WHITESIDE Norman: il ragazzo di Belfast

Quando ci eravamo in mezzo, gli anni ottanta sembravano essere un’epoca d’oro, avevano tutta l’aria di essere anni spensierati e di grande ricchezza. Erano i tempi di Rambo, Rocky, Shining, Arancia Meccanica. Erano i Tempi dell’Italia, quell’Italia calcistica che, con la riapertura delle frontiere, si accaparrava i migliori giocatori stranieri del globo. Nomi indimenticabili come Rumenigge, Falcao, Junior, Boniek, Platini, Maradona, Zico, Careca, Tardelli, rendevano il nostro campionato il migliore del mondo. In ogni strada della città c’erano gruppi di ragazzini che prendevano a calci un pallone colorato o qualsiasi cosa avesse una sagoma rotonda.

Tra quei ragazzini c’ero anche io, organizzavamo campi di calcio dovunque capitava, nel cortile del palazzo, in mezzo alla strada o in un fazzoletto di verde nella piazzetta del rione. Siamo cresciuti così, nella semplicità delle azioni quotidiane sognando di fare i calciatori tra le vie del nostro quartiere. Di quei ragazzini ce n’era un manipolo che era rimasto folgorato dal football che si giocava in Inghilterra. Un football fisico fatto di lanci lunghi, mischie in area di rigore, un football aggressivo, leale e splendidamente romantico. Nulla a che fare con la tecnica raffinata del calcio italiano, quello era un football per duri: sudore, fango, agonismo, lotta feroce e maglie bagnate.

Su quei campi umidi non esistevano calciatori strapagati, non esisteva Maradona, Zico, Platini, ma esistevano giocatori onesti, grandi lottatori che non avrebbero mai mollato. Non mancava però qualche talento puro e allora la differenza era chiara. Nomi come George Best, Kevin Keegan, Graham Souness, Brian Robson, Ian Rush, esaltavano gli spettatori ma per me, era soprattutto Norman Whiteside a fare la differenza. Non sono mai riuscito a capire il vero motivo del mio innamoramento per questo giocatore.

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Forse era il fascino che emanava il suo cognome, forse sarà stato perché fu il calciatore più giovane a partecipare ad un mondiale. Magari perché giocava in quel Manchester United che ancora non era l’armata invincibile che poi fu un decennio dopo. Fatto sta che Norman Whiteside entrò nel mio mondo immaginario e quando giocavo a pallone nella mia stanza prendendo a calci una palla di spugna, sognavo di essere lui, si proprio lui. E…Sognavo un gol nella finale di FA cup. Nella sua pur breve carriera, Whiteside si farà apprezzare per la tecnica e la sua grande potenza fisica.

Irlandese di Belfast, Whiteside è stato una colonna del Manchester United quando le maglie erano ancora attillate e lo sponsor era la “Sharp”. Un Manchester che veniva da anni bui e non vinceva nulla da parecchi anni e che solo alla fine degli anni ottanta cominciò a conoscere le vittorie con Sir Alex Fergusson. Whiteside era soprannominato “Shankill Skinhead” nomignolo originato dalla prestanza fisica che amava mettere in campo contro i difensori avversari. I suoi interventi erano sempre duri, mai sporchi tanto che Ferguson, in una partita contro l’Arsenal del 1986, disse che Norman aveva colpito tutti su e giù per il campo per novanta minuti senza mai essere stato ammonito.

Il fisico prestante gli permetteva di rubare quel metro in più ai difensori e spesso era capace di gol che solo i migliori calciatori sapevano realizzare. Indimenticabile, per i supporter dello United, fu quello della finale di FA Cup contro l’Everton, quando Norman nei tempi supplementari e con la squadra ridotta in dieci, tirò fuori dal cilindro un gol straordinario: dal vertice sinistro dell’area di rigore, doppio passo, finta e palla ad effetto nell’angolino del povero Southal. Era bello a vedersi Whiteside, un ragazzetto che alternava la potenza a giocate di classe figlie di una tecnica sopraffina. L’unica pecca era la sua mancanza di ritmo e spesso questo veniva sottolineato sia dai suoi allenatori che dalla stampa sportiva. Ma chi non l’avrebbe perdonato? Non era certamente un problema per chi assiepava gli spalti dell’Old Trafford.

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Il vero problema di Norman Whiteside furono gli infortuni che minarono terribilmente la sua carriera tanto che a soli 26 anni lasciò le scene del calcio giocato. Subì una prima operazione al ginocchio destro già nel 1981 che lo costrinse a giocare adattando la sua postura al danno che aveva subito al ginocchio. Si portò dietro questo problema per qualche anno ma riuscì a sopperire al danno con la potenza fisica e una grande tenacia. Nulla gli tolse la nazionale e il mondiale di Spagna nemmeno l’infortunio al ginocchio. Le ottime prestazioni in nazionale convinsero il manager del Manchester United a portarlo in prima squadra formando così una coppia d’attacco davvero affascinante insieme all’altro irlandese Frank Stapleton. In quello stesso anno divenne il calciatore più giovane a segnare in una finale di FA cup a 18 anni e 18 giorni.

