respinge sdegnato. Difatti pensa già alla Coppa dei Campioni. E intanto parla a ruota libera col Guerino. Di Mancini e della Nazionale. Di Vialli accusato ingiustamente del disastro azzurro a Italia ’90. Polemizza con Agroppi e Scoglio («gli allievi adesso criticano i maestri»), svela la sua Nazionale ideale: con Vialli e Mancini, Vierchowod e Lombardo, naturalmente.

E si lascia andare a qualche sogno a occhi (e bocca) aperti. Fornendo un’involontaria anticipazione di mercato. Robert Prosinecki, il giovanissimo talento jugoslavo della Stella Rossa di Belgrado è in trattative col Real Madrid. Se l’affare andasse in porto forse Michel avrebbe via libera per l’Italia. Destinazione Sampdoria, naturalmente. Dove troverebbe il maestro che lo lanciò in prima squadra: Vujadin Boskov, appunto. Ancora sulla panca blucerchiata. O forse nei paraggi.


— La Sampdoria non è mai stata tanto vicina a uno scudetto. Il difficile però viene adesso. Anche perché pochi vi amano, nel Palazzo e dintorni…
«L’anno scorso abbiamo perso lo scudetto contro quattro squadre poi retrocesse: Ascoli, Verona, Udinese e Cremonese. La Sampdoria non era capace di giocare con lo stesso ritmo contro le grandi e le meno grandi. Per questo abbiamo pagato. Quest’anno abbiamo cambiato mentalità. A Cesena non abbiamo giocato molto bene, ma abbiamo vinto. Contro la Roma abbiamo sofferto molto, contro la Fiorentina moltissimo, però abbiamo preso quattro punti. Il gioco si dimentica, i risultati rimangono. E fare calcio pratico vuol dire avere la maturità giusta».

— Eppure a ogni caduta la squadra viene accusata di non essere matura.
«Nella nostra epoca c’è una democrazia che permette tutto. Nessuno ha responsabilità per quello che dice. La Sampdoria ha vinto a Napoli 4-1, ha battuto il Milan a San Siro 1-0, l’Inter a Marassi 3-1 giocando dieci contro undici e pareggiato 0-0 a Torino con la Juve: e nessuno ha detto: “la Sampdoria è la più grande di tutti”. Però quando abbiamo perduto 1-0 a Lecce o 2-1 col Genoa allora la Sampdoria è diventata immatura. L’anno scorso abbiamo fatto la miglior stagione Uefa tra tutte le squadre italiane in competizione. Basta questo per escludere che la Sampdoria sia ancora immatura. Penso invece che siamo poco protetti da parte della stampa».

— Se la Sampdoria giocasse a Milano anziché a Genova avrebbe già vinto almeno uno scudetto?
«Penso di sì. A noi manca la grande tradizione che hanno Milan, Inter e Juve e mancano le infrastrutture, cioè tutte le categorie dell’informazione: televisione, radio, giornali. Fischiare un rigore contro la Sampdoria è più facile che fischiarlo contro un’altra grande. Quando un difensore avversario commette fallo su un attaccante della Sampdoria molte volte l’arbitro non vede il rigore. E magari ammonisce uno dei nostri giocatori che ha subito il fallo. E accaduto a Mancini nella partita con la Lazio. È stato atterrato in area all’ultimo minuto, è stato ammonito per simulazione e squalificato. Comunque non dobbiamo metterci a piangere. Dobbiamo continuare a lottare al cento per cento. Altrimenti non arriveremo da nessuna parte».

— A proposito di Mancini, vuole chiarire una volta per tutte? È punta, mezzapunta, rifinitore, regista?
«Mancini è una punta libera. Possiamo battezzarlo come vogliamo: trequartista, rifinitore, seconda punta. Resta un giocatore che non sopporta limiti, frontiere sul terreno di gioco. Mancini ha grande classe, forse è il miglior talento italiano dal centrocampo in avanti. Ma se arretra perde classe. Questo ruolo non è per calciatori che hanno tecnica, volontà e visione di gioco come lui. Poi lui è molto generoso, quando può segnare è più contento se riesce a dare la palla-gol a un compagno. Penso che gli manchi soprattutto una cosa: la capacità di fare autocritica. Fare autocritica è il migliore antibiotico, chi sa farla può migliorare molto più rapidamente e accelerare la sua grandezza futura. L’autocritica non è un segno di debolezza, semmai dire “ho giocato male” significa aver la forza di conoscere il proprio gioco».

— Vialli – Branca – Mancini – Lombardo. Possono giocare tutti e quattro insieme? Magari con Mychajlyčenko a centrocampo?
«Loro possono giocare in qualsiasi squadra europea, però metterli insieme tutti e quattro è difficile. Poi noi abbiamo anche Dossena che ha caratteristiche più offensive che difensive. È un sacrificio caricare Lombardo di compiti difensivi, dal centrocampo in giù. Attilio ha grande velocità, di testa è fortissimo, ha un bel tiro col destro. Perché dovrebbe tornare tanto indietro? Poi se vogliamo parlare anche di Mychajlyčenko, di Mancini e Vialli allora dico che possono giocare tutti insieme in due squadre: metà nella Sampdoria e metà in un’altra grande squadra».

— Su Mychajlyčenko avevi perplessità di ordine generale. «Un sovietico è poco adatto al nostro calcio», avevi ammonito l’anno scorso. «Mikha» è certamente un fuoriclasse, ma ha dato quello che la Sampdoria si aspettava da lui?
«All’inizio ha giocato alla grande. Verso la fine del girone di andata è entrato in crisi. Normale, perché in Urss il calcio si ferma in dicembre, gennaio e febbraio. Dobbiamo riconoscere che il problema esiste. Con lui la Sampdoria deve fare un salto di qualità e all’inizio il salto c’è stato. Adesso il campionato entra in un periodo delicatissimo, a fine marzo sapremo come andrà a finire. Spero che Mikha, che possiede grande classe, ci dia l’aiuto decisivo. Però dobbiamo ammettere che c’è grande differenza tra il calcio del Nord e quello del Sud dell’Europa. Qui al Sud si gioca un calcio molto teso, nervoso, grintoso. Al Nord, tedeschi, russi, svedesi, cechi fanno un calcio più… pacifico. Là dopo una sconfitta non succede nulla, né contestazioni né processi. In Italia quando si perdono due partite l’allenatore rischia di fare le valigie».

— Purtroppo le infami condizioni del terreno di gioco di Marassi sono un ulteriore handicap per la Sampdoria che gioca di fino?
«Questo problema non possiamo risolverlo noi. Sarebbe peggio se decidessimo di cambiare il nostro modo di giocare. Una squadra non è una moda, gonna corta o gonna lunga. Ha i suoi giocatori, uno stile di gioco e noi non possiamo dire: basta palloni rasoterra, adesso facciamo calcio aereo».

— Sacchi è arrivato ai ferri corti con Van Basten, Trapattoni ha fronteggiato la contestazione di Berti e Matthaus, Maifredi è alle prese col mistero Schillaci. Tu non hai casi nella Sampdoria, o no?
«No. Noi non abbiamo problemi di quel genere. La nostra forza sta nello spogliatoio. Chi non si trova in questo ambiente di sicuro va via. Lo abbiamo dimostrato in tempi passati. Alla Sampdoria o si è tutti per uno e uno per tutti o si lascia il nostro spogliatoio. Noi abbiamo una democrazia abbastanza grande, facciamo dialoghi con i giocatori e non diciamo mai: non mi interessa quello che pensi, fa il tuo dovere. No, si ascolta il giocatore, quello che vuole, quello che pensa. Alla fine l’allenatore o il presidente deve convincerlo».

— Quale squadra in Italia gioca il calcio più divertente? E quale il calcio più noioso?
«Il più divertente, Milan e Sampdoria. È certo e dimostrato tantissime volte. Il più noioso in questo momento il Napoli. Sono campioni d’Italia in carica, l’anno scorso hanno vinto il campionato, due anni fa la Coppa Uefa. Non voglio entrare nei problemi del Napoli ma è sicuro che non ha risposto sul campo all’immagine che ha nel mondo».

— Perché non ti piace la zona?
«Mi piace la zona, devo solo avere i giocatori per farla. I nostri giocatori hanno grinta ma non sanno ragionare, nei momenti decisivi. Per loro è meglio avere un impegno individuale».

— Schillaci, è il bomber implacabile del Mondiale o l’attaccante intristito degli ultimi tempi?
«La fortuna è una cosa che tante volte arriva e non si sa perché né come. Schillaci ha avuto grande fortuna al Mondiale perché il nostro Luca Vialli stava in un periodo molto delicato, non era in ottima forma e ha avuto problemi di infortuni. In quel momento di crisi di Vialli, Schillaci è entrato in Nazionale e ha fatto il suo dovere».