L’anno successivo anche il calcio italiano cominciò ad accorgersi del suo grande talento, tanto che il Milan cercò di acquistarlo ma, l’offerta faraonica recapitata ed accettata dal club, fu rifiutata dallo stesso calciatore. Sarebbe stato bellissimo vederlo danzare nella scala del calcio a Milano e confrontarsi con i campioni che pullulavano in Italia. Rimase un sogno, ma l’ascesa di Whiteside nei Red Devil’s continuò nell’annata successiva quando Ron Atkinson lo scalò a centrocampo in compagnia di Brian Robson formando così una coppia formidabile che supportava un attacco devastante composto da Hughes e Stapleton. Fu questo l’anno dell’unica doppietta che mise a segno nella sua carriera.

Nell’anno successivo la consacrazione sembrava ormai essere alle porte per Norman Whiteside tanto che l’inizio del campionato per lo United fu devastante: 13 vittorie nelle prime 15 partite giocate! Sembrava che il Man United fosse destinato a vincere il tanto sospirato titolo di First Division, invece nelle ultime 18 partite ci fu un declino inesorabile che la stampa addusse avallando alla cultura del bere che era di moda nella squadra e soprattutto nella lassità di disciplina dei metodi del manager Atkinson.

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Quello che poteva essere l’anno della possibile consacrazione per Whiteside, si tramutò in un mezzo disastro che andò a peggiorare quando all’Old Trafford arrivò Sir Alex Ferguson. Di fatto Ferguson non accettava le “drinking session” di Norman e spesso lo metteva fuori squadra. Norman chiese un adeguamento del suo contratto facendo presagire anche una richiesta di cessione se non fosse stato accettato l’adeguamento. I problemi continuarono per tutto l’anno e nonostante tutti i problemi, realizzò 10 gol in 37 partite giocate mentre, lo United si classificò solo undicesimo.

L’anno successivo fu la sua migliore stagione. Anno 1987/88 quando in coppia con Brian Mc Claire fece 10 gol e il Man United si piazzò secondo in classifica alle spalle del Liverpool. Poi ricominciarono gli infortuni che lo perseguitavano in maniera folle. Si ruppe il tendine di Achille e fu costretto a star fuori per la metà delle partite del campionato successivo. Rientrato dall’infortunio, ricevette qualche offerta importante da alcune squadre straniere ma Ferguson non lo mollò finché si fece sotto l’Everton nel luglio del 1989 e così Norman Whiteside fu costretto a svestire la maglia dei Red Devil’s per vestire la maglia blues dei Tooffes.

Il suo nuovo stadio si chiamava Goodison Park: da li avrebbe potuto ricominciato a meravigliare la gente con le sue giocate. Fece solo due anni in quello stadio lasciando comunque il segno e la sensazione che non avremmo più visto il miglior Whiteside. La sfortuna ci stava portando via un campione vero. Fece in tempo a regalarsi un’ottima stagione fungendo da play-maker in coppia con Stuart McCall segnando 13 gol in 35 partite, l’Everton arrivò sesto. Furono le sue ultime gioie calcistiche perché nell’anno successivo nel settembre del 1989 durante una partita amichevole il suo ginocchio destro si ruppe di nuovo. Venne operato non mollò e dopo molte cure fisioterapiche ritornò ad allenarsi. Il manager dell’Everton Howard Kendall volle concedergli ancora qualche partita ma fu solo questione di tempo e Norman Whiteside fu costretto ad arrendersi e lasciare il calcio definitivamente a soli 26 anni.

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Di lui ci rimangono le vecchie foto sbiadite che troviamo su internet, i video dedicati a lui e alle partite storiche dello United. Il consiglio, per chi non ha avuto la fortuna di vederlo giocare, è quello di andare a visionare i video e le foto di questo calciatore straordinario che comunque è e rimarrà una leggenda del calcio inglese. Gli anni ottanta ci ha regalato grandi calciatori, grandi uomini, che con la loro schiettezza ci regalavano un calcio semplice, romantico e nostalgico che ne esce e ne uscirà sempre vincente rispetto al calcio glamour e ipertelevisivo dei nostri giorni. Gli Inglesi amano dire God Save The Queen io invece amo ripetermi God Save i giocatori come Whiteside God Save il vecchio calcio made in England!

  • Testo di Alessandro Nobili