— La tua Nazionale ideale? Comincia dal portiere, prego.
«Portiere: Zenga».

— Marcatori?
«Vierchowod e Ferri. Libero Franco Baresi. A destra Bergomi, a sinistra Maldini. A centrocampo in zona centrale deve giocare Giannini, sulla fascia destra può giocare anche Lombardo. Le due punte sono senza dubbio Vialli e Mancini».

— Manca un centrocampista di sinistra?
«Chi abbiamo…? De Agostini della Juve non è una mezz’ala…».

— Ci sarebbe Marocchi che gioca a sinistra. Eranio copre la fascia destra…
«Marocchi… E una pena vedere Ancelotti vecchio e sempre infortunato. Baggio, no. Nella Roma non c’è nessuno, nel Napoli neppure. L’Inter ha Berti…».

— Il Milan ha Donadoni. Non lo metti, Donadoni?
«Mettici Marocchi».

— Perché Vicini al Mondiale ha completamente ignorato Mancini? E neppure lo convoca più? Ne hai discusso con Azeglio?
«Ne abbiamo parlato, dopo le convocazioni di Italia-Belgio. Vicini vuole allargare la rosa, provare giovani come Lentini e Melli. Richiamerà Mancini, non ci sono dubbi».

— Perché Vialli è diventato il grande colpevole del mancato successo azzurro a Italia ’90?
«Logico, lui era il principe del calcio italiano, la bandiera. Non ha giocato, e l’Italia ha perso il Campionato del Mondo. Paga sempre il più famoso».

— L’errore-chiave dell’Italia mondiale di Vicini?
«La squadra che ha giocato il Mondiale è stata fatta una settimana prima. Dagli Europei ’88 in poi aveva giocato una squadra diversa. I calciatori devono giocare con classe e con forma. Un mediocre può avere forma, ma non può mai giocare come un giocatore di classe che non è in buona forma».

— L’Italia era la più forte?
«Assolutamente sì. E con grande differenza rispetto alle altre. Non dico la squadra di undici, dico la rosa dei 22. Assolutamente la più forte di tutte».

— Boskov, tu dici sempre quello che pensi. A costo di polemizzare con Sivori o litigare con Scoglio. Questione di carattere?
«Il calcio non è uno spettacolo nascosto. Per ogni partita ci sono venti-trenta-cinquantamila tecnici. Io non posso pensarla come Sivori o Scoglio. In Italia c’è una moda: molti allenatori giovani vogliono criticare Boskov o Trapattoni e chi ha più di 15 anni di anzianità. Adesso va di moda l’allievo che critica il professore».

— Difatti Agroppi ha detto che la Sampdoria è l’eterna incompiuta. Le manca una punta da affiancare a Vialli, un terzino sinistro e tre stranieri all’altezza di Inter e Milan. Mychajlyčenko — secondo Agroppi — non è adatto al nostro calcio perché manca di velocità e ritmo. Agroppi ha concluso che con quel ben di Dio che hai per le mani tu, Boskov, hai vinto troppo poco. Replica, prego.
«Mi dispiace per lui, io non devo parlare di Agroppi. Di lui parla il suo passato e dice che allenatore è Agroppi. Il mio passato dice che allenatore è Boskov. E basta. Quando incontro Helenio Herrera o Liedholm mi alzo e li saluto per primo perché sono più anziani di me, sono allenatori famosi e devo loro rispetto. Quando viene un allenatore che non ha fatto Coverciano e critica un allenatore che ha vinto sette, otto, nove titoli… Dicevi di Scoglio. Lui a Genova ha fatto cose che nessuno può fare. Ha criticato tutti. Però quanto ha allenato in Serie A? Un anno, mi pare, no?».

— Un anno e qualche mese a Bologna. Ma passiamo ad altro. A Maradona…
«Non lo conosco direttamente ma abbiamo lavorato insieme in Spagna. Lui a Barcellona, io a Gijon. E là Maradona ha avuto gli stessi problemi che ha qui. Solo che in Italia s’è comportato meglio che in Spagna. Ha avuto più rispetto di Ferlaino di quanto ne avesse avuto verso Nunez, il presidente del Barcellona. Però Maradona è un fuoriclasse assoluto, quando gioca fa calcio pratico e spettacolo. E vince».

— I cinque calciatori più grandi di tutti i tempi, secondo Boskov?
«Ho un dubbio sul più grande. O Di Stefano, o Pelé o Johann Cruijff. Non importa come li metti. Poi aggiungi Puskas e Platini».

— E i cinque contemporanei più grandi?
«Baresi, Maradona anche se ora gioca poco e male. Poi… In Inghilterra…».

— In Inghilterra c’è Gascoigne.
«No, Gascoigne no. In Spagna si può parlare solo di Michel. In Italia di Matthaus e Vialli».

— Il giovane più promettente in Italia?
«Orlando della Fiorentina. Può diventare più Platini di Baggio perché corre molto più di Baggio».

— Lo straniero più forte già arruolato in Italia?
«Mah… devo dire Matthaus. Ha vinto il Pallone d’oro e il Mondiale con la Germania. Però se giocasse, il migliore sarebbe ancora Maradona».

— Lo straniero che vorresti in Italia?
«In Inghilterra c’è Platt, solo che gli inglesi hanno la testa dura e difficilmente entrano nel calcio latino. Però Platt è un calciatore molto valido. In Spagna e Portogallo non c’è nulla, in Francia potrei dire Papin».

— E Prosinecki, tuo giovane connazionale? Si dice sia già del Milan…
«Ma dai! È stato tre giorni a Madrid, per Natale. Prosinecki è un calciatore moderno che gioca un calcio totale che vuol dire semplicemente questo: ognuno deve giocare in tutti i ruoli. E giovanissimo, per questo ha problemi per uscire dalla Jugoslavia».

— Com’è la regola?
«Non ci sono regole. Noi non abbiamo più governo in Jugoslavia. Ma se si aggiustano le cose a fine anno, vedrai che lo lasciano andare. Non possono comportarsi come nei tempi passati. Io con Tito ho avuto il passaporto e sono uscito dal paese. Se ne vanno i medici, perché non i calciatori? Perché non impediscono di uscire agli attori, agli scrittori, che se ne vanno via tutti? Se Prosinecki può uscire dalla Jugoslavia magari la Sampdoria lo acquista, lo paga cinque-sei-sette-otto mila (sic!) dollari (Vujadin intende milioni di dollari, ovviamente n.d.r.). La Federcalcio jugoslava deve difendere gli interessi dei club slavi. Se Prosinecki viene a giocare in Italia, nel Milan o nella Sampdoria, o va in Spagna nel Real Madrid, il suo club (la Stella Rossa di Belgrado), guadagna una cifra».

— Prosinecki dunque è bravo e ti piace. E Stojkovic?
«Stojkovic è un pò più concreto di Donadoni ma loro due hanno le stesse caratteristiche. Ma Stojkovic è più determinante di Donadoni».

— Il 9 maggio prossimo compirai sessant’anni. Sappiamo tutti quale regalo vorresti fare e ricevere…
«Regalo? Posso ricevere solo un titolo, il primo campionato. Se non possiamo vincere lo scudetto però possiamo vincere la Coppa delle Coppe. E la Coppa Italia. Anch’io devo dare un regalo ai tifosi. Se fosse lo scudetto, sarebbe una vittoria storica. In Italia non è facile e a Genova… pfuii».

— E poi? Cosa farai?
«Niente. Mi devo preparare per il prossimo anno…».

— Per la Coppa dei Campioni?
«La Sampdoria come squadra non è meno forte di altre squadre che sono nei quarti di finale della Coppa dei Campioni».

— Per restare ai vertici dovrete inventare un altro Cerezo…
«Noi dobbiamo prendere un centrocampista, all’attacco siamo coperti. In mezzo c’è il cuore della squadra, se da lì esce il bel gioco tutti giocano bene. Ci sono pochi centrocampisti validi per noi. Vuoi saperlo? La “nostra” mezz’ala ideale, per come gioca, è Michel del Real Madrid. Ha un passo forte, tira da lontano, testa, bel fisico. Poi lui copre mezzo destro con Lombardo, è l’ideale. Noi possiamo solo spostare Katanec al centro».

— E Mychajlyčenko?
«Mychajlyčenko se si riprende ha classe, questo è certo. Poi vediamo come va. Un giocatore come Michel, che gioca in tutte le zone del campo, ci farebbe fare un altro salto verso il calcio totale. Dobbiamo cercare giocatori completi, che sappiano organizzare il gioco. E Michel è tra questi pochi campioni».

  • intervista di Renzo Parodi (Guerin Sportivo marzo 1991)